Il teatro dei detenuti che trasforma la vita

Il carcere è un percorso di trasformazione e di reintegrazione nel tessuto sociale. Però se il reinserimento non comincia da dentro quali sono i rischi? Interris.it ne ha parlato con Elisa Carnelli, attrice e responsabile dell'Associazione Oblò-liberi dentro

“La prima volta che mi sono trovata in carcere era il 2008. Mi sono trovata subito davanti dei detenuti. In quel momento ho cominciato a pensare se avessero spacciato o se avessero rubato, ma soprattutto mi ripetevo, non avranno mica ucciso qualcuno? Eppure mi sono resa conto che davanti a me avevo delle persone normalissime e in nessun posto come il carcere ho potuto assaporare il potere trasformativo del teatro e così ho scommesso su questa trasformazione”. Sono le parole per Interris.it di Elisa Carnelli, attrice, regista e drammaterapeuta, membro della S.P.I.D. (Società Professionale Italiana di Drammaterapia), e responsabile dell’Associazione per il Teatro in carcere Oblò-Associazione del cercare di Busto Arsizio.

“Porto la drammaterapia in carcere per lavorare sulla prevenzione, sulla cura, sulla trasformazione e sulla rieducazione. Se ci pensate noi come società civile diamo al carcere una missione trasformativa che non sempre fa centro dato i casi di recidiva, però ci proviamo”.

Il significato del palco per un detenuto

“Il teatro permette a questi detenuti di avere autostima e di capire le proprie qualità. Aiuta a far cambiare l’immagine di sé. Ricordo quando durante uno spettacolo dalla platea si levò una voce di bambina – Papà, Papà -, ripeteva…Quella bambina da tre anni incontrava il padre una volta a settimana nella sala degli incontri e lo sentiva telefonicamente per 10 minuti, sempre una volta a settimana. In quel momento quel papà è riuscito a dimostrare alla sua piccola di essere ancora quel supereroe che ogni papà è per la sua bambina. Questo è lo scopo dell’Associazione Oblò – Liberi dentro. Vivere il carcere come fosse una grande nave, e portare le persone da una libertà ad una più grande”.

Come nasce Oblò

“Io vengo da tanti anni di tournee poi ho fatto un corso in drammoterapia, il teatro usato per la cura e la prevenzione di molte situazioni anche di disagio mi ha dato uno slancio verso il margine. All’inizio, quando sono entrata in carcere i corsi li facevo da sola. Poi dal 2016 con una collega abbiamo deciso di fondare un’associazione per avere una sorta di auto sostentamento e per darci una forma all’interno della realtà carcerari. Oblò liberi dentro nasce proprio con le cene con delitto, le cene galeotte. In scena vanno i detenuti, cucinano e recitano, ma il momento più bello è l’incontro con le persone esterne al carcere che vengono a vedere lo spettacolo partecipando alla serata a 360°”.

Oblò è integrazione

“L’idea era quella di ricreare un osmosi tra carcere e territorio. il carcere dovrebbe essere risocializzante, ma se a fine pena ti rendi conto di non riuscirti a reinserire perché in quel tempo sei stato confinato da solo in cella rischi di tornare a delinquere. Il passaggio da dentro a fuori infatti è il momento più delicato. I detenuti devono sapere di non essere soli e devono potersi integrare”.

Rieducare è ridare dignità, restituire al bello

“Rieducare vuol dire riportare ad un ambito di dignità delle persone che la dignità l’hanno persa e che stanno giustamente pagando per quello che hanno fatto. Finché, però, questa dignità non viene in qualche maniera ripristinata a mio avviso non è possibile un reale cambiamento. Se per una sera la gente di me non vede il delinquente ma vede un attore bravo che sa far ridere e sa far piangere e sa trasmettere delle emozioni, può essere che anche quella persona scelga di aderire a quello che per una sera gli altri hanno visto. A  quell’immagine buona che gli altri hanno visto e può essere che io scelga di cambiare e di tornare a crederci”.