Team Bòta: la solidarietà è più forte del coronavirus

Un gruppo di giovani ha deciso di donare agli altri, mettendosi a servizio di chi non può uscire a causa del coronavirus, ciò che hanno di più prezioso: il loro tempo

Tutto è cominciato come la famosa canzone di Gino Paolo, con “quattro amici al bar“, forse qualcuno in più. Poi il “virus” della solidarietà ha contagiato amici e conoscenti portando il gruppo a crescere e a strutturarsi. Stiamo parlando del Team Bòta, volontari della città di Rimini che hanno saputo fare rete per aiutare chi si trova in difficoltà a causa dell’emergenza sanitaria causata dal diffondersi del coronavirus. Il loro spirito di solidarietà e amore per il bene comune sono stati presi d’esempio anche da giovani di altre città che hanno chiesto informazioni come poter organizzare iniziative simili. Proprio per questo motivo, il Team Bòta – che presto dovrebbe ricevere il patrocinio del Comune di Rimini – sta stilando un vademecum, che dovrebbe essere pronto nelle prossime ore, per aiutare altri giovani ad organizzare un gruppo simile al loro. In Terris ha intervistato Giorgio Matassoni, uno dei fondatori del Team Bòta.

Che cos’è il Team Bòta?
“E’ un gruppo di amici che, esattamente lunedì scorso, ha deciso di vedersi con l’obiettivo di fare qualcosa di concreto per le persone e nel giro di poche ore abbiamo organizzato un gruppo di volontari che hanno deciso di fare due cose principalmente: primo, diffondere un messaggio bello e forte di solidarietà e positività, soprattutto, in un momento in cui giornali e media ci bombardano da tante notizie allarmanti che intimoriscono la nostra psiche. Per farlo abbiamo imbucato 3.000 cartoline a Rimini; secondo, di scendere in campo concretamente e capire come aiutare le persone. All’inizio, ci siamo resi disponibili per aiutare le persone in via diretta, ad esempio raccogliendo le telefonate di chi aveva bisogno della spesa e consegnandola. Adesso che ci stiamo strutturando, possiamo aiutare anche in via indiretta. In che modo? Stiamo facendo diverse collaborazioni con associazioni alle quali ‘prestiamo’ il nostro tempo e i nostri volontari per svolgere determinati servizi. La prima collaborazione è con la Caritas, ogni giorno, sette giorni su sette: quattro volontari si recano nella loro sede e aiutano rispondendo alle telefonate, fare assistenza telefonica, portare i pasti già pronti a casa delle persone”.

A chi è rivolto questo servizio?
“A chiunque abbia bisogno, senza limiti di età o di richieste. Noi aiutiamo le persone che non si possono muovere perché sono in quarantena, o perché sono anziani, e quindi hanno bisogno della spesa o di farmaci di prima necessità. Poi ci rivolgiamo anche a chi ha bisogno di servizi. Nel nostro team ci sono informatici che danno una mano per risolvere problemi tecnologici; un gruppo sanitario composto da fisioterapisti e infermieri che prestano il loro servizio telefonicamente e, qualora il caso fosse più complesso, lo rimandano al servizio sanitario nazionale; ci sono psicologi che danno conforto telefonico alle persone con problematiche un po’ complesse, mentre per chi ha bisogno solo di un po’ compagnia, lo facciamo noi direttamente”.

Quando avete iniziate eravate solo un gruppo di amici. Come avete fatto ad allargare il gruppo di volontari?
“Una settimana fa, io avevo ancora il locale aperto (fino alle 18). Ci siamo seduti attorno a un tavolo ed eravamo cinque o sei amici. Dato che lo scopo di questa iniziativa è qualcosa di autentico che ci ha anche emozionato, ci siamo uniti attorno a questa visione e abbiamo chiamato altri amici e conoscenti per coinvolgerli. In poco tempo siamo diventati, prima venti, collegati via telefonica, per evitare assembramenti. Cresciamo velocemente perché abbiamo uno scopo che entusiasma le persone e questo ha una forza coinvolgente”.

Si tratta di un servizio gratuito?
“Assolutamente sì. Facciamo pagare solo la spesa o i farmaci che vengono richiesti. Conserviamo lo scontrino che poi consegniamo alla persona a cui facciamo la consegna che poi ci rimborsa. La cosa bella è che molte persone hanno iniziato a darci delle ‘mance’ che noi stiamo raccogliendo per avere un piccolo fondo comune, per poi acquistare delle cose o dei beni di prima necessità che poi potremmo anche regalare a chi ha necessità”.

Il vostro nome, Team, Bòta, ha un significato particolare?
“Deriva dal dialetto romagnolo ‘tin bota’ che significa ‘tieni botta’, è un imperativo di esortazione. Dato che nasciamo a Rimini, siamo autoctoni e volevamo trovare un nome che fosse una bandiera e rappresentasse la nostra città, il nostro territorio, abbiamo declinato in Team Bòta”.

Quant’è importante secondo il volontariato, il fare rete?
“E’ fondamentale, perché la forza del nostro gruppo è la grande accessibilità. La nostra apertura dà a tutti la possibilità di fare la loro parte. La cosa bella è che questa semplicità con cui un amico, un conoscente, può entrare a far parte del nostro gruppo, può dare l’opportunità a tutto di sentirsi utili nel fare qualcosa per gli altri. La rete è importante sempre, in questo momento ancora di più. La solidarietà viene fuori in maniera più forte nei momenti di difficoltà. Tante cose difficili, complesse, ma è bello vedere come le persone tirino fuori un’umanità che normalmente non spicca”.

Quindi nel cuore degli italiani c’è più bontà di quello che appare?
“Dovremmo vedere tutti questa crisi come l’opportunità di ricordarci e di ricordare al mondo che gli italiani hanno un cuore grande e non hanno paura di usarlo”