Graziano Piazza e l’omaggio a Tabucchi: “Attraverso i sogni incontriamo noi stessi”

L'attore Graziano Piazza, protagonista de I Solisti del teatro, ci porta nella dimensione onirica di "Sogni di sogni" di Antonio Tabucchi. Senza perdere il contatto con i nostri tempi

Graziano Piazza Antonio Tabucchi

Assaporare il confine del sogno e farne una lente per capire il presente. I sogni non fanno dormire ma ridestano. Non inibiscono i sensi ma li esaltano. Non chiudono le porte alla realtà ma ci mettono a nudo con noi stessi. Una lettura che potrebbe apparire complessa ma che, per la verità, non è così distante da ciò che il sogno è: uno spazio di confronto allo specchio, attraverso l’atto più libero e creativo. Antonio Tabucchi ce lo ha ricordato nel suo Sogni di sogni, cavalcata onirica dall’antichità all’età contemporanea in sella alle immaginazioni recondite di alcuni dei più importanti artisti e letterati della storia. Immaginazioni che mutano, cambiano al suono, si rovesciano e stravolgono la realtà. Senza far perdere di vista il ruolo di riflettore del nostro inconscio.

Graziano Piazza e Tabucchi: “Nel teatro c’è un atto di guarigione”

Una sospensione dal tempo e dallo spazio portata in vita dalla sensibilità di Graziano Piazza e l’adattamento teatrale di Teresa Pedroni il 3 settembre scorso, nella cornice dei Giardini della Filarmonica Romana. Un luogo speciale che ha accolto I Solisti del teatro, appuntamento culturale di raffinata sensibilità che, ancora una volta, ha regalato al pubblico romano due giorni di filo diretto con la rappresentazione. La conferma di come la cultura, in un tempo di emergenza, riesca a creare un diversivo dalla digitalizzazione del tempo presente. Quel tempo che Tabucchi, a quasi dieci anni dalla sua scomparsa, ci invita ad analizzare. Come ricorda Graziano Piazza a Interris.it, “senza grida ci insegna a percepire le sfumature del nostro tempo”.

 

I Solisti del teatro resta un appuntamento culturale importante. Così come lo è, soprattutto di questi tempi, trasmettere determinati messaggi attraverso il linguaggio del teatro. E’ stato difficile fornire ancora una volta questo risultato più importante o rispetto allo scorso anno ci si è mossi meglio?
“Quest’anno sentiamo che le nostre proposte artistiche acquistano un valore di tipo diverso. C’è una necessità più profonda nel proporlo, così come del pubblico di venire e agire la presenza del teatro. Sentiamo che c’è una comunicazione più profonda: si tocca più di prima il valore stesso del senso del fare teatro. Una sensazione molto bella. Ancora di più quando si ha una proposta, un testo che vive una condizione come quella che Tabucchi ci suggerisce. Quella dei sogni, della creatività onirica che ha a che fare con artisti, letterati che appartengono al mondo di Tabucchi. E che vengono a essere proposti come personaggi che prendono vita in scena, diventando un ente che ci guarisce. E c’è un atto di guarigione condiviso condiviso, in cui il teatro, vedendo l’uomo vicino e in presenza, in un luogo meraviglioso come il Giardino della Filarmonica, si sente di avere la possibilità di una guarigione interiore”.

Un’occasione per ribadire quanto bisogno c’è del contatto fra chi interpreta, veicolando un messaggio, e chi lo recepisce. Soprattutto in questo periodo, in cui purtroppo o per forza, ci siamo abituati a nuove forme di comunicazione…
“Ho lavorato tutta l’estate in teatri, antichi e nuovi, chiese… Sentivi veramente questa adesione alla condivisione dello spazio teatrale. Si aveva proprio voglia di questo. Anni fa ho lavorato in una compagnia di danzatori di euritmia, i quali non potevano ascoltare musica elettroacustica, ma solo reale. Tutto ciò che passa attraverso microfono e casse non ha senso. Perché le onde sonore che si producono da un corpo a un altro, che si fa catino in grado di essere riempito dalla voce, è qualcosa che non può essere sostituito da qualcosa che non sia naturale. Questi pensieri riescono a emanare una vibrazione, da una parte e dall’altra, dall’artefice e da un pubblico che ascolta. Il silenzio fra queste due componenti è quella presenza che fa diventare il teatro insostituibile”.

Veniamo al tuo spettacolo. Porti in scena un’opera particolare di uno scrittore moderno come Tabucchi. Racconti brevi, dall’antichità al moderno. Quanto è difficile trasmettere questo tipo di spettacolo che, pur nel filo conduttore della dimensione onirica, spazia tra pensieri diversi?
“Con Teresa Pedroni siamo riusciti a creare un’attitudine quanto più vicina possibile all’intento dell’autore. Suggerire uno stato di soglia, in cui la percezione del sogno, della realtà e della tragedia – o della commedia -, continuano a giocare l’uno con l’altro. E’ più difficile, forse, rispetto all’interpretazione di un personaggio unico. Devi cambiare tempi, modalità di percezione. Modificarla rispetto a quello che ciascun sogno ci suggerisce. Anche perché Tabucchi mette in grande relazione l’atto della creazione e dell’ispirazione creativa artistico-letteraria. Da Ovidio ad Apuleio a Pessoa e Freud, ti rendi conto che ogni volta si confrontano con sé stessi. Una sorta di incontro col destino che ti fa guardare da vicino, come allo specchio. E questi sogni dei sogni, due parole che si specchiano, sono indicative di questi uomini e di questi artisti – e quindi di Tabucchi stesso – che rivedono in maniera differente sé stessi. Sono percorsi che non richiedono un’analisi particolare, ma il sapore che il sogno ti dà, quello che ti resta addosso”.

Questo tipo di sensazione può provarla anche chi guarda, rispetto a chi sogna o, in questo caso, chi interpreta?
“Penso davvero di sì. Ci sono quei neuroni specchio che ci permettono di far sì che il teatro, come scientificamente provato, trasmetta quelle emozioni che, raggiunto un certo livello, fanno sì che il cuore del pubblico batta a una certa vibrazione. Se il canale è libero, da una parte e dall’altra, questo può accadere. E’ come se il sogno potesse volare. Non sono sogni che fanno dormire ma che ridestano, in cui ci si sveglia guardandosi dentro. Senza farne qualcosa di troppo intellettuale: è quasi un incontro infantile”.

Proprio quelle sensazioni che il sogno riesce a conferire. A volte lo dimentichiamo ma, nel momento in cui ricordiamo ciò che abbiamo sognato, diventa un confronto anche più aperto con sé stessi. Ci si chiede come ci si comporterebbe se dovesse accadere sul serio…
“E’ esattamente così. Quando ci si ricorda cosa abbiamo sognato, sentiamo che è stata un’occasione. E’ qualcosa a cui una parte di noi può anche pensare razionalmente. Ma sentiamo anche che qualcosa di noi agisce quasi senza una volontà razionale. Sentiamo che quel sogno ci ha condizionato senza la nostra volontà”.

A volte si tratta di sogni leggermente infantili, che ci mettono a nudo con noi stessi, generando forse un’affezione. C’è qualche sogno più vicino a te? Al quale, magari, hai prestato più volentieri la tua interpretazione…
“Rappresentare tutti i sogni del libro sarebbe stato troppo lungo. E ci tengo a dire che sono cuciti, messi insieme da musiche, condizioni sonore che ci permettono di entrare meglio in ciascuna atmosfera. Nel sogno dell’incontro con Ferdinando Pessoa senti una compromissione di Tabucchi molto forte, quasi un transfer, l’incontro col proprio maestro che ti ha dato una vita artistica. Altri sono molto divertenti, come quello di Collodi. Sono tutti artisti che in qualche modo hanno segnato la formazione letteraria di Tabucchi. La cosa meravigliosa che fa lo scrittore è che nel momento stesso in cui li senti e li vivi, ti stupisci di come possano cambiare in maniera molto libera le direzioni. Ti stupiscono certi cambiamenti e certe trasformazioni. L’essere così sorprendente è del sogno e di quella parte della vita che vive dei nostri sogni a occhi aperti”.

Quasi dieci anni dalla scomparsa dell’autore e, nel rivedere la sua opera, si riscontra una fortissima attualità. Sogni di sogni ci porta in una dimensione che ci fa bene, perché ci spinge ad analizzare la nostra realtà attraverso la lente onirica. Ma Tabucchi è anche uno scrittore che ci suggerisce come compiere il nostro dovere in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo. E’ un’occasione per riscoprire e consegnare un’altra parte del suo messaggio?
“Sono perfettamente d’accordo. Tabucchi non è un autore che urla o che grida, ma che vive di un’intimità che diventa una grazia. Per cui, di questi tempi, in cui è tutto spesso ‘violento’, soprattutto nel mondo dei mass media, Tabucchi ci dà un’indicazione, ci insegna a percepire le sfumature e i dettagli delle cose. Come dice Godard, il racconto è la storia dei dettagli, nei minimi particolari. Tabucchi ci mette oggi di fronte a noi stessi, all’atto più creativo e più libero, percependo il sottile. Come se la sua materia grezza e grossolana di una vita fatta di incoscienza, avesse una condizione quasi di diventare materiale puro. Vive di questo arcobaleno di sfumature. E in questo, oggi, bisogna riscoprirlo fortemente, perché è necessario ribadire l’attenzione ai piccoli momenti di trasformazione che abbiamo in noi. Perché da lì dobbiamo partire anche per un atto rivoluzionario. Queste sfumature sono in grado di cambiare il mondo, come l’effetto farfalla. Andare oltre i limiti”.