T-essere, la sartoria sociale che crea inclusione lavorativa

L'intervista di Interris.it alla dott.ssa Sabrina Foppoli, responsabile del progetto di inclusione lavorativa "T-essere" della Caritas di Pordenone

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L’inserimento lavorativo delle persone in condizioni di fragilità, in special modo persone con disabilità, migranti e rifugiati, rappresenta uno dei parametri fondamentali dell’avanzamento sociale e culturale di ogni paese, senza il quale il processo di inclusione sociale non può dirsi compiuto.

L’esperienza di Pordenone

A Pordenone, la cooperativa sociale Nuovi Vicini in collaborazione con la Caritas diocesana, ha dato vita ad un esempio di inclusione attraverso lo sviluppo di un laboratorio di sartoria finalizzato attraverso l’inserimento lavorativo, la socializzazione e la trasmissione di conoscenze e competenze nel campo del tessile. Nello specifico il progetto si chiama “T-essere” ed il nome deriva dal mettere insieme i diversi pezzi di stoffa proprio della sartoria ma indica anche e soprattutto la valorizzazione delle potenzialità e delle attitudini di ciascuno. Interris.it ha intervistato la dott.ssa Sabrina Toffoli, responsabile dell’innovazione sociale della Caritas diocesana e referente del progetto stesso.

Gli oggetti prodotti dal progetto “T-essere (© Nuovi Vicini)

L’intervista

Come nasce e che obiettivi si pone il progetto “T-essere”?

“T-essere” è un laboratorio di sartoria sociale che è nato su iniziativa della Caritas diocesana di Concordia – Pordenone e della cooperativa Nuovi Vicini, in collaborazione con l’azienda sanitaria del Friuli Occidentale, ottenendo il sostegno della Fondazione Friuli. Storicamente, l’idea di un laboratorio di sartoria sociale, nasce parecchi anni fa da un gruppo di volontarie le quali, notando che molti richiedenti asilo coinvolti nei nostri progetti venivano da territori come il Pakistan, l’Afghanistan oppure da determinate zone dell’Africa e avevano delle competenze sartoriali, si era proposto di fare dei piccoli laboratori di taglio e cucito. L’obiettivo era quello di creare delle occasioni di socializzazione in cui si potesse imparare anche l’italiano e nel contempo produrre qualcosa. Nel tempo, da questa iniziativa, le stesse volontarie che hanno creato il laboratorio, hanno cominciato a sottolineare la necessità di avere qualcosa di più strutturato con una finalità, in qualche modo, produttiva. Era bello incontrarsi, era diventato un luogo dove ci si scambiava anche le conoscenze in termini enogastronomici, nel quale ognuno portava qualcosa da mangiare del proprio paese, diventando così un luogo di socializzazione, nonché di scambio di conoscenze. Le volontarie però, ci sollecitavano in senso produttivo, ossia con la volontà di vedere le cose fatte da qualche parte. Così facendo, con l’azienda sanitaria, abbiamo colto la palla al balzo e abbiamo creato un progetto più strutturato che è stato appunto finanziato dalla Fondazione Friuli. L’iniziativa ha lo scopo di favorire l’inclusione sociale dei richiedenti asilo, rifugiati e delle persone in difficoltà segnalate dall’azienda sanitaria. Questo obiettivo viene perseguito attraverso quattro punti: la creazione di un luogo di incontro e socializzazione, lo sviluppo di competenze nel campo della sartoria, l’inserimento lavorativo e la sperimentazione di percorsi innovativi di collaborazione con soggetti profit e non profit. Facciamo il modo che, il laboratorio di sartoria sociale sia, da un lato, un luogo di incontro di persone e anche di formazione a cui, dall’altra, si unisca un’anima produttiva e imprenditoriale che possa diventare un luogo strutturato nel quale realizzare oggetti e le persone possano quindi trovare un luogo di lavoro in cui sperimentare un modo nuovo di collaborare tra il settore profit e non profit. A tal proposito, il Covid – 19 ci ha dato una svolta, perché noi siamo appunto partiti con i due aspetti che volevamo portare avanti e, con la pandemia, inizialmente si è bloccato tutto. In seguito, però, ci è venuta l’idea di provare a fare le mascherine e, a quel punto, è ripartita la parte produttiva, perché siamo entrati in rete con altre cooperative. C’è stato poi un periodo in cui abbiamo prodotto un grande numero di mascherine all’interno di commesse che avevamo insieme ad altre cooperative. Partendo dalle mascherine, sono stati inseriti dei richiedenti asilo in percorsi di tirocinio lavorativo. Successivamente abbiamo pensato ad altri articoli da realizzare, quali ad esempio accessori, beauty, pochette e borse. Inoltre, grazie alla collaborazione con l’azienda sanitaria, siamo entrati in contatto con un’azienda del territorio che lavora nel campo della tappezzeria, con la quale abbiamo creato un rapporto di collaborazione e, per loro, abbiamo prodotto dei copri vasca idromassaggio destinati a una grande multinazionale italiana. Questa collaborazione è andata oltre, nel senso che non è stata solo l’affidarci una commessa, ma è nato un rapporto di coprogettazione, in quanto loro hanno mandato del personale esperto che ha formato i nostri ragazzi ed ha insegnato loro a lavorare con una logica più produttiva e industriale. Oltre a ciò, tale rapporto è proseguito, noi abbiamo fatto da incubatore e, alcune persone che facevano il tirocinio da noi sono state assunte dall’azienda tessile. L’idea del laboratorio è proprio quella di far crescere le persone e far emergere le professionalità che le persone hanno in campo sartoriale, con l’obiettivo di collocarle poi nel settore profit, al fine di poter dare una opportunità a più persone”.

Le borse del progetto “T-essere” (© Nuovi Vicini)

Quali sono i vostri auspici per il futuro? In che modo chi lo desidera può aiutare la vostra azione?

“Il sogno grande che abbiamo è quello che questo laboratorio diventi un’impresa sociale di comunità. Ci piacerebbe che la stessa sia un’esperienza non solo della Nuovi Vicini o della Caritas, ma in qualche modo, riesca a mettere insieme tante realtà della comunità del nostro territorio. Il settore tessile e sartoriale rappresenta una caratteristica del territorio pordenonese in quanto, nel passato, c’erano molte imprese tessili qui. L’auspicio è che, partendo da questo, si possa appunto creare un’impresa sociale di comunità. In questo momento “T-essere”, oltreché da Caritas e Nuovi Vicini, è sostenuto anche dall’azienda Emanuele Mariotto, dalla San Vincenzo de Paoli che ci ha dato lo spazio, dall’azienda sanitaria per quanto riguarda i tirocini e Zanussi con cui collaboriamo per realizzare altri tirocini e delle piccole cose. Ci piacerebbe proprio fare una rete di persone che credono nel laboratorio e in questa realtà, per sperimentare un nuovo modo di lavorare che metta insieme realtà e organizzazioni diverse, in cui ognuno porta la propria specificità e finalità. In qualche modo vorremmo che “T-essere” dimostri che si possono mettere insieme gli aspetti economici e sociali, la produzione di valore economico e un impatto positivo sul territorio. Il singolo cittadino può sostenerci sia portandoci materiali e stoffe, comprando i nostri prodotti al dettaglio e facendoci conoscere perché ciò ci consente di allargare la nostra rete”.