Le farmacie a servizio degli ultimi

Si terrà fino al 10 febbraio la Giornata di raccolta del farmaco che, quest'anno, per celebrare i 20 anni di attività del Banco Farmaceutico, durerà un'intera settimana. Come funziona? Sarà possibile acquistare – in una delle circa 4.900 farmacie che hanno aderito – uno o più medicinali da banco che, successivamente, saranno consegnati agli oltre 1.800 enti assistenziali convenzionati con Banco Farmaceutico. La Giornata è resa possibile da oltre 20mila volontari che svolgono il turno in farmacia e da più di 15mila farmacisti. La decisione di estendere la raccolta ad una settimana nasce dalla necessità di rispondere in maniera più efficace al fabbisogno espresso dagli enti. Nella scorsa edizione della Grf, infatti, nonostante l’ottimo risultato (421.904 confezioni di farmaci raccolte, pari a un valore di 3.069.595 euro) è stato possibile soddisfare solamente il 40,5% delle richieste degli enti assistenziali. In Terris ha approfondito l'argomento con il dottor Sergio Daniotti, presidente della Fondazione Banco Farmaceutico

Fino al 10 febbraio si svolgerà la Giornata di raccolta per il farmaco. Che importanza ha questa iniziativa?
“E' talmente importante che quest'anno abbiamo deciso di farla durare una settimana. L'iniziativa nasce venti anni fa con l'idea di raccogliere i farmaci da banco donati dai cittadini per aiutare gli indigenti, ossia tutti coloro che sono in stato di povertà, attraverso quelli che vengono definiti gli enti di prossimità, cioè coloro che poi incontrano realmente i poveri. Quest'anno abbiamo distribuito e distribuiremo a 1.800 enti in Italia che assistono chi è in stato di necessità dal punto di vista sanitario, ossia più di mezzo milione di persone. E' una realtà importante. Noi raccogliamo tutti quei medicinali che si possono acquistare senza ricetta, ma non per questo sono meno importanti”.

Chi sono i destinatari di questa iniziativa?
“L'evento è organizzato in questo modo. Hanno aderito circa 4.900 farmacie, in costante crescita nel corso dell'anno. Ogni farmacia è abbinata a un ente di prossimità, come la Croce Rossa, Centro Astalli, Sant'Egidio, tutti coloro che hanno un ambulatorio e aiutano chi ne ha necessità”. 

Quante sono le persone in Italia che devono scegliere tra il comprare da mangiare o curarsi?
“Sono moltissime. In stato di povertà ci sono 5 milioni di persone, un milione e duecento mila famiglie. Povertà assoluta significa che il reddito di quella famiglia non è sufficiente per acquistare quello che è ritenuto il minimo per condurre una vita normale. Il minimo che uno dovrebbe avere a disposizione è calcolato intorno agli 800 euro. Il dato che emerge, e che fa sempre riflettere, è che il 50-60% delle persone in povertà sono italiani, il resto stranieri. Verrebbe da chiedersi perché, in un Paese che ha il sistema sanitario ritenuto uno dei migliori al mondo, ci sono dei cittadini italiani che fanno difficoltà a comprare medicinali. Primo perché alcuni farmaci non sono rimborsabili, due perché alcune cure domiciliari non vengono erogate a chi non la residenza. Pensiamo a tutte le persone senza fissa dimora: sì hanno diritto ad accedere ai pronto soccorso, ma non hanno cure domiciliari, per questo si rivolgono agli enti di prossimità”. 

Quanto spendono le famiglie per curarsi?
“Da alcuni anni, con l'Università Cattolica di Milano, in particolare con la facoltà di farmacologia, abbiamo organizzato un Osservatorio sulla povertà sanitaria, ed emerge che le famiglie povere spendono cinque volte meno delle altre in prevenzione. Faccio l'esempio delle cure dentali: un povero spende circa 10 euro l'anno per l'igiene orale, quasi niente. Ma spende molto di più in farmaci perché se ha mal di denti lo deve curare, per lo meno con un antidolorifico”. 

Lei ha parlato di povertà sanitaria o farmaceutica, che portata ha questo problema in Italia?
“Dai dati che noi abbiamo, le cure vengono distribuite a poco più di mezzo milione di persone. Non distribuiamo solo farmaci da banco, ma anche medicinali più importanti che ci vengono donati dalle case farmaceutiche e così cerchiamo di coprire il fabbisogno degli enti”. 

A livello sanitario, come si posiziona l'Italia in Europa?
“Il nostro servizio sanitario è considerato tra i migliori al mondo, perché universalistico: chiunque in Italia ha diritto all'assistenza sanitaria se si rivolge a un pronto soccorso. Come servizio rimane tra i primi dieci al mondo, in Europa è al secondo posto dopo quello inglese. C'è uno sforzo di offrire a tutti questo servizio, soprattutto le cure importanti. C'è un problema però: se da un lato garantiamo il pronto soccorso, alle dimissioni, soprattutto i clochard, perdono l'assistenza in quanto non hanno dimora. Ci sono diversi progetti in Italia in corso in cui si cerca di intercettare i senza tetto alle dimissioni per poter garantire loro le cure. Questo avviene grazie alla rete di volontariato. Penso che questo debba essere riconosciuto”.