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Dai clan ai servizi sociali: co-working solidale

Finalità sociali e condivisione. Secondo il rapporto dell’associazione Libera sono più di mille le associazioni, cooperative sociali, diocesi e parrocchie impegnate a dare nuova vita alle strutture sequestrate ai criminali. Ne è un esempio ciò che sta accadendo alle porte della capirale. Intervento di oltre un milione di euro di fondi Pnrr della Città metropolitana di Roma nel comune di Ariccia, per l’apertura cantiere Pui (Piani urbani integrati) di “Villa Ricordi” ad Ariccia. L’immobile che è situato a pochi passi dalla via Appia Nuova, dal santuario di Galloro e da Colle Pardo, è stato confiscato alla criminalità organizzata e sarà oggetto di un intervento di ristrutturazione profonda e completa e sarà utilizzata per servizi sociali e progetti di co-working. Sorgerà all’interno anche un hub per il co-working e lo smart working orientato all’inclusione sociale e lavorativa delle fasce fragili della cittadinanza, alla promozione di un modello operativo che favorisca la connessione tra le politiche di contrasto alla povertà con le politiche attive del lavoro. “In questo intervento – dice il vicesindaco della Città metropolitana di Roma e delegato del sindaco per il Pnrr, Pierluigi Sanna – oltre a restituire ai cittadini un bene confiscato alle mafie, la comunità potrà utilizzarlo per sviluppare tutti i progetti sociali elaborati con le diverse associazioni locali, che da sempre si sono battute per la tutela dei cittadini più fragili sotto il profilo psico-sociale e che verranno ospitate nella struttura di Villa Ricordi. Un bene immobiliare di grande pregio che torna alla comunità, funzionale alle esigenze dei cittadini che diventano i diretti fruitori. Un segnale importante per un investimento di legalità”. 

Foto di Spencer Davis su Unsplash

Finalità sociali

Il sistema del riutilizzo sociale degli immobili confiscati ai clan vede l’Italia all’avanguardia ma che comincia a trovare applicazione anche all’estero. In Europa, oltre all’Italia sono 18 gli Stati nei quali esiste una legislazione specifica sull’uso dei beni confiscati per scopi di interesse pubblico o sociali. E 18 sono le esperienze concrete: due in Spagna, tre in Romania, in Bulgaria e in Belgiouna in Francia e Olanda e cinque in Albania. In assenza di specifiche normative che qualifichino il delitto di “organizzazione criminale di tipo mafioso” e regolino la confisca dei beni, in America Latina il sequestro si applica principalmente su beni mobili e immobili collegati a crimini gravi come il narcotraffico o la tratta di esseri umani. Sono 7 le esperienze di riutilizzo sociale, quattro in Argentina e tre in Colombia. In Italia il 34,7% dei beni confiscati alla criminalità sono appartamenti, abitazioni indipendenti, immobili. Il 19,6% ville, fabbricati su più livelli e di varia tipologia catastale, palazzine. Il 18,3% terreni agricoli, edificabili e di altra tipologia; il 9,5% locali commerciali o industriali, capannoni, magazzini, locali di deposito, negozio, bottega, uffici. La dimostrazione di quanto gli affari e gli investimenti dei clan siano diffusi in ogni settore economico. “Oggi, dopo 28 anni dall’approvazione della legge 109 – dichiara ad Avvenire Tatiana Giannone, responsabile nazionale Beni Confiscati di Libera – possiamo scrivere con convinzione che il primo obiettivo è stato raggiunto. I beni confiscati, da espressione del potere mafioso, si sono trasformati in beni comuni, strumenti al servizio delle nostre comunità“.

Foto © InTerris

Welfare

“Più di 500 associazioni di diversa tipologia, oltre 30 scuole di ogni ordine e grado che usano gli spazi confiscati come strumento didattico e che incidono nel tessuto territoriale e costruiscono economia positiva– prosegue Giannone-. Un’economia che tutti noi possiamo toccare con mano e che cambia radicalmente le nostre vite. Poter firmare un contratto di lavoro vero, poter usufruire di servizi di welfare laddove lo Stato sembra non arrivare, poter costruire il proprio futuro nel mondo del lavoro. Tutto parla di un Paese che ha reagito alla presenza mafiosa e che con orgoglio si è riappropriato dei suoi spazi”. Ma, avverte Giannone, “raccogliamo segnali preoccupanti del mondo della politica. Un attacco costante alle misure di prevenzione, tentativi di privatizzare i beni confiscati e piegarli alla logica dell’economia capitalista, una gestione delle risorse dedicate piuttosto confusionaria. Non possiamo accettare che ci siano passi indietro su questo”. Anche perché la quantità dei beni confiscati è enorme.

Milano 20/03/2019 –
mostra MilaNo mafia / foto Daniele Buffa/Image

Mappa

“Nel dossier Libera ha elaborato i dati dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (al 22 febbraio 2024) dove sono 22.548 i beni immobili destinati ai sensi del Codice antimafia (+14% rispetto al 2023) mentre sono 19.871 gli immobili ancora in gestione ed in attesa di essere destinati – puntualizza Antonio Maria Mira-. Sono invece 3.126 le aziende destinate (+77% rispetto al 2023) mentre sono 1.764 quelle ancora in gestione. Anche per questi dati, riferisce Avvenire, è in testa la Sicilia sono 7.727 e 8.656 ancora in gestione”. Segue la Calabria con 3.137 e 1.880 e la Campania con 3.106 e 3.416. Nel Nord spicca la Lombardia con 1.590 beni immobili destinati mentre e 1.552 ancora in gestione. Cambia di poco la geografia regionale sul fronte delle aziende. In Sicilia sono 551 le aziende destinate mentre sono 913 quelle ancora in gestione. Segue la Campania con 330 e 669, il Lazio con 259 e 449, la Lombardia con 135 e 238, la Puglia con 118 e 129. “Dati che fotografano con chiarezza gli enormi investimenti mafiosi e di come sia ancora assolutamente necessario applicare l’insegnamento di Giovanni Falcone, ‘segui il denaro e troverai la mafia‘- osserva Mira-. Ma oggi, sempre di più, seguendo il denaro mafioso si trovano storie di un’antimafia vera, concreta, efficace”.

Giacomo Galeazzi

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