Vincent Lambert e la legge della morte

Dopo Therry Schiavo in America, Eluana Englaro in Italia e, recentemente, Charlie Gard in Inghilterra, ora anche la Francia ha il suo caso: Vincent Lambert condannato anch’egli a morire di fame e di sete.

La sentenza di morte infatti è stata ormai pronunciata dal Consiglio di Stato francese, il quale – in base alla legge Leonetti-Claeys  e con la motivazione “ostinazione irragionevole” – aveva stabilito che, dopo la richiesta dell’ospedale Chu Sébastopol di Reims del 9 aprile 2018 e l'autorizzazione del tribunale amministrativo di Châlons-en-Champagne dello scorso gennaio, il 24 Aprile doveesse essere interrotta l’alimentazione e l’idratazione a Vincent Lambert, 42enne tetraplegico che da 11 anni ed in seguito ad un incidente è in stato di minima coscienza.

La sentenza al momento appare congelata da due ricorsi  distinti presentati dagli avvocati di parte alla Corte europea dei diritti dell’Uomo (Cedu) ed al comitato dell’Onu sui diritti delle persone con disabilità.

A nulla sono valse le perizie di 55 specialisti del settore così come le richieste avanzate dai genitori – definiti come “vicini ai cattolici integralisti della Fraternità sacerdotale di san Pio X” (Le Monde) – di trasferimento in strutture più idonee al trattamento di tali patologie.

Il grande vulnus antropologico, filosofico, bioetico e purtroppo ideologico è rappresentato dall’ambiguo concetto che anche in Italia si ha a proposito dell’autodeterminazione secondo cui se da un lato di fronte ad una richiesta di morte ha valore la volontà del paziente o del tutore (Dat), dall’altro al contrario di fronte ad una richiesta di voler continuare a vivere si sostituisce lo Stato con una sentenza di morte.

Si comprende bene come il supplire da parte dello Stato alla volontà genitoriale rappresenti una china molto pericolosa considerando le centinaia di migliaia di casi di disabili gravi, di stati di minima coscienza e di anziani non autosufficienti presenti nelle varie realtà che con questa visione ideologica e con tali motivazioni giudiziarie rischiano di essere viste come “vite non degne” di essere vissute e, quindi, da sopprimere.

E chi stabilisce se un vita è degna di esser vissuta? Forse lo Stato? O una commissione medica il più delle volte  ideologizzata? L’allocazione delle risorse? O piuttosto la persona e in sua vece i suoi cari? Dare la morte per “legge” per pietà o ancor peggio per amore, equipara l’essere umano ad un qualsiasi altro essere vivente del regno animale, ma la persona umana non è soltanto corporeità ma spirito ed anima.