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La testimonianza di Rony Tabash: come vivono i commercianti di Betlemme

Betlemme è una città nello stato della Palestina che fonda la sua economia sui pellegrini che ogni giorno la riempiono per visitare la mangiatoia, dove la tradizione cristiana racconta, essere nato Gesù. Già dal primo attacco di Hamas a Israele, i turisti se ne sono andati e la maggior parte dei ristoranti, dei negozi di souvenir e degli alberghi hanno chiuso a data indefinita. Una situazione difficile, sopratutto se si considera che solo ora la città si stava riprendendo dalla stangata avuta durante la pandemia che l’aveva economicamente messa in ginocchio. 

L’intervista

Tra i commercianti storici di Betlemme c’è Rony Tabash, giovane imprenditore di 41 anni palestinese cristiano cattolico che da sempre vive nella città dove è nato Gesù. Lui è titolare di un negozio di souvenir nella piazza della Natività, aperto dal nonno nel lontano 1927 e anche ora che i pellegrini mancano Rony ogni giorno si reca nella sua bottega. Interris.it lo ha intervistato e lui con tanta generosità ha raccontato le emozioni che porta nel cuore.

Rony, voi commercianti di Betlemme come state?

“Stiamo vivendo un momento molto buio e la maggior parte di noi ha perso completamente  la speranza nel futuro. Betlemme è una città molto diversa da Gerusalemme la cui economia è più aperta. Qui invece, tutte le attività presenti gravitano attorno al turismo e ora che non c’è più siamo in grande difficoltà, la situazione economica rischia di peggiorare vertiginosamente, e i primi a pagarne le conseguenze saranno i semplici cittadini. Pensate che solo il mio negozio coinvolge circa venticinque famiglie che lavorano il legno dell’ulivo e  con la chiusura momentanea della mia attività, anche loro sono fermi e non guadagnano. Già durante la pandemia è stato molto difficile. Dopo due anni, piano piano le serrande dei negozi si sono rialzate, gli albergatori hanno riaperto, ed ora una nuova legnata che davvero non ci aspettavamo. Purtroppo nessuno di noi ha la minima idea di che cosa accadrà domani, per cui è difficile fare previsioni a breve e a lungo termine”. 

Quali sono le conseguenze?

“Come ho detto prima, se i pellegrini non ci sono nessuno può lavorare e questa situazione sicuramente recherà una una condizione di estrema povertà e molto velocemente l’economia verrà distrutta. Qualche giorno, fa per la prima volta dopo venti giorni di conflitto, ho venduto un piccolo Gesù Bambino a una suora che vive qui a Betlemme. Lo ha acquistato per la sua camera, come simbolo di pace in un momento di grande sbandamento. Il mio guadagno è stato nullo, ma io ero felice perché quella vendita mi sembrava l’inizio di una fase di rinascita. In questa condizione di pericolo ci troviamo a gioire per le piccole cose, che fino a poco tempo fa ci sembravano assolutamente insignificanti”. 

Tu ogni giorno ti rechi apri il negozio. Perché lo fai?

“Io mi trovo nella piazza della Natività, simbolo per eccellenza del miracolo della vita e dove tutti noi cristiani siamo nati. Aprendo le serrande desidero lanciare un messaggio di fede, a credere che non siamo soli e che tutto prima o poi tornerà come prima, compresi i pellegrini. Trascorro il tempo pulendo, sistemando gli scaffali, poi vado in Chiesa a pregare e faccio una passeggiata in quella che definisco la “mia piazza” e vederla deserta a volte mi fa davvero rabbrividire”.

Che messaggio vi invia il piccolo Gesù, riposto nella mangiatoia?

“Lui è sempre presente nelle nostre vite. In questo momento di grande sofferenza lui ci vuole rincuorare e ci dice di essere forti. Siamo in questo luogo sacro che dobbiamo custodire con tanto amore. Noi tutti siamo pervasi da due sentimenti contrastanti, da una parte siamo molto spaventati per tutto l’odio che ci circonda e per questo chiediamo la pace, dall’altra la vicinanza con Gesù ci fa sentire fortunati perché qui a Betlemme possiamo davvero avvertire la sua presenza”.

Elena Padovan

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