“Per privatizzare servono imprenditori”

Dal 1992 l’Italia ha imboccato la strada delle privatizzazioni. “Serve una valutazione oggettiva della situazione e privatizzazioni e liberalizzazioni vanno viste caso per caso. Questo vale per Alitalia, per le concessioni autostradali, per tutto il resto, afferma il professor Giuseppe Roma, già direttore generale del Censis e fondatore della Rur (Rete urbana delle rappresentanze), che con il Sir fa il punto su successi e insuccessi delle privatizzazioni in Italia. “Le privatizzazioni nel nostro Paese sono state avviate in un momento difficile, perché dovevamo entrare nell’Euro e avevamo problemi di debito e di deficit. Quando hai bisogno di soldi devi vendere degli asset appetibili perché nessuno ti compra un costo – spiega Roma -. Talvolta, le privatizzazioni le abbiamo fatte anche in maniera anticipata: per esempio, non si capisce come un Paese che molto spesso ha degli eccessi di corporativismo abbia liberalizzato e privatizzato, penso alle ferrovie, prima dei partner europei.

Equivoco autostrade

Nel dare in concessione i binari ad un privato, Italo, l’Italia è stata la prima a fare una cosa del genere in Europa. E, possiamo dire che è non andata male, anzi, è stato uno stimolo perché il pubblico migliorasse: oggi Trenitalia con l’alta velocità è più competitiva di quanto fosse prima. E francamente penso che non abbiamo uno Stato che si fa rimpiangere nella gestione”. E, aggiunge, sulle autostrade c’è un grande equivoco, perché non sono mai state statali ma sono sempre state una concessione La Società Autostrade era una società autonoma, concessionaria anche se di proprietà totalmente pubblica. “In realtà, io non sono per le privatizzazioni perché non può essere quella del “privatizziamo tutto” la ricetta- sottolinea Roma- .Oggi bisogna tener conto che c’è un ritorno alla dimensione pubblica, a ri-pubblicizzare, per far fronte a difficoltà come nel caso di Alitalia o di Telecom-Tim. Ma siamo in una situazione diversa dal passato. Negli anni ’50 l’Italia aveva bisogno dello Stato perché non aveva dei capisaldi importanti che potessero dare un contributo allo sviluppo nazionale”. Con la competizione attuale ci sono diversi fattori che portano necessariamente verso l’imprenditorialità. “La Ratp, l’azienda di trasporti parigina, è di proprietà dello Stato francese, neanche della città di Parigi. Ma nessuno se ne accorge, perché è un’azienda che funziona a vantaggio dei cittadini- precisa Roma-. Per noi, il concetto di impresa pubblica è stato quello di una realtà che garantisce l’occupazione, con contratti a volte migliori di quelli del privato.

Acqua pubblica

Oggi, tutto questo è impensabile, in un Paese nel quale non è detto che la gestione pubblica ottenga maggiori risultati. Il vero problema delle privatizzazioni è il concedente, non tanto il concessionario. E troppo spesso il concedente non esercita il suo ruolo, quello di controllare e verificare”.Un altro settore tornato recentemente al centro dell’attenzione è quello dell’acqua. “L’acqua pubblica è di tutti alla fonte. Per portarla nelle case e per depurarla dai residui ci vuole un processo industriale. Può essere pubblico o privato, ma resta un processo imprenditoriale. Oggi il servizio idrico è grandemente in mano ad aziende pubbliche- sottolinea Roma-. L’idea che il pubblico sia l’ente pubblico, cioè che ci sia la gestione diretta, non penso siamo in grado di metterla in pratica. L’acqua è un bene primario, ma abbiamo migliaia di gestioni comunali. Periodicamente torna nel dibattito pubblico l’idea di nazionalizzare servizi di pubblica utilità. “Uno degli effetti più negativi delle privatizzazioni è l’aggressività commerciale delle imprese che fanno utilities, cioè telecomunicazioni, gas, energia. L’unica funzione che viene sviluppata è quella del marketing. Nessuno produce più energia, tutti la vendono e siamo tormentati da queste offerte. Questa è una distorsione del meccanismo”, avverte Roma.