L'ultimo dono di don Benzi

Cosa spinge una donna a rimanere immobile a letto per 89 giorni? Coraggio, la ferrea volontà di salvaguardare la vita che porta in grembo e una grande fede. E' questa la storia che emerge dal libro “Un miracolo per la vita. L'ultimo dono di don Oreste Benzi”, dove i due autori, Matteo Brunamonti e Helvia Cerrotti, raccontano in modo semplice ma appassionato, la storia di quest'ultima. Un'infanzia felice, la storia di amore con Enzo, mai accettata dai genitori. La scoperta di essere incinta e la decisione di abortire: un dolore così grande che la porta ad allontanarsi dall'uomo della sua vita e a “perdere” un pezzetto del suo cuore, dove si annida il ricordo sempre presente di quel bimbo mai nato.

Poi l'improvvisa decisione di partire per l'Africa con Enzo: è qui che il loro amore sboccia di nuovo, se possibile più forte di prima. Inizia così una nuova vita di coppia, coronata dalla gioia di diventare presto genitori. Una nuova gravidanza, vissuta con una consapevolezza diversa. Ma il 9 settembre 2007 il sacco amniotico si lacera. Il pessimismo dei medici che non credono nel lieto fine di questa gravidanza, le dolorose terapie a cui si deve sottoporre quotidianamente per permettere alla sua piccola di crescere, la lontananza dai familiari e l'essere costantemente costretta a letto, fanno precipitare Helvia nello sconforto. Ma ecco che arriva una telefonata inaspettata: “Helvia don Aldo mi ha raccontato tutto di te. Sii serena; la tua Susanna nascerà sana e libera. E te lo dice uno che presto avrà un contatto ravvicinato con la Madonna. Tu preghi la Madonna, vero?”. Era don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, che sarebbe morto dopo pochi giorni da quella chiamata. 

Tutti intorno a voi vi avevano sconsigliato di portare avanti la gravidanza. Cosa ha spinto te e tuo marito ad andare contro i pareri di medici e familiari e rifiutare l'aborto terapeutico?
“L'assoluta certezza e serenità che mi hanno pervaso fin dal primo momento dell'accaduto e che poi non mi hanno mai abbandonato. Una cosa fuori dalla norma, anche oggi ho difficoltà a pensare a ciò che ho fatto. Stare immobile in un letto non essendo paralizzata, ma perfettamente attiva fisicamente e lo fai perché i medici ti hanno consigliato così, perché questo potrebbe in qualche modo aiutare la creatura che porti in grembo. L'assoluta serenità anche nell'affrontare la solitudine. Dopo il trasferimento all'ospedale di Perugia con me non c'era nessuno, Enzo aveva ancora lo studio a Pescara, i miei genitori si sono dovuti occupare della farmacia, quindi io li vedevo poco. Questo mi ha permesso di costruire rapporti umani anche profondi. Io sono stata allettata per 89 giorni e avevo bisogno di tutto. Ci sono delle cose che sono accadute anche grazie a questa serenità che mi girava intorno, io parlavo molto, cercavo di infondere coraggio a chi mi era vicino. E poi questa bambina non era morta, cresceva, come potevo essere io la causa, dopo tutto il mio passato, della sua morte?”

La Madonna di Fatima ti ha accompagnato durante tutto il tempo della degenza in ospedale. Ritrovavi la sua immagine solo nelle stanze in cui eri ricoverata, cosa hai pensato?
“Io sono sempre stata abbastanza mariana come tendenza, se mi trovo a pregare da sola, mi accorgo di pregare la Madonna. La stimo perché è mamma e donna e quindi cerco sempre di tenerla vicina a me. Questo discorso è emerso gradualmente, in quanto ho iniziato a fare caso a quello che accadeva. D'altronde non avevo molto altro da fare oltre a leggere, scrivere e pensare. A un certo punto ho visto che nella prima stanza c'era l'immagine della Madonna di Fatima, nella seconda pure e così anche nella terza. Al che ho chiesto a mio marito di controllare cosa ci fosse appeso nelle varie stanze dell'ospedale. Richiesta che lo ha lasciato un po' perplesso, ma alla fine mi ha accontentata. Lui con molta pazienza ha girato per tutte le camere e in alcune ha trovato le immagini di Padre Pio, San Giovanni Paolo II, Gesù… in nessuna un'immagine della Madonna. Poi la visita di mia nonna che mi ha regalato un rosario dedicato alla Vergine di Fatima. E ancora un'infermiera di origini cubane, appena rientrata da una vacanza che mi ha appeso in stanza un poster sempre della Madonna di Fatima e poi, non ultimo, tornata a Fabriano, mi è arrivata per posta la comunicazione dell'inizio del pellegrinaggio della Madonna di Fatima. In itinere questa presenza continua non poteva che sollevarmi, sapevo che lei era vicino a me”.

Durante questi 89 giorni in ospedale don Aldo ti è rimasto vicino…
“Don Aldo è stato un autentico 'rompiscatole', in senso buono. Si è messo in testa che mi doveva fare da guida spirituale in questo frangente e così ha fatto. Noi ci conoscevamo pochissimo, sì gli avevamo chiesto aiuto per alcune questioni, ma nulla di più. Quando ha saputo la mia condizione ha deciso che mi avrebbe accompagnato spiritualmente e puntuale come un orologio, perseverava con il telefornarmi. Prima di tutto questo io, sì ero credente, ma la mia fede non era molto grande. Quindi quando quel giorno mi ha chiamato, per me era la telefonata di routine e invece ha voluto farmi questa grande sorpresa, non so come ci ha pensato. Era in viaggio con don Oreste e stavano andando a pregare davanti a un ospedale nel giorno in cui venivano fatti gli aborti. Mi ha fatto parlare con don Oreste che mi ha detto che la mia bambina era una protetta della Madonna… Di telefonate me ne aveva fatte tante, ma come mai proprio quel giorno? Perché ha scelto proprio il momento in cui era con don Oreste? Come mai mi ha detto proprio quelle parole? Ecco che allora uno lascia in sospeso tutto… Quando racconto questa storia parlo della 'magia' che ha permesso a Susanna di nascere. La stessa 'magia' che ha fatto sì che questo libro venisse pubblicato da una casa editrice importante. Ma perché parlo di 'magia'? Per dare un alibi ai non credenti, per fornire loro uno spunto di riflessione. Per me è tutto meno che 'magia', è fede!”.

Quando don Oreste ti ha detto che Susanna sarebbe nata sana e libera e che era una protetta della Madonna, cosa hai provato?
“Ho pianto. Intanto quando ripeto le parole di don Oreste ancora oggi mi vengono i brividi perché risento la sua voce che mi ha accompagnato negli anni. Nei momenti bui penso a lui e alla sua voce calda, tranquilla, serena, con l'accento romagnolo. 'Helvia, don Aldo mi ha raccontato tutto di te. Sii serena; la tua Susanna nascerà sana e libera. E te lo dice uno che presto avrà un contatto ravvicinato con la Madonna. Tu preghi la Madonna, vero?'. Considera che tutti i giorni veniva questa schiera di medici intorno al mio letto a elencarmi tutti i problemi che aveva la mia bambina: 'la retina non si è mai idratata… i polmoni non si sono espansi… gli organi interni non sappiamo in che condizioni sono…' Questo era il rito quotidiano, io chiedevo che non mi dicessero nulla ma loro, forse per tutelarsi, ogni giorno mi ripetevano questa storia. Quindi, quando ho ricevuto la telefonata di don Benzi che mi diceva che la mia bambina sarebbe nata sana e libera… ho pianto”.

Le terapie che hai dovuto affrontare sono molto dolorose perché vengono fatte senza anestesia….
“Sì, certo. Tutti i giorni dovevano iniettarmi del liquido per permettere alla bambina di rimanere idratata. Questo ago che entra e che esce.. e poi appena Susanna si muoveva, subito loro si dovevano togliere e pungermi da un'altra parte. Ho avuto un medico strepitoso, il dottor Clerici, che grondava di sudore appoggiato sulla mia pancia. Pensa che i dottori ti avvertono sempre che l'amniocentesi è pericolosa perché c'è il rischio di pungere il bambino. Quello è un esame che viene fatto una sola volta… io dovevo fare queste iniezioni tutti i giorni. Il dottor Clerici cercava delle piccole tasche dove non c'era liquido e lì si insinuava con la sua acqua fisiologica e antibiotico, perché l'altro problema grave era che la bambina essendo a diretto contatto con l'esterno potesse sviluppare delle infezioni”.

Hai mai pensato di dire basta?
“No mai, neanche un secondo. Cosa che invece è successa ad altre ragazze. Nel corso del tempo sono stata chiamata un sacco di volte da quel reparto per raccontare la mia storia, per infondere coraggio ad altre donne. Ci sono riuscita solo una volta, purtroppo però le cose non sono andate proprio benissimo come sono andate a me. Ci sono stati un po' di problemini, ma la bambina è nata”. 

Tu e tuo marito Enzo avete dimostrato grande coraggio, ma una fede ancora più grande. Te la senti di dire qualcosa a quelle donne che magari stanno pensando all'aborto come una soluzione per una gravidanza indesiderata, o perché hanno saputo che il loro bambino non nascerà sano?
“L'unica cosa che si può dire è che non siamo noi i padroni della vita di un'altra persona. Questa vita è straordinaria e segue il corso della natura, noi non contiamo nulla. Non contiamo nulla neanche nel concepimento di una vita nuova, quindi come possiamo pensare di andarla a interrompere? Non può essere una cosa che nel tempo riesci ad accettare, una decisione simile non può lasciarti serena. Avrai sempre questo macigno, questo peso sulle spalle. Ci sono mille bambini nati, non solo con problemi, ma nati da situazioni terribili, come incesti, stupri durante la guerra, ma sono nati. Onore a quelle mamme che hanno sentito il dovere di portare a termine un percorso”.