“La vita vale sempre”

La legge sul Biotestamento, il cui voto finale è previsto oggi in Senato, potrebbe creare in Italia casi come quello del piccolo inglese Charlie Gard. Ne sono convinti in tanti. Ha evocato questo spettro l’on. Eugenia Roccella nel corso di una conferenza in Senato, la scorsa settimana. L’avv. Francesco Cavallo, del Centro Studi Livatino, lo ha ribadito: “Tanti piccoli Charlie Gard potranno essere condannati a morte anche in Italia”.

Una storia che ricorda, per molti versi, quella di Charlie è stata pubblicata oggi sul sito di Steadfast Onlus. È la storia di una ragazza italiana, diventata madre nel maggio 2000 in Gran Bretagna.

La vicenda

La donna, di nome Daniela, racconta in prima persona i tormenti che ha dovuto subire in un ospedale di Londra. Giunta al termine di una gravidanza vissuta senza alcuna complicazione, decise di fare il parto in acqua. Ma è proprio all’interno della vasca che iniziarono i problemi, dopo diverse ore dalla rottura delle acque e di contrazioni.

“Inimmaginabile come sono stata trattata, in vasca per ore con fortissime contrazioni, non riuscivo a spingere, senza monitoraggio, nessun cenno di un possibile cesareo nonostante le dimensioni del bambino e le contrazioni che si indebolivano”, afferma.

E prosegue: “Portata fuori dalla vasca dai due nuovi ostetrici del turno successivo, messa in tutte le posizioni inimmaginabili per arrivare ad avere una bradicardia del feto, due episiotomie, un arresto cardiaco di Ismael (questo il nome del piccolo, ndr), espulso con forza e rianimato, senza esito, per circa 15 minuti, fino all’arrivo dell’incubatrice dove è stato messo intubato e portato in terapia intensiva neonatale”.

Un figlio in fin di vita

Tutto lasciava presagire il peggio, il grave danno celebrare del bambino offriva poche speranze per la sua sopravvivenza. Una sensazione che Daniela definisce assurda: “Entrare in ospedale per essere assistiti e trovarsi, per una negligenza, con un figlio in fin di vita”.

Secondo i medici era clinicamente morto, racconta la madre. “Da lì – afferma – comincia la saga della possibilità di spegnere le macchine che lo tengono in vita”. La madre racconta che ogni giorno incontrava un medico che le ribadiva che il piccolo “non avrebbe potuto sopravvivere e che, nel caso ce l’avesse fatta, la sua vita sarebbe stata un inferno, e altrettanto la nostra come genitori”.

Il coraggio dei genitori

I genitori incaricarono allora un avvocato, per difendere il diritto alla vita del figlio. La causa non decollò, ma Ismael sopravvisse. Oggi a diciassette anni, vive in Italia e ha due fratelli minori che lo adorano.

“Per me non è mai stato un peso, la scelta di averlo fatto vivere è a totale carico di noi genitori. Lo Stato non dovrebbe mai immischiarsi in queste cose”, spiega Daniela. Che aggiunge: “Sono certa di aver fatto la scelta giusta, la vita vale sempre, e Ismael è un insegnamento profondo per tutti coloro che gli vivono accanto”.

Charlie Gard italiani?

La storia in questione entra nel dibattito odierno sulla legge sul Biotestamento. Si domanda Emmanuele Di Leo, presidente di Steadfast Onlus: “Se nella giornata di oggi la proposta di legge sulle Dat passerà, cosa sarà dei bambini affetti dalle stesse patologie di Ismael? Ci ritroveremo con nuovi Charlie Gard italiani. Cosa ne sarà di tutte quelle persone con gravi disabilità?”.

Di Leo paragona le Dat alle “living will” introdotte nell’ordinamento statunitense, con “degli emendamenti – dice – che davano autorizzazione ai medici a procurare direttamente la morte dei pazienti”. “Così anche oggi – prosegue – si vuole utilizzare le Disposizioni Anticipate di Trattamento per introdurre in Italia l'eutanasia e il suicidio assistito”.

La riflessione conclusiva di Di Leo è la seguente: “Invece di pensare ad uccidere, sarebbe bene fare leggi che migliorino la possibilità di accessibilità alla cura e alle cure palliative che allevino il dolore. Uccidere non elimina il dolore, elimina un'esistenza“.