La denatalità manda i giocattoli in pensione

Si abbassa la saracinesca dello storico negozio di giocattoli a piazza Navona. Un luogo poetico in cui ammirare ancora soldatini, bambole, burattini e cavalli a dondolo. Generazioni di bambini romani e forestieri in vacanza ne hanno osservato estasiati le vetrine e gli scaffali, col naso all'insù, strattonando il braccio del padre o della madre nella speranza di convincerli ad un acquisto. Nei locali che ospitavano la giocattoleria dovrebbe aprire un negozio di souvenir e bigiotteria, l'ennesimo nel centro storico di una città che sta perdendo sempre più la sua identità. Non è una chiusura isolata quella di piazza Navona.

La crisi

In Italia sono sempre di più i negozi di giocattoli che hanno deciso di arrendersi, come attesta un'inchiesta di Giuseppe Timpone pubblicata su “Investire oggi”.  Non ce la fanno le tradizionali botteghe a reggere l'impatto con l'e-commerce e gli stessi produttori sembrano non passarsela poi troppo bene. Persino un colosso come Lego ha conosciuto il suo annus horribilis nel 2017 con una crisi delle vendite pari all'8%. L'eccessiva tassazione sta conducendo sulla via del tramonto quel mondo operoso della piccola imprenditoria, dei commercianti troppo spesso trattati come un agnello sacrificale sull'altare del rigore fiscale. Il settore dei cosiddetti giocattolai sconta, poi, una doppia, se non tripla crisi. C'è il boom della vendita su internet, ma c'è anche il profondo cambiamento in corso nel modo di giocare: i bambini di oggi prediligono tablet e videogiochi, abbandonando al loro destino soldatini e bambole. I giocattoli di latta e di legno si fanno rari sugli scaffali colorati dei negozi e finiscono direttamente su quelli polverosi dei mercatini per collezionisti.

Il legame tra la chiusura dei negozi e le culle vuote

Ma la chiusura di queste tradizionali botteghe non può non essere collegata anche con il crollo demografico che l'Italia sta conoscendo ormai inesorabilmente da decenni. Le ultime stime dell'Istat sull'indice di natalità ci dicono che il 2017 ha visto la nascita di appena 464mila bambini, l'ennesimo nuovo minimo storico raggiunto da un Paese che non sa più fare figli. Non è irrilevante anche il fatto che il modello familiare ormai dominante è senza dubbio quello del nucleo ristretto come attestano ancora i dati dell'Istat: in Italia, 1.34 è il numero medio di figli per donna. Come ha spiegato il demografo Alessandro Rosina: “non si va oltre il primo figlio sia perché il primo si fa già molto tardi, e quindi poi sorgono le complicazioni legate all’età, sia per difficoltà economiche, legate all’assenza o alla precarietà del lavoro e all’impossibilità di conciliare lavoro e famiglia”.

Effetto domino

O non si fanno figli, quindi, o se ne fanno pochi. Questo non può non avere conseguenze anche sul mondo dei negozi di giocattoli dei quali i bambini sono i principali fruitori.  Le sorti di questo settore sono indissolubilmente legate a quelle dell'andamento demografico che in Italia ha imboccato una curva discendente dagli anni '70 e dal 2008 in poi sta toccando indici emergenziali. Nel suo piccolo, il destino dei giocattolai dimostra ancora una volta l'esistenza di un'interdipendenza tra demografia ed economia chesi tende troppo frequentemente ad ignorare. Oltre alle ripercussioni sul debito pubblico, che continua ad aumentare in maniera esponenziale dagli anni '70 proprio parallelamente all'avvio dell'inesorabile processo di denatalità, le culle vuote finiscono per mettere in ginocchio e condannare all'estinzione gli esercizi specializzati nel mondo dell'infanzia.  L'effetto domino è una conseguenza inevitabile: l'ultimo report realizzato dall'associazione Matercom ha attestato il crollo dei consumi per i bambini da 0 a 36 mesi. Adeguarsi ai nuovi gusti dei bambini sbarcando sul mercato di internet o specializzarsi nelle vendite ai collezionisti  potrebbe non bastare al mondo dei commercianti in giocattoli senza una ripresa generale della natalità in un Paese sempre più vecchio e sterile. Non smette di essere d'attualità l'appello fatto agli italiani da san Giovanni Paolo II nel 2000, denunciando proprio il “preoccupante calo demografico” che già da allora stava vivendo il Belpaese: il papa polacco invocava un intervento legislativo per invertire la rotta ma, al tempo stesso, ricordava: “è soprattutto ai coniugi che spetta di ravvivare la cultura dell'amore e della vita, riscoprendo la missione di genitori, da essi assunta nel momento del loro matrimonio”