In Italia nove aborti all’ora

Ottantamila interruzioni volontarie di gravidanza all’anno, nove all’ora. Sono queste le raccapriccianti cifre ufficiali di un genocidio avvolto da colpevole indifferenza. Una piaga resa ancora più sconvolgente perché esistono canali paralleli dove si praticano aborti senza che ne venga reso noto il numero. Si tratta di un olocausto silenzioso, di una crudele strage degli innocenti che, per ordine di grandezza, cancella ogni dodici mesi una città delle dimensioni di Treviso. 

Livello di disumanità

Nella prima celebrazione eucaristica del 2020, nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio, Papa Francesco ha pronunciato parole chiare e forti che delineano un perfetto manifesto per la difesa della vita. Le donne sono fonti di vita, eppure sono continuamente offese, picchiate, violentate, indotte a prostituirsi e a sopprimere la vita che portano in grembo. “Ogni violenza inferta alla donna è una profanazione di Dio, nato da donna – avverte il Pontefice -. Dal corpo di una donna è arrivata la salvezza per l’umanità: da come trattiamo il corpo della donna comprendiamo il nostro livello di umanità”. E, invece, “quante volte il corpo della donna viene sacrificato sugli altari profani della pubblicità, del guadagno, della pornografia, sfruttato come superficie da usare”. Quindi “va liberato dal consumismo, va rispettato e onorato; è la carne più nobile del mondo, ha concepito e dato alla luce l’Amore che ci ha salvati!”. Oggi “pure la maternità viene umiliata, perché l’unica crescita che interessa è quella economica“. Un’esatta fotografia di ciò che accade ogni giorno in quelle “fabbriche di morte” davanti alle quali don Oreste Benzi ci ha insegnato a recitare il santo Rosario per dissuadere la mamme, lasciate sole da uomini indegni, a sopprimere i loro bambini. 

Inciviltà legalizzata

Un Paese civile come il nostro può serenamente uccidere in silenzio 80 mila bambini ogni anno, in modo legale e dunque lecito. Fin dalle sue origini la comunità Papa Giovanni XXIII marcia per la vita per dire il suo si alla vita dal suo inizio col concepimento alla morte naturale. Nel libro Indesiderate, Andrea Mazzi, referente Famiglia e vita della comunità fondata da don Oreste Benzi, ha raccolto numerose testimonianze di donne che hanno abortito. “Credo che diventare mamma sia la cosa più bella di questo mondo ma io purtroppo ci ho rinunciato – racconta una di loro -. Dopo l’intervento per l’interruzione volontaria di gravidanza credevo di stare meglio, ma invece non è stato così. È dopo che è cominciata la mia sofferenza. Mi sono sentita vuota, mi sono odiata per quello che avevo fatto, avevo preso la mia decisione con il massimo egoismo di questo mondo, non ascoltando nessuno e non pensando al bambino che in tutta questa storia era l’unico innocente”. E aggiunge: “È passato un mese, ma l’immagine di mio figlio continua a tormentarmi, come se mi dicesse: 'Mamma perché non mi hai fatto nascere?' E anch’io continuo a chiedermi perché non l’ho fatto nascere; ma questa volta una risposta l’ho trovata: sono stata egoista e ho pensato ai miei interessi. Ho chiesto perdono a mio figlio e continuo a farlo tutti i giorni. Spero che mi abbia perdonato, che non mi odi come ho fatto io con lui e che continui a starmi vicino sempre. Nessuno può capire il mio dolore, quello che provo non solo in questo momento ma sempre; nessuno può mai capire cosa significhi rinunciare a un figlio”. 

Una menzogna spacciata per verità

Nei primi anni ’70 si iniziarono a diffondere dicerie secondo cui in Italia avvenivano da 2 a 4 milioni di aborti clandestini all’anno, con 20-25 mila donne che ne morivano ogni 365 giorni. Si trattava in realtà, si sarebbe scoperto poi, di numeri totalmente infondati. Dall’unico studio fatto in quegli anni emerse che non potevano essere più di 100 mila gli aborti clandestini, numero più proporzionato a ciò che poi realmente sarebbe emerso con la legalizzazione. Eppure il dato costituì una bandiera importante per i sostenitori di un percorso per la legalizzazione dell'interruzione volontaria di gravidanza. Dal 2010 Mazzi rifiuta di pagare la parte di tasse che finanziano gli aborti, ed è impegnato in ricorsi contro le cartelle esattoriali. “Non voglio finanziare la morte dei miei simili pagata con i miei soldi”, afferma

Una testimonianza

“La difesa della vita, purtroppo, anche da molti cattolici è considerata in un’accezione molto ristretta, questo sul piano culturale è devastante, perché per questa via diventa una posizione ideologica, dunque non credibile – afferma a In Terris don Andrea Sciascia, parroco dei Santi Angeli Custodi a Francavilla al Mare e in prima linea a difesa della vita -. Si diventa efficaci e degni di credito solo se si apre l’ombrello e si ingloba 'tutta' la vita, a prescindere dalla fase in cui è colta e quale che sia la sua provenienza. Non c’è alcun senso nella difesa della vita prenatale se poi si passa sopra agli annegamenti, alle guerre, alle conseguenze della povertà, alle violazioni della vita prodotte dalla cultura liberista, che ci ha messi in rotta di collisione con l’ambiente, fino alla dignità degli stessi animali, la cui sofferenze gridano drammaticamente davanti alla coscienza del mondo oltre che ai sensi di Dio”. E aggiunge: “Se non nasce una cultura della vita, di tutta la vita, perderemo la sfida perché il legislatore stesso non sarà correttamente ispirato e fornirà sempre risposte di piccolo cabotaggio, mai risolutive”.  I discorsi, precisa don Andrea, sono diversi a seconda che si parli di prevenzione dell’aborto o di cultura della vita a tutto tondo. Occorrerebbe innanzi tutto che le forze politiche trovassero una base minima da cui partire, decidere ad esempio di considerare la famiglia, quale che sia la sua forma, la colla della società, favorendo una serie di provvedimenti a sostegno, provvedimenti veri, non contentini, aiutando in modo decisivo chi decide di occuparsi a tempo pieno dei figli, che sia il marito o la moglie. E ciò, sostiene, farebbe anche da volano ad un lavoro di prevenzione dei disagi delle nuove generazioni, troppo spesso in balìa del vuoto determinato dalla velocità e dagli impegni cui siamo sottoposti. “Diciamolo, il modello di vita in cui siamo immersi è incompatibile con uno sviluppo equilibrato della persona. Perdiamo un sacco di tempo nel gioco delle parti – avverte – ma non parliamo mai del nostro destino sociale”.