I 50 anni di un'illusione

Si dice che il tempo aiuta a vedere le cose dalla giusta prospettiva. Ma soprattutto, come insegna il Vangelo, l'albero si riconosce dai frutti. Il 15 agosto 1969  500 mila giovani si riunirono sotto l’insegna “pace e amore” per un meeting che ha segnato una generazione. Per Elle la giornalista Martha Ghelma è andata a Bethel, nel luogo esatto in cui, tra il 15 e il 18 agosto del 1969, mezzo milione di giovani si riunirono per condividere tre giorni di pace, amore e musica.  “La musica è cambiata ma i problemi dei giovani restano sempre gli stessi, anche se ora gli diamo nomi diversi. Ieri era la guerra del Vietnam, oggi sono i conflitti in Medio Oriente – racconta il direttore del museo al Bethel Woods Center for the Arts, Wade Lawrence, -. Ieri erano le battaglie per la liberazione delle donne e per i diritti dei gay, oggi il movimento #MeToo. Ieri erano il sogno di uguaglianza tra gli uomini di Martin Luther King i pugni chiusi del Black Power alle Olimpiadi di Città del Messico, oggi sono le manifestazioni contro il ritorno dei nazionalismi, e la crescita della xenofobia e del razzismo. Ieri erano le organizzazioni e i primi partiti politici ambientalisti, oggi è il climate strike (lo sciopero studentesco mondiale per il clima)”. 

“The Legend of Woodstock 1969” – Video © YouTube

Le aspettative di una generazione

Lawrence descrive lo spirito in cui è nata We are Golden, la mostra dedicata al cinquantenario di Woodstock. “Per festeggiare i cinquant’anni del festival non volevamo riproporre un viaggio nostalgico per i baby boomer ma ragionare sull’eredità di Woodstock – spiega a Elle -. La nuova esibizione We are Golden propone un confronto senza giudizio sulle speranze, le aspettative e le paure dei ragazzi del 1969 e del 2019. Tra le decine di festival rock che furono organizzati a quell’epoca negli Stati Uniti quello di Woodstock è rimasto nella storia non solo per l’inaspettato numero di partecipanti, per l’incredibile copertura mediatica e per la risposta pacifica del pubblico al traffico impazzito, alle piogge torrenziali e alla carenza di cibo e di servizi sanitari; ma perché quell’evento fu capace di riunire la voce di un’intera generazione in una fangosa fattoria della contea di Sullivan (a due ore da New York)”. E aggiunge: “Forse per la prima volta nella storia, i giovani americani realizzarono di avere il potere di rendere il mondo un luogo migliore. E capirono che quel potere volevano esercitarlo in modo diverso dai loro genitori: non con l’odio ma attraverso gli ideali di pace e amore”. 

Come nasce una leggenda

In un'America profondamente divisa dalla guerra in Vietnam, appena tre settimane dopo l’atterraggio di Neil Armstrong sulla Luna, gli organizzatori del festival Michael Lang, John P. Roberts, Joel Rosenman e Artie Kornfeld vollero offrire al mondo un po' di sollievo dalla pressione del reale, riferisce Elle. Tre giorni (che poi a causa dei ritardi diventarono quattro) senza più guerre, ingiustizie e soprusi per sperimentare, ognuno a suo modo, il suono della parola “libertà”. E se è vero che non si può parlare di Woodstock senza parlare della pioggia (è celebre il canto della pioggia “no rain” intonato dal pubblico stremato dall’acqua) è altrettanto vero, sottolinea Elle, che alcune tra le performance più leggendarie immortalate sotto il cielo di Bethel portano la firma di donne straordinarie: 'l'usignolo' Joan Baez si esibì incinta al sesto mese, Janis Joplin elargì energia allo stato puro, Grace Slick dei Jefferson Airplane e Nancy Nevins degli Sweetwater portarono sul palco forza e fascino, Cynthia Robinson degli Sly & the Family Stone mise l’anima nella sua tromba e Melanie Safka, che non era in programma, si esibì lasciando tutti a bocca aperta. “Fu proprio mentre cantava Beautiful people che la gente prese ad accendere e ad agitare candele, fiammiferi e accendini, dando il via ad una tradizione che non ha mai smesso di esistere e che la stessa Melanie ha poi raccontato nella sua canzone Candles in the rain”, ricostruisce Martha Ghelma. “Non amo il cliché secondo cui le vecchie generazioni devono per forza demonizzare quelle nuove, ma la realtà è che il mercato musicale contemporaneo appiattisce l’offerta facendola apparire tutta uguale”, puntualizza Lawrence.

La performance della band “The Who” a Woodstock – Video © YouTube

La realtà oltre la retorica

Ma Woodstock cambiò davvero il mondo? No, risponde senza esitazioni Eddi Berni. “Fu in piena estate che nacque e nei fatti si esaurì in tre giorni il sogno impossibile di avere un mondo fatto di pace, amore e musica – scrive su Cultweek -. Ovviamente parliamo di Woodstock, quel gigantesco e iconico festival che si svolse in realtà a Bethel (stato di New York) tra il 15 e il 18 agosto 1969. Si chiama Woodstock perché in origine doveva svolgersi lì, ma gli organizzatori furono mandati via dalla zona perché gli abitanti non volevano avere a che fare con cinquantamila giovani che andavano ad ascoltare quella rumoraglia chiamata rock”. In realtà al festival arrivarono 500mila persone. “Un popolo, che da allora fu identificato come quello degli hippie, una categoria che oggi ci sembra vecchia come Garibaldi e Cavour ma che all’epoca era emergente e forte nei suoi valori – osserva Berni -. Si, perché oggi possiamo sorridere all’idea di mezzo milione di fricchettoni che per tre giorni si sballano nudi nel fango perdendosi nella musica che andava avanti fino alle 9 del mattino. Ma a Woodstock nella totale disorganizzazione (data anche dal fatto che era la prima volta che si faceva un festival rock) non ci fu nessun episodio di violenza né di criminalità. Certo, era un pubblico sedato dall’enorme quantità di marijuana ed LSD in circolazione, ma in quella situazione si contarono solo due decessi (una per overdose di eroina, un altro perché un trattore non vide un ragazzo in un sacco a pelo) assieme anche a due nascite”. L'idea di una società più giusta fatta di pace e amore e musica era molto bella, ma ovviamente utopistica. “L’ideale del “raduno per stare insieme” in realtà era già a Woodstock un business importante per gli organizzatori del festival, e divenne il punto di partenza del grande circo del rock a pagamento in tutto il mondo- prosegue Berni -. E gli ideali si sfarinarono di fronte alle realtà fatte di egoismo e necessità che la gioventù hippie e non solo si trovò ad affrontare qualche anno dopo”.