Fuori i richiedenti asilo. Proteste

La politica di Israele di espellere richiedenti asilo provenienti dall'Africa verso non specificati Paesi africani è “un’abdicazione alle responsabilità nei confronti dei richiedenti asilo e un tipico esempio di quelle misure crudeli che stanno alimentando la crisi globale dei rifugiati”. A dirlo è Amnesty international mentre la Corte suprema israeliana sta valutando la legittimità di quella politica.

La “Procedura per l'espulsione verso Paesi terzi” è entrata in vigore nel gennaio 2018 e prevede, nei confronti degli immigrati richiedenti asilo che accettano, di ricevere 3.500 dollari e un biglietto aereo verso il Paese di origine o un non precisato Paese terzo. Chi rifiuta rischia la detenzione a tempo indeterminato. La misura riguarda soprattutto persone eritree e sudanesi entrate in Israele illegalmente negli anni scorsi.

Il governo israeliano sostiene che la nuova procedura agevoli le partenze volontarie dei cosiddetti infiltrati. “Come può il governo israeliano definire ‘volontario’ questo modo di espellere i richiedenti asilo quando l’alternativa loro offerta è il ritorno in luoghi di persecuzione o il carcere a tempo indeterminato? Questa è una scelta che nessuno dovrebbe dover fare“, ha dichiarato Philip Luther, direttore delle ricerche di Amnesty International sul Medio Oriente e l’Africa del Nord.

Sabato scorso a Tel Aviv circa 20mila persone si sono riversate nelle strade per protestare contro questa politica dello Stato di Israele. Le proteste sollevate hanno ammorbidito la posizione di Israele, che ha deciso di posticipare l'inizio delle espulsioni dall'1 al 9 aprile: il tempo in più servirà alla Corte Suprema di ottenere chiarimenti su questa politica.