“Così proteggiamo i nostri figli dal gender nelle scuole”

“Essere padre e madre di famiglia, nel mondo di oggi, è un’avventura difficile, piena di sofferenze, di ostacoli e di preoccupazioni”. Così il card. Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino, nell’omelia pronunciata in occasione del pellegrinaggio di Pentecoste da Notre Dame di Parigi alla cattedrale di Chartres. L’intensa riflessione può essere interpretata come un monito nei confronti dei giovani che vogliono metter su famiglia. “Bisognerà lottare contro il vento dominante – afferma in un altro passaggio -, sopportare il disprezzo e le prese in giro del mondo”.  “Ma – aggiunge – non siamo qui per compiacere il mondo”. E dunque conclude con un’esortazione: “Non abbiate paura, non arrendetevi”.

Questa consegna a non aver paura e a non arrendersi l’ha fatta propria quel gruppo di madri e padri, docenti ed educatori che qualche anno fa ha fondato l’associazione Comitato Articolo 26, la quale si batte nelle scuole e non solo per difendere “il diritto dei genitori di scegliere l’educazione che preferiscono per i propri figli”, proclamato appunto nell’art. 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. In occasione della Giornata Mondiale dei Genitori, istituita dall’Onu proprio per ricordare che la prima educazione dei figli deve avvenire nel focolare domestico, In Terris ha intervistato Carlo Stacchiola, presidente del Comitato Articolo 26.

Perché oggi c’è bisogno di difendere nelle scuole l’articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo?
“Perché sempre più spesso le scuole attivano progetti su temi delicati e sensibili, dalla sessualità fino a molti altri, senza informare né chiedere il consenso ai genitori, che sono abituati a fidarsi e a dare deleghe in bianco alla scuola. Così i nostri figli ricevono sistematicamente insegnamenti che non rispettano le scelte culturali dei genitori, nella scuola si introducono forme di indottrinamento e il patto scuola-famiglia salta. Se in tema di istruzione va rispettata la libertà di insegnamento dei docenti, sui temi educativi la legge, come l’art.26 dei diritti umani, riconosce il primato ai genitori. Difendere la libertà di educazione è difendere un diritto umano minacciato: soprattutto in Italia dove un genitore non può scegliere liberamente la scuola per i propri figli perché l’accesso alle paritarie comporta oneri insostenibili”.

Gender nelle scuole. Qual è la situazione attuale?
“Il gender non è una bufala, né un allarme rientrato. La riprova concreta? Le segnalazioni che riceviamo da anni da tutt’Italia e che sono all'attenzione del Miur. Informazione sul tema e mobilitazione hanno arginato il fenomeno, che comunque persiste in varie forme, dal femminismo estremo alla fluidità sessuale: approcci che portano una nuova guerra tra i sessi e depotenziano la famiglia. Il comma 16 della Buona Scuola, accanto a progetti condivisibili, ha aperto le porte a iniziative ideologiche di associazioni, enti, atenei, docenti. È giusto educare al rispetto, ma non è ammissibile un metodo di Stato, peraltro sperimentale e controverso scientificamente, che azzeri le differenze e il riferimento naturale all’eterosessualità, con danni enormi per le generazioni future. E che chi contesta il metodo sia bollato come omofobo o sessista”.

Abbiamo assistito, anche di recente, al tentativo da parte di dirigenti scolastici di sostituire la festa della Mamma o del Papà con versioni anonime, definite più inclusive. Voi avete denunciato un caso a Roma…
“Sono iniziative che mascherano con l’inclusione la tendenza sempre più diffusa a cancellare i riferimenti cardine della società quali padre, madre e famiglia naturale: lontane dal senso comune e spinte da pochi ideologizzati e da lobby potenti operano vere e proprie discriminazioni a rovescio. Ma sempre più genitori e insegnanti si accorgono della realtà e si oppongono. Il caso da noi denunciato dell’asilo romano che ha eliminato le festa del papà e della mamma è stato seguito da milioni di italiani. Il coraggio dei genitori che ci hanno contattato, ci ha permesso di portare tali istanze al Municipio romano, che ha difeso la posizione della scuola, ma che è poi stato smentito dall’Assemblea capitolina, dove con una mozione è stato riconosciuto che tali feste non possono offendere nessuno e vanno salvaguardate per il bene di tutti”.

Avete inviato una lettera alla dirigenza scolastica di un istituto del bresciano che ha proposto un’iniziativa interculturale che ha destato scalpore. È stato solo un caso isolato?
“L’iniziativa univa alla lettura di fiabe etniche la distribuzione di cibi e oggetti non identificati e la divulgazione di riti spiritistici, svolta da un’esperta esterna senza la presenza dei docenti e senza informare i genitori: ma la scuola deve richiedere il consenso dei genitori su temi sensibili, come da linee guida del comma 16 della Buona Scuola! Sono situazioni diffusissime: a Torino, Comune e Ufficio Scolastico piemontese hanno stilato un Protocollo sulla lotta alle discriminazioni che coinvolge nelle scuole il Torino Pride e un Centro antiviolenza sulle donne, ma i genitori non vengono neppure citati. In entrambi i casi sono state ignorate le nostre richieste di chiarimento dagli uffici scolastici locali e dal Miur centrale, a cui abbiamo mandato un nuovo reclamo e la cui inadempienza siamo costretti a denunciare pubblicamente”.

Sempre a marzo è stata sottoscritta, tra il ministro dell’Istruzione e il Forum nazionale delle associazioni dei genitori della scuola (Fonags), una revisione del Patto di corresponsabilità educativa (Pec). Come valutate quei contenuti?
“Siamo ancora in attesa dell’ufficializzazione del nuovo Patto nel rispetto del lavoro del Fonags, per fugare i dubbi che venga strumentalizzato un provvedimento così importante (per i gravi fatti di scontro scuola-famiglia) e affinché il nuovo Pec sia espressione di scelte di valore pedagogico e culturale al servizio di scuola e famiglia e non di promesse opportunistiche. Dopo mesi di ritardi e parole non mantenute, auspichiamo che siano state accolte le istanze delle associazioni che richiedono che ai genitori venga riconosciuto il loro primato educativo su tutti i temi sensibili trattati a scuola, non solo per le attività pomeridiane ma anche nell’orario normale di lezione. In caso contrario le associazioni di genitori si mobiliteranno con forza contro il Miur per una decisione iniqua che scavalcherebbe il diritto internazionale”.

Avete sponde politiche affidabili in Parlamento per le vostre battaglie?
“L’Associazione è apartitica; interagisce e lavora in maniera trasversale con tutte le forze politiche che ne condividono gli obiettivi. Valutiamo caso per caso se qualche amministratore ha competenza su una specifica criticità evidenziata e se ci sono politici che intendano promuovere a livello legislativo azioni a tutela delle nostre istanze. Alcuni partiti sono storicamente più attenti alla centralità del primato educativo della famiglia su quello dello Stato; altri partiti stanno facendo crescere la loro attenzione sul tema, anche per il bacino enorme di famiglie che nell'ultimo periodo ha dimostrato rinnovato interesse nel raccogliere questa sfida ed attenzione nell'operato della classe politica. Del resto, su snodi come il consenso informato chi può non essere d'accordo? Ogni genitore vuole sapere chi forma il figlio e come lo forma”.

La scuola parentale può rappresentare un’alternativa valida all’indottrinamento nelle scuole?
“Ogni iniziativa libera dei genitori va sostenuta nel rispetto della libertà educativa e del pluralismo. Pluralismo che riguarda anche la scuola statale, a cui non si può rinunciare. Riteniamo che la soluzione più rispettosa del dettato costituzionale sia il costo standard di sostenibilità: come accade in molte nazioni, lo Stato riconosce per ogni studente una dote pari all’ammontare minimo di risorse da riconoscere a ciascuna scuola pubblica, statale e paritaria, sulla base di parametri certi e di quanti studenti essa attrae per il suo valore, generando virtuosa concorrenza a vantaggio dell’intero sistema educativo. Il costo standard garantisce reale libertà di scelta scolastico-educativa per i genitori, pluralità dell’offerta formativa, qualità e risparmio: ci aspettiamo risultati concreti dal tavolo di lavoro indetto dal Miur sul tema”.

C’è la necessità di difendere l’articolo 26 solo nelle scuole o anche in altri ambiti?
“È in atto a vari livelli un tentativo di erosione, quasi esproprio, della libertà di educazione della famiglia fino al punto di insidiare la potestà genitoriale: ce lo mostrano le vicende a scuola, ma anche le drammatiche storie di Charlie e Alfie, dove il best interest del fanciullo è tragicamente stabilito da uno Stato etico egemone, senza che i genitori abbiano voce in capitolo. Le famiglie devono riprendere in mano il proprio primato educativo ripensando il meccanismo di delega ad altre agenzie che il frenetico stile di vita spesso ci impone; lavoriamo per questo, in funzione di una maggiore formazione e partecipazione dei genitori che riacquistino i propri spazi ricucendo un tessuto sociale compatto e profondamente umano: il 15-16 settembre rilanceremo tutti questi temi in un grande convegno nazionale a Todi per genitori e educatori”.