Così cambiano le regole del Pronto Soccorso

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Cambia l'assetto dei servizi ma soprattutto l'approccio nei Pronto soccorso. Con l'Accordo Stato-Regioni di oggi si realizza un cambiamento importante con tre obiettivi fondamentali: evitare i ricoveri inappropriati, ridurre i tempi di attesa e aumentare la sicurezza delle dimissioni”,  spiega Stefano Bonaccini, presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, commentando il via libera alle Linee di indirizzo nazionali sul Triage Intraospedaliero, sull'Osservazione Breve Intensiva e quelle per lo sviluppo del Piano di gestione del sovraffollamento in Pronto Soccorso. “Qualcuno ha parlato di rivoluzione, ma credo si tratti semplicemente di una evoluzione basata su positive esperienze che si sono concretizzate in alcune Regioni. C'è stato un intenso lavoro Stato-Regioni – aggiunge Bonaccini – che ha portato a questi testi condivisi in cui sono state recepite molte delle indicazioni fornite dai tecnici e dagli esperti delle Regioni”. Sergio Venturi, coordinatore vicario della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome evidenzia che l'Accordo Stato-Regioni è positivo soprattutto perché allinea l'Italia agli standard della maggior parte degli altri Paesi a livello internazionale, perché considera la presa in carico della persona nella sua interezza, partendo proprio dalla necessità di una maggiore attenzione all'umanizzazione della cura e infine perché pone le basi per ridefinire e valorizzare il ruolo della medicina d'emergenza-urgenza e delle strutture dei Pronto soccorso”.

La mutata gestione delle emergenze

Rosso, arancione, azzurro, verde, bianco: cambiano i codici del pronto soccorso e saranno distinti da cinque colori. In particolare, sottolinea l’Adnkronos, il codice rosso equivarrà a “emergenza che necessita di un accesso immediato”; arancione per “urgenze che vanno gestite entro brevissimo tempo”; azzurro per “interventi che vanno gestiti entro un’ora”; verde per “urgenze minori da gestire entro due ore”; e bianco per “interventi non urgenti da gestire entro quattro ore”. Cambia l’assetto dei servizi ma soprattutto l’approccio nei pronto soccorso. E’ previsto per l’attuazione un periodo di transizione di 18 mesi, puntando a una migliore organizzazione delle gare e degli spazi e distinguendo nell’ambito della presa in carico un’area di osservazione breve intensiva che comporti, oltre all’osservazione clinica, una terapia a breve termine con la possibilità di approfondimenti diagnostici. Uno strumento pensato anche per ridurre ricoveri inappropriati e per aumentare la sicurezza delle dimissioni dal pronto soccorso ma che per funzionare avrà bisogno di una dotazione organica adeguata”. Diminuire i tempi di attesa servirà anche ad aumentare la sicurezza per gli operatori sanitari. Nei pronto soccorso di Roma si allestiscono i corsi di autodifesa per medici e infermieri già avviati a Udine, in quelli di Palermo il personale reclama la vigilanza dell’esercito. In due strutture sanitarie su tre si verificano aggressioni fisiche e il sovraffollamento incide pesantemente: l’emergenza è nazionale e nella capitale la situazione ha raggiunto picchi record. Secondo l’ultima indagine della Società italiana di medicina di emergenza e d’urgenza, nel 63% dei pronto soccorso si è verificato nell’ultimo anno un episodio di violenza. Per fermare l’escalation di violenze in ospedale, i sindacati dei camici bianchi hanno appena consegnato 35mila firme alla commissione Sanità del Senato con un pacchetto di proposte che include “la trasformazione dell’operatore sanitario in pubblico ufficiale” e “le sanzioni per le Asl che non garantiscono la sorveglianza nei servizi psichiatrici e negli avamposti del 118”. Il segretario Smi, Pina Onotri descrive un “effetto moltiplicatore” e cioè “tagli di personale al pronto soccorso, servizi meno accessibili, insoddisfazione crescente dei pazienti, forze dell’ordine sotto organico e più malati psichiatrici senza assistenza”. Lei stessa, in servizio alla guardia medica, si è vista scagliare contro un vaso di fiori da una donna in preda a una crisi nervosa. Maggiore è l’affollamento al pronto soccorso, più frequenti sono le aggressioni in sanità. Dalle 4 alle 5 ore in coda per la visita in codice bianco o verde e, nelle grandi città, attese fino a 60 ore per un ricovero. A Roma, in una giornata media, su 144 pazienti al Policlinico Casilino, 40 sono in attesa di un posto letto, all’Umberto I 49 su 124, al Gemelli su 49 sono 128, al San Camillo-Forlanini, 50 su 143. In pratica, dei mille pazienti nei pronto soccorso, un terzo è in attesa di ricovero e la metà del personale in servizio deve trascurare le emergenze per assistere i pazienti sulle barelle (-24% di posti letto in un decennio). L’80 % degli ospedali italiani ha il pronto soccorso: in totale 12mila medici e 25mila infermieri.

Tempi di attesa e aggressioni ai camici bianchi

A scatenare comportamenti violenti contro il personale sanitario sono principalmente i tempi di attesa, l’abuso di alcol, la dipendenza dalle droghe e i disturbi mentali. Il 50% degli episodi di violenza verso il personale sanitario accade al pronto soccorso, l’altra metà è suddivisa tra Sert, ambulatori psichiatrici, servizi geriatrici. Il 90% degli infermieri italiani riferiscono di essere stati aggrediti fisicamente o verbalmente o di aver assistito ad aggressioni nei confronti di colleghi. Il 35% del personale sanitario ha subito atti di violenza fisica e il 52% ne è stata testimone. Il 31% degli aggrediti ha avuto bisogno di cure mediche, con prognosi nel 30% dei casi dai 5 a 15 giorni. Nel 90% degli episodi gli operatori sanitari non denunciano la violenza subita (verbale o fisica).  Negli Usa su 5 milioni di operatori sanitari le aggressioni fisiche sono 2637 all’anno, cioè 8,3 ogni 100mila lavoratori ospedalieri. In Italia in un anno sono 1200 le violenze denunciate ma sono solo una piccola parte delle aggressioni effettive. A Roma 4 Pronto soccorso senza un posto fisso di polizia (Santo Spirito, Oftalmico, San Filippo Neri, Cto),  5 con presidi di pubblica sicurezza di 6 ore quotidiane (Sant’Eugenio, San Giovanni, Pertini, San Camillo, Sant’Andrea), 2 con sorveglianza della polizia dalle 8 alle 20 (Umberto I, Policlinico Tor Vergata), uno con la sola vigilanza privata (Ospedale Grassi di Ostia). Ad alzare le mani o il tono della voce sono i pazienti in fila (50% dei casi), i parenti (21%), parenti e paziente insieme (11%), altri accompagnatori (10%), utenti generici del Pronto Soccorso (8%). Nel Lazio nell’ultimo anno 150 aggressioni a medici, infermieri e operatori-socio-sanitari hanno causato giorni di malattia, oltre duemila gli episodi di  intimidazione verbale, minacce e molestie senza conseguenze fisiche. I fatti più gravi hanno riguardato 53 Pronto soccorso semplici, 165 dipartimenti di emergenza. E le sale d’attesa diventano un Far West. Casi di aggressioni si sono verificati anche a Tivoli, Chieti, Como, Vercelli, Palermo.

La reazione dei consumatori

“Non serve a nulla introdurre nuovi codici per classificare le emergenze quando i pazienti, una volta entrati nei Pronto soccorso degli ospedali, sono costretti ad attese estenuanti di ore e ore prima di essere visitati – protesta il presidente del Codacons, Carlo Rienzi -. Ci sono situazioni, specie nei nosocomi del sud Italia, dove il livello di assistenza è da terzo mondo, con i cittadini abbandonati nei corridoi e nelle corsie perché la carenza di personale medico non consente di far fronte alle richieste. Le criticità dei pronto soccorso italiani non si risolvono certo ricorrendo a nuovi codici per il triage, ma aumentando il numero di medici e infermieri in grado di fornire una assistenza adeguata ai pazienti. La legge prevede che solo infermieri specializzati e con una particolare qualificazione possano assegnare i codici nei Pronto soccorso, mentre al momento in molti ospedali tale compito viene svolto da infermieri privi dei requisiti previsti dalla normativa di settore”.