Come “restare umani” nella società tecnologica

Nella cornice degli antichi locali della Chiesa Nuova a Roma, in un clima quasi familiare, Marco Scicchitano, psicoterapeuta e saggista già noto ai lettori di In Terris, ha presentato la sua ultima creazione letteraria realizzata a quattro mani con il sociologo Giuliano Guzzo. A fare da corollario all’introduzione didascalica dell’autore della brillante e appassionata opera che abbiamo letto in anteprima, c’erano tre personaggi diversi per estrazione e formazione, ma accomunati dal messaggio di fondo dei loro interventi che hanno rivendicato l’esigenza vitale di “Restare Umani”, così come recitato dal titolo del libro.

Vale la pena soffermarsi su questi contributi piuttosto che al commento critico del testo, per la forza e la valenza che hanno avuto nel delineare i confini culturali e ideologici entro cui si muove questo libro politicamente scorretto. Le letture recitate con ardore da Giovanni Scifoni, scelte ad arte tra “1984” di Orwell e “Peer Gynt” di Ibsen, non a caso due critici aspri – a modo loro – degli apparati culturali e intellettuali oppressivi delle rispettive epoche e società di appartenenza, hanno condotto la riflessione degli uditori sul paradosso apparente di una libertà individuale che si conquista – umanamente – solo accogliendo intimamente i limiti che le circostanze ed il buon senso ci presentano. Limiti mai imposti se non da quella natura che in tutti i modi l’uomo tenta di imbrigliare e dominare. Dunque “Restare Umani” significa anche disilludersi di fronte alla tecnica che troppo spesso si rende strumento di allucinazioni paranoidee collettive. Il filosofo Søren Kierkegaard chiamava angoscia quel sentimento soffocante derivante dall’illimitata possibilità di scelta dell’individuo, finanche quella di togliersi la vita, ovvero l’incapacità di riconoscere e intravedere dei limiti alla propria esistenza, in un vortice di elucubrazioni che solo l’incontro con l’altro (per Kierkegaard, invece, è l’incontro finale con Dio) e la responsabilità che questa relazione comporta è in grado di sopire, con il duplice risultato di donare un senso esistenziale e costruire un’identità coerente con questo. Proprio sull’incontro con l’altro, fatto di carne e spirito, poggia il pensiero dell’altra ospite per l’occasione, Marta Rodriguez, responsabile della sezione Donna del “Dicastero per i Laici, famiglia e Vita” la quale scopre nell’identità individuale che si costruisce nel rapporto con la diversità dell’altro, l’antidoto semplice ma efficace al messaggio omologante e mortifero insito nel paradigma tecnologico, che non a caso si è costruito ideologicamente nel transumanesimo: oltre l’uomo.

Padre Maurizio Botta, infine, vice-parroco della Chiesa Nuova, ha limitato il suo intervento lasciando parlare al suo posto nientedimeno che “quel chierichetto bigotto” di Vasco Rossi. È lo stesso Vasco della “Vita spericolata” che in alcune interviste registrate ha dichiarato l’esigenza di anteporre il progetto di relazione con l’altro al proprio ego al fine di vivere un’esistenza equilibrata e in armonia con il mondo. L’alternativa sarebbe il caos. Nel suo libro Scicchitano, da psicologo competente, la spiega come emancipazione dal narcisismo infantile che è causa di costante dolore e frustrazione. Ebbene, la tecnologia, per quanto esasperata, non potrà mai realizzare fino in fondo quell’allucinazione infantile di onnipotenza, quella volontà di potenza che Schopenhauer, in un’ultima analisi, fa abissare in un pessimismo escatologico.

Vale la pena leggere il libro di Scicchitano e Guzzo per avere un utile strumento di contro-decostruzione della narrativa post-moderna che, se con la biopolitica e lo stesso “metodo” decostruttivo ha elaborato argomentazioni e metodologie finalizzate alla liberazione intellettuale, allo stesso tempo in quanto dottrina essa stessa si è andata sedimentando. Ed è così diventata baluardo ideologico – forse inconsapevolmente – e mezzo di veemente  propaganda politica di una parte della società che altro fine non ha se non quello di dominare quelle relazioni di potere che originariamente si è tentato di smascherare. Di decostruire appunto.

Responsabilità, sacrificio e sofferenza, sono i limiti entro cui trovare la nostra felicità, la riconciliazione con il mistero della vita, con l’altro da noi. “Restare Umani” può rappresentare un’esortazione a non perpetuare nell’illusione della fuga in avanti o fuori da noi, per sfuggire il presente. La tecnologia rischia di diventare un vero e proprio paradigma epistemologico, un’inedita sovrastruttura che caratterizza e modella i rapporti interpersonali, le relazioni umane. In parte è un processo iniziato da secoli che ha conosciuto il suo parossismo peggiore con il concepimento, la realizzazione e l’uso delle armi di distruzione di massa. Se lo sviluppo tecnologico, al pari di quello economico, non comincerà ad essere guidato da una morale di fondo, da un’etica pensata sul valore basilare della vita, restare umani sarà molto difficile.