Sismologo Amato (Ingv): “Sono i poveri a pagare il prezzo più alto nelle catastrofi”

Intervista di Interris.it sulle prevenzione delle emergenze e i costi umani e sociali delle catastrofi. Parla il geologo e sismologo, Alessandro Amato, dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia

“Purtroppo la nostra storia ci insegna che non abbiamo una grande capacità di imparare dalle disgrazie“, afferma il geologo e sismologo, Alessandro Amato, dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).

Amato: “Rimozione”

Alessandro Amato è stato direttore del Centro Nazionale Terremoti e membro della Commissione Grandi Rischi. Ha coordinato e partecipato a numerosi progetti di ricerca nazionali e internazionali, pubblicando articoli sulle maggiori riviste scientifiche del settore. Da qualche anno si occupa di comunicazione della scienza, anche sui social media. Perché non sappiamo imparare dalle disgrazie?

“Tendiamo a dimenticare, se non addirittura rimuovere, perdendo così gli importanti insegnamenti generati dalle catastrofi. È probabilmente il frutto della nostra mentalità fatalista e superstiziosa, che ci fa toccare ferro se qualcuno ci ricorda che potrebbe avvenire un terremoto, ci fa fermare la macchina se passa un gatto nero, ci fa credere negli oroscopi, ma non ci fa informare sui rischi che corriamo quotidianamente, non ci fa decidere di rinforzare la casa se viviamo in zona sismica”.Papa Francesco ha detto che peggio della pandemia c’è solo il non imparare da essa. In un tempo di cambiamenti climatici e sfide epocali, quanto conta prevenire i rischi?

“E’ verissimo. Quante persone conoscono il piano di protezione civile del comune in cui vivono? Credo molto poche. E invece, la prevenzione (e prima ancora la conoscenza) è l’unica arma che abbiamo per difenderci. Dopo ogni alluvione o terremoto si sente qualcuno, spesso perfino i sindaci, dichiarare ‘una cosa così in tutta la mia vita non l’avevo mai vista’. Poi andando a guardare il catalogo sismico, o semplicemente la cronaca del secolo scorso, troviamo numerosi eventi di quel tipo che hanno colpito quello stesso territorio”.Si parla spesso di piani di evacuazione in caso di eventi disastrosi come l’eruzione di un vulcano, l’Italia è pronta a simili situazioni?

“Le autorità di Protezione Civile, con il supporto della comunità scientifica, hanno messo a punto i piani di evacuazione per i vulcani attivi più pericolosi che abbiamo in Italia. C’è chi critica questi piani perché li reputa troppo poco cautelativi. O perché tecnicamente possono presentare dei punti deboli (per esempio evacuazione via auto o via mare per i vulcani napoletani?). Ma indubbiamente rappresentano una buona sintesi di quanto oggi sappiamo e di quali siano le criticità nella mobilità, nell’accesso alle vie di fuga, ecc”.A cosa si riferisce?

“Questi piani possono e devono essere aggiornati periodicamente, tenendo conto dei cambiamenti nell’assetto urbanistico. Delle variazioni stagionali. Di eventuali soluzioni tecnologiche innovative che dovessero emergere. E naturalmente dell’aggiornamento continuo delle conoscenze scientifiche sulla pericolosità (vulcanica, sismica, da maremoto, ecc.)”.Può farci un esempio?

“Proprio riguardo al rischio maremoti, di cui l’INGV si occupa da molto tempo, negli ultimi anni si è lavorato parecchio per istituire il Centro Allerta Tsunami per il Mediterraneo. E’ parte del Sistema d’Allertamento Nazionale per i Maremoti di origine sismica (SiAM). Coordinato dal Dipartimento della Protezione Civile nazionale con INGV e ISPRA. Un rischio poco noto, ma purtroppo elevato soprattutto nelle aree del Sud Italia. Lo stiamo studiando anche nei suoi aspetti sociali. E può essere ridotto considerevolmente se saremo in grado di spiegarlo. E di fare dei piani efficaci di evacuazione per le popolazioni costiere”.In situazioni di pericolo generalizzato sono le fasce più deboli a pagare il prezzo più alto in termini di rischi e disagi?

“Sì, purtroppo è vero. Non tanto nel momento dell’eventuale emergenza, quanto nel lungo termine. Certo, anche l’accesso alle informazioni sui rischi, utili per mettere in atto delle misure di prevenzione, è più agevole per le classi benestanti, le quali hanno quindi una maggiore opportunità di prepararsi a eventi calamitosi.Come si può porre rimedio a un simile ingiustizia sociale?

“Questo aspetto si potrebbe in parte superare con un’informazione scolastica più capillare e adeguata, diretta a tutte le fasce sociali. Ma è soprattutto quando una calamità colpisce un territorio ampio, con effetti che durano per molti anni, che le fasce più deboli vengono ulteriormente messe in crisi, in quanto per ripartire e ricostruire servono risorse. In qualche caso lo Stato aiuta. Ma, come abbiamo visto per la pandemia in corso le difficoltà burocratiche, le indecisioni sulle modalità di intervento, la non sintonia tra forze politiche e tra potere centrale e poteri locali, finiscono sempre per penalizzare le fasce più deboli”.E la prevenzione?

“In termini di politiche di prevenzione, gli Stati più lungimiranti e che hanno cercato di imparare le lezioni del passato (nel caso dei terremoti e maremoti Cile, Giappone innanzitutto), hanno ottenuto dei risultati importanti. In Cile nel 2010 ci fu un terremoto gigantesco, di magnitudo 8.8, che provocò un numero basso di vittime; si calcola circa lo 0,1% della popolazione esposta. Lo stesso anno ad Haiti un terremoto di magnitudo 7.0 ha ucciso oltre 200.000 persone, pari al 10% della popolazione esposta. Una differenza di un fattore 100!”A cosa è dovuto?

“La causa è nell’attenzione prestata dai governi dei due Paesi verso la riduzione della vulnerabilità e quindi del rischio sismico nel lungo termine. Il Cile ha subìto gli effetti di numerosi terremoti disastrosi nel XX secolo e ha pertanto investito sulla prevenzione. Mentre ad Haiti il problema sismico era stato dimenticato, con il risultato che la capitale (Port-au-Prince) era cresciuta in modo caotico e priva di qualsiasi attenzione alla sicurezza. L’Italia, spiace dirlo, è forse più vicina ad Haiti che al Cile”.Quanto aiuta una corretta programmazione?

“Moltissimo. È alla base di tutte le azioni successive di prevenzione e di salvaguardia delle vite umane e dei beni. Importante altresì che alla programmazione facciano seguito anche delle verifiche sull’attuazione dei programmi, sulla consapevolezza dei cittadini. Occorre sorvegliare che i  programmi vengano mantenuti aggiornati”.Su quali fronti deve maggiormente investire l’Italia in termini di prevenzione?

“Sono quattro le priorità che mi sentirei di indicare. E cioè, accrescere la cultura dei rischi e della protezione civile nella società, a partire dalle scuole. Coinvolgere la popolazione nelle scelte legate alla gestione dei rischi. Definire, rendere noti, mantenere aggiornati i programmi per la difesa dai rischi. Pretendere dai comuni i piani di protezione civile completi, aggiornati e resi noti ai cittadini”. E per i rischi naturali?

“Per quanto riguarda i rischi naturali di cui mi occupo, metterei al primo posto un impegno di almeno dieci anni per ridurre la vulnerabilità degli edifici, a partire dalle zone a più alta pericolosità. Oggi abbiamo il Sismabonus (divenuto quest’anno un Superbonus che consente di recuperare il 110% della spesa) che è un ottimo strumento, anche se con alcuni limiti”.Quali? 

Un limite è di natura burocratica (difficoltà ad accedere ai benefici). L’altro limite consiste nel fatto che, trattandosi di uno strumento volontario, rischia di rimanere poco usato, come è stato finora per il Sismabonus. Per i maremoti, ma questo ragionamento potrebbe essere esteso a molti altri rischi, i sistemi di “Early Warning” (Allerta Rapida) sono oggi molto importanti per intercettare i fenomeni rischiosi alla loro insorgenza e mettere così in campo delle azioni di riduzione del rischio. Vale per gli tsunami, ma anche per le pandemie, ovviamente con tempi e metodi di monitoraggio molto differenti”.