L’importanza di un servizio sanitario per tutti. L’intervista a Girolamo Sirchia

Il pontefice ha definito il servizio sanitario un "bene prezioso", ma nel mondo ci sono ancora disparità nell'accesso alle cure

Nel corso dell’Angelus che papa Francesco ha pronunciato quando ancora era al Policlinico Gemelli di Roma, il Santo Padre ha sottolineato un argomento con cui, anche e soprattutto a causa dell’epidemia globale di Coronavirus, abbiamo dovuto di fare i conti: la sanità. “Un servizio sanitario gratuito che assicuri un buon servizio accessibile a tutti. Non bisogna perdere questo bene prezioso”, ha detto il pontefice. “Bisogna mantenerlo! E per questo occorre impegnarsi tutti, perché serve a tutti e chiede il contributo di tutti”.

L’accesso ai servizi sanitari per tutti coloro che ne hanno bisogno, senza che questo li esponga a difficoltà economiche, è lo priorità strategica della Copertura sanitaria universale, uno dei target  compresi tra gli Obiettivi per uno sviluppo sostenibile che le nazioni intendono voler raggiungere entro il 2030.

La strada verso l’accesso alle cure libero ed equo è contrassegnata da progressi sparsi e alcuni in stallo, mentre continuano a emergere forti disparità. Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità infatti nel 2017, soltanto una cifra che oscilla tra un terzo e la metà dell’intera popolazione è riuscita a ottenere i servizi sanitari essenziali. La situazione è resa ancora più difficile, drammaticamente difficile, dalla pandemia di Coronavirus che da marzo 2020 è la principale emergenza globale.

In Terris ha affrontato l’argomento con il medico e già ministro della Salute, tra il 2001 e il 2005, Girolamo Sirchia.

L’intervista

Di recente il Santo Padre ha ricordato quanto “un servizio sanitario che assicuri un servizio a tutti” sia un “bene prezioso”. Come lo si realizza?

Con la determinazione politica e i fondi per poterlo sostenere. Ma c’è un divario elevato tra la situazione nell’Occidente europeo e quella dei Paesi africani e mediorientali. E questa è un’ingiustizia che genera dolore.

Da quanto tempo è stato istituito il servizio sanitario nazionale nel nostro Paese?

Abbiamo “importato” l’idea dal servizio sanitario britannico. Il nostro servizio sanitario nazionale con libero accesso universale e gratuito è stato istituito con legge 833 del 1978. Tutti sul territorio nazionale hanno diritto a una prestazione sanitaria gratuita al momento dell’erogazione. Averlo istituito gratuito e non discriminatorio è stata una scelta politica, un’altra è stata la decisione di quanti soldi stanziare e secondo quali modalità d’uso per erogare i servizi. La prima è stata una scelta coraggiosa, mentre il secondo punto è  più dolente, perché le risorse messe a disposizione della salute sono limitate. Infatti sono inferiori a una media europea che oggi è intorno al 10% del Pil, mentre in Italia la spesa pubblica per la sanità non supera 6,5-7%.

Nel corso di quest’anno e mezzo di pandemia ci sono state delle divergenze in ambito sanitario tra lo Stato centrale e le Regioni. Hanno un’origine contingente o risalgono a decisioni del passato?

In Italia Stato centrale ha delegato alle Regioni dei poteri anche nella e questa delega a volte è stata interpretata come l’autonomia fare un “proprio” servizio sanitario. In Lombardia, con una legge regionale nel 1997, si è concentrata la spesa sugli ospedali, in parte pubblici e in parte privati, ma così facendo si è prestata poca attenzione al territorio. Come abbiamo visto con il Covid, questo ha avuto un deleterio.

Cosa non ha funzionato?

Anche i paesi ricchi hanno fatto errori macroscopici errori, si sa che le epidemie si ripresentano e che bisogna attrezzarsi per contrastarle. Un’imprevidenza dannoso è stata la mania di tagliere le spese. Sul modello del Center for Disease control and Prevention statunitense, nel 2004 ai tempi della prima Sars era stato istituito un sistema operativo, il Centro per il Controllo e la Prevenzione delle malattie. Ha operato bene ed era previsto finanziamento triennale, poi abbandonato a causa dei tagli negli anni successivi. Un’altra cosa che non ha funzionato è stata comunicazione. Non si sono comunicati in maniera comprensibile i rischi alla popolazione. Serve far passare un chiaro messaggio istituzionale, altrimenti si crea sfiducia nelle istituzioni. Ancora non si coinvolte fin dall’inizio le forze armate che hanno a disposizione finanziamenti, ospedali da campo e strutture mobili. L’emergenza non è compito dei civili.

Qual è stato l’effetto dell’emergenza Covid sulle altre malattie?

A un certo punto tutti gli ospedali italiani o quasi erano ospedali Covid. In più, i malati che avevano paura di contrarre l’infezione recandosi in ospedale, hanno scelto di restare a casa. Ma ci sono patologie gravi, come i tumori, che non possono aspettare. Adesso tutto questo sta cominciando, gradualmente, ad essere riassorbito.

Quali le altre emergenze nel mondo?

E’ sempre molto difficile capire bene cosa succeda nel mondo dei virus, perché ciascuno di essi rappresenta un’incognita. Ogni malattia virale, soprattutto queste trasmesse dagli animali selvatici che entrano in contatto con l’uomo, sono un pericolo perché i virus sono difficili da curare, soprattutto quelli che aggrediscono il sistema respiratorio. Per fare un esempio, in Africa, ogni il virus dell’Ebola riemerge e miete nuove vittime, poiché determina emorragie gravissime perlopiù mortali. Per ora è “confinato”, ma per via del continuo impatto dell’uomo sull’ambiente, questo virus potrebbe anche uscire dai confini africani e sposarsi. Ma non dimentichiamo che anche alcune varianti dell’influenza possono essere pericolose. Abbiamo avuto il miracolo del vaccino contro il Covid in tempi molto brevi, ma dopo un’epidemia che ha messo in ginocchio il mondo mi aspettavo si facesse di più per la sanità.

Come si dovrebbe agire per consentire a tutto il mondo di disporre delle giuste dosi di vaccino?

La strada non può essere quella di obbligare l’industria farmaceutica a “fare beneficienza”, in quanto i suoi profitti derivano da ricerche che vanno avanti da anni e devono, fra l’altro, remunerare i ricercatori. Pertanto, la scelta deve essere politica, devono essere gli Stati a investire risorse per acquisire i vaccini e renderli disponibili secondo le varie esigenze.  Occorre considerare che, ad esempio, ne nostro Paese, Il prezzo del farmaco è regolato dall’Agenzia italiana del farmaco, che stima l’equo prezzo. Così s’impediscono speculazioni e si consente all’industria un adeguato profitti.

In conclusione, quale può essere il punto di equilibrio nel rapporto tra sanità pubblica e  privata?

In sanità non può esserci competizione, ci vuole collaborazione . Il Servizio sanitario nazionale  si basa sul concetto di servizio pubblico, in tale ambito ciascuna Regione deve, per legge, predisporre il proprio piano ospedaliero ovvero collocare strutture e servizi in base alle specifiche realtà al suo interno. Dato che possono sorgere difficoltà nell’applicazione del piano, si può percorrere la strada della concessione al privato dei servizi che mancano. Ma senza accreditare tutto alle strutture private, altrimenti non resta spazio di manovra.