Sacerdoti: il segno concreto della vicinanza

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All’inizio della Val Seriana, a poca distanza da Bergamo, si trova Nembro, una piccola comunità che in poche settimane ha visto andarsene 188 persone, molte delle quali morte sole in un letto d’ospedale senza il conforto dei propri cari. L’esperienza del Covid 19, in questa zona, è stata straziante.

Figure essenziali in queste realtà sono gli annunciatori del Vangelo in Parole ed opere nell’Italia di oggi, promotori di progetti anti-crisi per famiglie, anziani e giovani in cerca di occupazione, in prima linea nella gestione dell’emergenza Covid 19, i sacerdoti si affidano alla comunità per essere liberi di servire tutti. Ogni Offerta dedicata ai sacerdoti è il segno concreto di questa vicinanza. Raggiunge tutti i sacerdoti, dal più lontano al nostro – spiega il responsabile del Servizio Promozione per il sostegno economico alla Chiesa cattolica, Massimo Monzio Compagnoni -. Tanto più nell’anno difficile del Covid, in cui da mesi i preti diocesani continuano a tenere unite le comunità disperse, incoraggiano i più soli e non smettono di servire il numero crescente di nuovi poveri. Oggi più che mai i nostri sacerdoti sono annunciatori di speranza, ci incoraggiano a vivere affrontando le difficoltà con fede e generosità, rispondendo all’emergenza con la dedizione”.

 

“Ci sentivamo di un’impotenza terribile”

Tra questi sacerdoti oggi ne ricordiamo due. Classe 1959, sacerdote dal 1984, direttore dell’Oratorio di Tagliuno prima e successivamente di Seriate, parroco per 9 anni a Bratto alle pendici del massiccio della Presolana e per 13 anni a Ghisalba, Don Antonio Guarnieri, da poco più di un anno è il parroco di questo paese colpito tragicamente dalla pandemia. “Ci sentivamo di un’impotenza terribile – spiega commosso Don Antonio – Ad un certo punto abbiamo anche smesso di suonare le campane. Non potevamo suonare le campane a morto sette, otto e, a volte, anche dieci volte al giorno che si assommava al suono delle sirene che continuamente si sentivano per le strade”.

La certezza che si sfalda

Mentre ogni certezza si sfaldava davanti all’imprevedibilità del virus gli abitanti di Nembro sono entrati in contatto con un modo di morire terribile. Colpito a sua volta dal Covid 19 don Antonio, una volta superata la malattia, ha telefonato a tutte le famiglie che hanno avuto un lutto, per sostenerle e mostrare la sua vicinanza. “Morire senza il conforto di una parola, senza il volto di una persona cara,- sottolinea il parroco –  senza una mano che tiene la tua, senza una carezza, questa è la disumanità della morte”. “C’è stato un giorno in cui un gruppo di giovani – aggiunge il curato don Matteo Cella – ha realizzato uno striscione, lungo almeno 30 metri, che invocava giustizia per tutti quelli che non sono stati curati e sono stati lasciati da soli. É vero sarà necessario fare chiarezza su quello che non ha funzionato e sulle responsabilità ma credo che la vera giustizia, in realtà, sia stata realizzata da tutte quelle persone che si sono rimboccate le maniche e hanno cercato di rispondere nei fatti alla domanda cosa posso fare per il bene comune”.

 “La vera giustizia”

Don Antonio e Don Matteo raccontano la loro difficile esperienza a Giovanni Panozzo nel corto dal titolo “La vera giustizia”, filmato della serie sulle vite e sulla missione dei sacerdoti, disponibile nel canale youtube Insieme ai sacerdoti. “La vera giustizia è quella di quel signore che ha portato i dializzati positivi al Covid in ospedale perché nessuno li portava più – sottolinea Don Matteo –  la vera giustizia è quella di quel volontario che ogni giorno con il pulmino del comune andava nelle case e portava i pasti e le medicine agli anziani soli, di chi ha portato i compiti ai bambini che non riuscivano a stampare le schede a casa, la vera giustizia è quella di chi difende la qualità della vita degli altri”.

L’emergenza a Nembro

A Nembro in tanti si sono spesi per fronteggiare l’emergenza, nel segno dell’aiuto concreto, e l’oratorio ha tenuto vive le relazioni tra i giovani che si sono messi al servizio della comunità. Diretto dal 2011 da Don Matteo Cella, 40 anni, unico sacerdote a non essersi ammalato, l’oratorio San Filippo Neri è stato un riferimento importante per la cittadinanza, un luogo attivo e coinvolgente da cui partono continuamente iniziative e spunti di riflessione. Quando hanno chiuso i negozi, il Comune ha chiesto un aiuto alla parrocchia per informare la popolazione sulle nuove modalità per avere i servizi essenziali; ogni commerciante si è organizzato, mentre don Matteo ha radunato quaranta ragazzi, tra i 15 e i 17 anni, che sono andati di casa in casa a mettere un volantino in tutte le cassette della posta e ad offrire il proprio supporto alle persone in difficoltà.

La tecnologia che ha accorciato la distanza

Durante il lockdown don Matteo si è affidato poi alla tecnologia, celebrando le messe nella chiesa vuota e condividendo i filmati su YouTube, producendo podcast con il commento al Vangelo del giorno, disponibili su diverse piattaforme. Riprese le attività, pur con le limitazioni dell’ultimo periodo, il prete social, ha tenuto viva l’attenzione dei giovani coinvolgendoli in diverse attività. In vista di un Natale diverso don Matteo ha realizzato un programma quotidiano “Uomo vero”, una serie di riflessioni pensate per i ragazzi e per far vivere loro con pienezza il periodo dell’Avvento.

Ogni giorno alle 9.00, sul canale YouTube dell’Oratorio e su altre piattaforme, il sacerdote pubblica una traccia audio che contiene la preghiera del giorno seguita da un commento. La finalità è quella di avvicinare i giovani alla figura e all’umanità di Gesù attraverso un percorso di conoscenza, articolato in modo semplice, rivolto soprattutto agli adolescenti per coinvolgerli e promuovere il senso di appartenenza e di comunità. Inoltre i catechisti aiutati dagli adolescenti hanno consegnato ogni settimana di avvento nelle cassette della posta dei bambini iscritti alla catechesi uno strumento per l’animazione della riflessione e della preghiera in famiglia.

Una Chiesa che rinasce

L’esperienza della pandemia ha messo in evidenza che la Chiesa deve rinascere proprio partendo dalle relazioni, dai piccoli gesti, dalla condivisione, dalla storia e dalla vita delle persone. “Mi sono reso conto che la nostra gente – conclude Don Antonio – ha bisogno di poche cose e ha bisogno di vicinanza. Desidererei una comunità cristiana più prossima, meno formale e più vicina”.