Il sole della rinascita dopo la tempesta

Un racconto di fede e speranza che rispecchia la vita di tanti. La storia di una donna e di una mamma che ha trovato la forza per tornare a vivere, partendo dal suo nuovo mondo: Sartoria Sociale

“Mi chiedi chi sono? Sono me stessa. Finalmente! E mi interpreto, oggi, faticosamente, dopo trascorsi in cui non è stato affatto facile esprimermi al mondo, nella mia essenza vera, per troppo tempo resa contraddittoria da circostanze imposte da altri. Oggi, al mondo, è fondamentale che io sia una mamma e a ciò devo il mio stesso essere in vita! Per chi potesse essere interessato sono, in ultimo, Architetto, Specialista in Disegno Industriale, Specialista in Beni Culturali e Sviluppo Locale, Tourist information provider”.

Una ragazza, una donna, un volto comune a tante altre persone, la storia di rinascita di Marta (nome di fantasia). Arriva a Sartoria Sociale dopo un percorso difficile, grazie ai servizi sociali. Una vita di soddisfazioni alle spalle e poi la discesa. Ma si sa, il sole sorge sempre dopo la tempesta. Ed è questo che ha rappresentato sartoria sociale per Marta che ha raccontato ad Interris il suo percorso di resurrezione spirituale e non solo.

Come sei arrivata in Sartoria Sociale, da quanto tempo sei qui e quale è stato il tuo percorso qua dentro?
“Sono arrivata alla Sartoria ad Ottobre del 2018, nell’ambito del percorso terapeutico di cui sono protagonista. Ho iniziato la mia esperienza quale volontaria, applicandomi nel lavoro che potesse riguardare i gesti più semplici, tanto quanto la concentrazione mentale più attenta. All’interno della Sartoria Sociale ho acquisito, in seguito, la qualifica di “stilista junior”, di cui mi fregio con grande onore e vanto”.

Quali sono le difficoltà che incontri più spesso nel far comprendere la tua personalità e il tuo talento?
“Credo che il, mio, problema fondamentale sia, ad oggi, l’aver acquisito negli anni, un enorme carico di sfiducia nei confronti di chi mi circondi e mi sia vicino. Ho subìto le più profonde ferite da coloro che avrebbero dovuto, al contrario, per istituzione del ruolo interpretato, cautelarmi, coadiuvarmi, aiutarmi, magari provare affetto nei miei confronti. Celati al mondo, da un opaco velo di ipocrisia e menzogna, sono trascorsi i miei anni migliori: non riesco a perdonare né, forse, a perdonarmi per aver permesso che ciò avvenisse. E adesso, dopo 32 anni di progressivo allontanamento dal concetto di “volere e volersi bene”, è difficoltosissimo raccogliere i pezzi di quello che può restare della vita, ritrovare fede nel prossimo, ritrovare fiducia in me stessa e trovare il coraggio necessario ad imporsi, a farsi capire. Avevo gettato la spugna, non volevo più sapere di possedere un talento, non ero più in grado di conoscere la mia personalità, né tantomeno, di esternarla, qualunque essa fosse. Oggi molto è cambiato, ma mi resta una particolare ritrosia nel volere fare valere le mie opinioni, ciò che credo sia corretto: vorrebbero gli altri realmente ammettere di avere compreso? Sarebbero in grado di farlo? Avrebbero il cuore di accettarmi con il corposo bagaglio di scompensi che porto dietro le spalle?

Pensi che il lavoro creativo e artigianale, svolto insieme a tante persone diverse possa avere un’influenza positiva sul loro benessere?
“Ritengo da sempre, fortemente, che tutto ciò che abbia a che fare con la produzione artistica (quindi la creatività, quindi l’artigianato), possa avere un ruolo enormemente edificante in chiunque vi resti coinvolto, da chi effettivamente produce, al fruitore di tale produzione. All’interno del laboratorio con la cooperazione congiunta di tutti nell’ideazione, nella realizzazione, nella produzione più o meno seriale, di manufatti di pregio artistico indubbio e reale, si crea l’habitat lavorativo, e di riscatto umano, indispensabile alla crescita e al progresso delle coscienze. Mi stupisce sempre la gioia che mi ha accompagnato, dal primo giorno, nel vedere “costruire” bellezza, gradevolezza e confort, destinati al mondo e al mercato esterni. Mi fa crescere in spirito poter ammirare l’atmosfera di orgoglio costruttivo che “aleggia” in Sartoria e mi riempe di fiducia poter pensare che anch’io, per il poco che ho potuto fare, sono parte di ciò”.

Uno dei motti della Sartoria è “Siamo tutti ex di qualcosa”. Tu di che cosa ti senti ex?
“Mi sento ex… prima di tutto del fallimento! E’ stato un rischio corso… Mi sento ex della demagogia: oggi sono in grado di interpretarla e smorzarla. Mi sento ex di proclami, falsi valori, finti ideali: ho compreso col tempo che poche parole, un battito di ciglia, un sorriso sincero, costruiscono di più un mondo pulito. E sono un ex del populismo e di facili buonismi, occultanti vere crudeltà d’animo. Mi sento un’ex libertina, pur non essendo mai stata tale, realmente. Sì, perché in verità, in tutto ciò che ho citato quale stigma da cui essermi allontanata, non mi sono mai calata personalmente… Come dice Jessica Rabbit “io non sono cattiva. E’ così che mi disegnano”. In 32 anni, e anche prima, sono stata inviluppata in tanta di quella carta disegnata da altri, da correre il rischio di non poterne più uscire. Da non capire più, sovente, COSA e, soprattutto, SE fossi in questa vita. Non ho più distinto, per lunghi periodi, il mio essere fisicamente viva e vera, rispetto alle altrui costruzioni verbali ritrattanti i motivi dei miei strani comportamenti. Ecco: sono un’ex delle idee degli altri su di me. Non che importasse molto, ma ora, il giudizio degli altri si posa su di me, non su un fantoccio creato ad hoc perché ci si potesse facilmente sentire migliori. Non soltanto sono un’ex, sono, in ultimo, una persona viva, perché libera. E molto ex dell’infelicità, quindi”.

Secondo te le persone hanno il potere di cambiare la propria vita divenendo responsabili della propria felicità?
“Se è vero che ognuno è artefice del proprio destino, è pur vero che non sempre il capitolare dei fatti dell’esistenza può essere modificato dalla nostra volontà. Non potrei fare una colpa ad un soldato di avere regalato il proprio sangue alla patria, in battaglia, ma tantomeno, riuscirei a condannarne un altro se si fosse dato alla diserzione, morendo da “traditore”, con un plotone di esecuzione alle spalle. Il primo ha accettato un ordine, il secondo ha tentato di sottrarvisi. Sono morti entrambi, la differenza è nella passività o meno nei confronti di ciò che riteniamo ineluttabile. Lo scarto è anche nel giudizio altrui, nei vincoli esterni, nei condizionamenti storici. Ma se dovessi, cosa che non mi piace troppo fare, “simpatizzare” per l’eroe o per il disertore, verserei una lacrima in più per chi ha almeno tentato di sottrarsi al giogo del fato preordinato, esponendosi all’incerto, per trovare una via diversa rispetto a quella già segnata, magari da altri. Non credo di poter aggiungere altro…”

Hai mai avuto paura?
“Penso che solo le vere lacrime di disperazione, quelle provocate da situazioni assolutamente insostenibili, costringano ad uscire dal tunnel dell’incertezza, della precarietà, dell’equilibrio instabile. Un paio d’anni fa ho avuto davanti un baratro: ho visto dissolversi nel nulla la mia vita e, terribilmente, anche quella di mia figlia, ancora da vivere. Qualcosa ha urlato forte alla mia coscienza, risvegliandola bruscamente da un sonno limbico dove stagnava da troppo tempo. A dispetto delle convenzioni e dei conformismi, fregandomene di ogni pensiero benpensante, cancellando nell’animo anche i dati anagrafici e, innanzitutto, rinunciando ad ogni certezza “borghese”, ho strappato la mia bambina a una fine bieca e terribilmente tetra e ho ridato a me stessa la possibilità di avere un vissuto, ulteriore, a testa alta. Non è stato facile abbandonare le apparenze di una vita fra ipocriti, affatto facile. E’ significato riconoscermi diversa, piangere sul lungo passato da dimenticare. Ma significa oggi sognare una casa per me e mia figlia. Sogno assente fino a qualche lacrima fa”.

Ti ha aiutato la fede in questi anni?
““Dio è Amore”. Se queste tre parole non avessero accompagnato costantemente i miei pensieri nel corso di tutti questi anni, non credo che ce l’avrei mai potuta fare a sopravvivere. Il bisogno di ricevere e dare Amore ha sospinto ogni mio passo, e lo riconosco quale fonte inesauribile di energia vitale. Credo che la fonte di quell’Amore, riposta nel più profondo dell’anima, tanto quanto nel più sublime dei tramonti, abbia reso ogni cosa possibile, nel suo stesso imperscrutabile e diretto procedere verso il bene. Ho avuto fede nel potere infinito di colui che mi ha caricato sulle spalle, lasciando le sue impronte sulla sabbia… Mi sembravano le mie, non era così, non ero sola”.