Report Ocse 2022: dal nido all’Università, i buchi dell’Italia e il futuro dei nostri giovani

La scuola italiana degli ultimi 20 anni analizzata dall’Ocse e commentata dalla Fondazione Agnelli insieme a Save the Children

Save the Children e la Fondazione Agnelli hanno presentato a Roma i dati dell’ultimo report OCSE sull’istruzione. Con i commenti di Raffaella Milano (direttrice Programmi Italia-Europa di Save the Children), Andrea Gavosto (direttore Fondazione Agnelli) e Daniela Vuoi (prorettore alla Ricerca all’Università Tor Vergata di Roma). Ha chiuso l’incontro l’intervento del Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi.

L’Italia indietro di 20 anni

Il nuovo Report dell’OCSE “Education at a Glance 2022 – Uno sguardo sull’istruzione” è la principale fonte internazionale che ogni anno fornisce una comparazione delle statistiche nazionali sullo stato dell’istruzione nel mondo. Il rapporto analizza i sistemi educativi dei 38 paesi membri dell’OCSE, più Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia, Arabia Saudita e Sud Africa. Quest’anno il report ha presentato in più un capitolo sull’impatto del Covid-19 nei due anni scolastici passati e ha incluso in particolare la situazione universitaria internazionale. I dati OCSE sulla scuola italiana purtroppo sono sconcertanti: negli ultimi 20 anni abbiamo fatto dei passi indietro invece di andare avanti e siamo uno dei fanalini di coda tra i Paesi studiati dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Dall’asilo nido all’Università i dati degli ultimi 20 anni ci dicono che la formazione dei giovani italiani è indietro su tutto. Dalla disparità di prestazioni territoriali, da Nord a Sud d’Italia, alla retribuzione netta dei nostri laureati, fino ai dati di disoccupazione e di abbandono scolastico.

Il livello di istruzione tra il 2020 e il 2021

Tra il 2020 e il 2021 (gli anni della pandemia) in Italia il livello di istruzione è aumentato a un ritmo più lento rispetto agli altri Paesi analizzati. La percentuale di giovani con laurea tra i 25 e i 34 anni è aumentata solo di 18 punti, contro i 21 punti degli altri 12 Stati OCSE. Chi ha più titoli di studio ottiene un salario più alto. In Italia però anche questo dato è negativo, in quanto anche se i nostri laureati guadagnano il doppio di chi ha un titolo di studio inferiore, la media internazionale è del 76%. I vantaggi nel mondo del lavoro dipendono anche dal tipo di laurea. Nei settori sanitario e sociale la percentuale di occupazione è arrivata fino all’89%; al terzo posto la laurea in materie scientifiche, prima fra tutte ingegneria. Sempre in Italia è comunque alta la percentuale degli studenti che abbandonano senza finire il ciclo di studi. Un dato soddisfacente arriva invece dall’istruzione all’infanzia: il 92% di tutti i bambini tra i 3-5 anni è iscritto a un programma educativo pubblico o privato. Un dato superiore rispetto alla media OCSE.

Il deficit di efficacia dell’istruzione

E’ molto elevato nel nostro paese anche l’indicatore del deficit di efficacia dell’istruzione per cui sono molti i giovani adulti che non hanno un lavoro, non lo cercano e non seguono un percorso di studio formativo (NEET). La quota di NEET tra i 25 e i 29 anni in Italia ha continuato ad aumentare fino al 34,6% nel 2021. Inoltre gli studenti che si laureano entro i tre anni previsti nel percorso triennale da noi sono solo il 53%, contro una media OCSE del 68%. Anche il gender gap in Italia è significativo. Le donne studiano di più e meglio degli uomini. I quali però sono più impegnati negli studi tecnici-professionali. Per quanto riguarda le tasse universitarie l’Italia non è uno dei Paesi più costosi, ma è indietro per acquisizione di borse di studio e altre facilitazioni per gli studenti, dove i paesi nordici sono al primo posto. Il corpo docente italiano è il più anziano in Europa, le donne sono le più impiegate nelle scuole mentre gli uomini occupano in larga maggioranza le posizioni universitarie. I docenti italiani guadagnano meno della media dei paesi OCSE. Al contrario i dirigenti scolastici ricevono stipendi superiori alla media europea. L’Italia spende per l’istruzione tanto quanto gli altri paesi della ricerca OCSE ma è indietro negli investimenti universitari.

Raffaella Milano (Save the Children): servono servizi educativi di qualità

Secondo Raffaella Milano di Save the Children i nodi critici dell’Italia vengono da lontano: “Le disuguaglianze nascono molto prima (dell’accesso all’Università). Già durante la scuola primaria gli esiti degli apprendimenti differiscono, seguendo le condizioni socioeconomiche familiari e territoriali”. Divari che aumentano con l’età scolare. Per questi motivi bisogna intervenire sin dall’infanzia, con una rete di asili nido e servizi educativi di qualità accessibili a tutti. Dalla costruzione di nuove strutture alla formazione di nuovo personale, per contrastare sul nascere la povertà educativa.

Andre Gavosto (Fondazione Agnelli): “Studiare conviene, anche in Italia”

Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli ha dichiarato: “Il nuovo report conferma una volta di più che dappertutto, anche in Italia, studiare conviene”. Non solo perché migliora la qualità di vita professionale ma perché i livelli elevati di istruzione sono legati a una salute migliore, una maggiore partecipazione alla vita civile e alle capacità di comprendere l’altro. Malgrado il numero dei laureati sia aumentato in Italia negli ultimi 10 anni i dati ci dicono che non è ancora abbastanza. “Manca un progetto di orientamento al corso di Laurea a partire dalla scuola secondaria di I grado”, spiega Daniela Vuoi, prorettore alla Ricerca dell’Università Tor Vergata di Roma. Un’altra criticità chiave è colmare il gender gap dei salari sul mercato del lavoro.

Il ministro Bianchi: “Il problema principale dell’Italia rimane la diseguaglianza”

Chiude il convegno il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, che inizia ricordando l’articolo 34 della Costituzione italiana: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Questo concetto di inclusione non è presente in tutti i Paesi, ma in Italia sì. Di contro però ancora si ragione pensando che la spesa pubblica per l’educazione sia un peso e non un’opportunità. “Non dimentichiamoci che in USA – spiega Bianchi – i ragazzi che vanno all’università portano con sé un debito personale di 250 mila dollari”. In Italia siamo ripartiti dalla scuola dell’infanzia, abbiamo investito 4,9 miliardi di euro per l’infanzia (3 per i nidi), per colmare quella frattura tra Nord e Sud del Paese. In Emilia Romagna (la regione di provenienza del Ministro) i bambini impegnati nelle strutture educative dell’infanzia sono più del 50%, a Messina sono il 3%. Al Sud le donne non lavorano e non ci sono i nidi, ma che cosa viene prima la risposta o la domanda? Non ci sono asili perché non se ne fa richiesta, ma non c’è richiesta perché manca il servizio. “Siamo intervenuti anche sulla digitalizzazione, abbiamo investito 5 miliardi per portare la banda larga anche dove ancora non c’è”, prosegue Bianchi. Il problema principale dell’Italia rimane la diseguaglianza. Bisogna continuare a investire sulla scuola e lavorare di più sul concetto di ‘comprensivo’ e non divisivo. Dopo gli asili nido preoccuparsi della riforma delle scuole medie, la riqualificazione sociale, amministrare 800mila insegnanti, sono i temi urgenti da perseguire per far raggiungere all’Italia una posizione equa nel prossimo rapporto OCSE. “Noi viviamo in una società dove la capacità di stare insieme non è ovvia. C’è un bisogno assoluto di imparare a stare insieme. Abbiamo capito che le parti del Paese che funzionano meglio sono quelle dove riusciamo a incrociare le diverse competenze, le diverse persone”, ha concluso così Patrizio Bianchi, ministro dell’Istruzione dal febbraio 2021, economista e titolare della cattedra UNESCO in “Education, Growth and Equality”.