I 13 anni della Legge Golfo: quote di genere per il benessere sociale

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Uno studio dell’Università Bocconi trae il bilancio economico degli effetti delle quote di genere nei consigli di amministrazione. Nei dieci anni precedenti la loro introduzione, infatti, la partecipazione femminile alla forza lavoro era rimasta stabile intorno al 48 per cento, il valore più basso in Europa dopo Malta, contro una media europea del 60 per cento. In questo contesto, la politica delle quote di genere sembrava l’unico modo possibile per avviare il processo verso la parità. Svezia, Norvegia, Finlandia e Islanda si confermano ai primi quattro posti della classifica mondiale dei Paesi con minore disparità di genere. Seguono la Nuova Zelanda e i Paesi del G8, ai quali Lettonia e Lituania (13esimo e 14esimo posto), si sono rapidamente avvicinate, superando in dodici mesi le differenze salariali che le penalizzavano. Nei primi venti posti anche Sri Lanka, Croazia e Sudafrica. Solo al trentunesimo gli Stati Uniti che, sebbene abbiano un ottimo punteggio per la partecipazione alla vita politica, registrano un crollo in termini di pari opportunità sul lavoro. L’Italia si piazza a un poco brillante 84esimo posto. Il rapporto del World Economic Forum (Wef) sul divario tra uomo e donna ha esaminato le aree cruciali in cui le disparità di genere emergono prepotentemente. Ossia lavoro, istruzione, salute e rappresentanza politica. La graduatoria non misura le condizioni assolute di vita delle donne in ogni Paese, ma verifica la distanza in termini di status e di possibilità tra uomo e donna. In altre parole, lo studio analizza il gap in termini di opportunità che separa i due sessi e pone al vertice della graduatoria quei Paesi dove le risorse sono più equamente distribuite.

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Quote e differenze

A differenza della Norvegia, in Italia le quote sono state introdotte per un periodo di tempo limitato e l’obiettivo di rappresentanza obbligatoria di genere è stata fissata per tutte le società a un quinto (20 per cento) per la prima elezione del consiglio di amministrazione che avesse avuto luogo dopo il mese di agosto 2012. Da portare a un terzo per le successive due elezioni. Nel 2019 la legge è stata estesa per ulteriori tre elezioni con un aumento della quota fino al 40 per cento. Le aziende e il mercato hanno riconosciuto gli indiscussi benefici del contributo femminile. Una legge ha contribuito a cambiare il volto non solo dell’economia italiana. Oggi le quote non sono più un tabù, oggi la presenza femminile in economia come in politica rappresenta una “conditio sine qua non” per garantire crescita e sviluppo sostenibile in ogni ambito. La legge Golfo-Mosca del 2011, la numero 120 del 2011, ha stabilito “l’obbligo per le società quotate e a controllo pubblico di riservare almeno un terzo dei posti nei consigli di amministrazione al genere meno rappresentato. Tale quota è stata successivamente aumentata al 40% con la legge di Bilancio 2020.

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Svolta-quote

Una vera e propria rivoluzione, culturale e nei numeri, che ha infranto tanti soffitti di cristallo. E ha creato una nuova leadership femminile nel mondo economico. Oggi, la presenza femminile nei board delle società quotate e partecipate ha superato la previsione normativa ed è oltre il 43%”. Un provvedimento che ha segnato una svolta storica per l’equilibrio di genere nei Consigli di amministrazione (Cda) delle società quotate e partecipate. La legge ha introdotto nel nostro Paese le quote di genere. Imponendo un’equa rappresentanza femminile nelle posizioni di vertice del mondo economico. La presenza femminile nei Cda delle società quotate è passata dal 6,3% nel 2009 al 43% nel 2023. Le società soggette alla normativa hanno visto un miglioramento nella performance economica. Con un aumento della produttività del 4-6% grazie all’inclusione di donne nei Cda. Le ricerche mostrano che le imprese quotate con una maggiore rappresentanza femminile nei Cda registrano un aumento del valore delle esportazioni e una maggiore propensione all’internazionalizzazione. Dopo un complicato iter iniziato nel 2012, è stata finalmente emanata nel 2022 la direttiva “Women on board“, che richiede “agli Stati membro di provvedere affinché, entro il 30 giugno 2026, le società quotate siano obbligate a garantire nei propri Cda la presenza di una quota del 40% dei posti di amministratore senza incarichi esecutivi, oppure del 33% del totale dei posti di amministratore, con o senza incarichi esecutivi”.

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Presenza di donne

L’Italia, grazie alla legge Golfo, si posiziona “oggi al terzo posto in Europa – dopo Francia e Norvegia – e al quinto nel mondo per presenza di donne nei Cda delle società quotate. È nostra la maglia rosa europea per percentuale di donne alla presidenza dei comitati. Cioè 5% audit, 54% governance, 60% controllo e rischi”. Le indagini statistiche attestano che le donne hanno maggiore difficoltà nel trovare un’occupazione adeguata al titolo di studio posseduto. E a conseguire posizioni decisionali ai vertici e negli organi di amministrazione e di controllo delle società italiane, sia pubbliche sia private. Per questo 13 anni fa sono stati introdotti obblighi di “equilibrio di genere” negli organi di amministrazione e di controllo delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni e delle società italiane le cui azioni sono quotate nei mercati regolamentati.

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Graduatoria

In Europa, la Francia (in 51esima posizione) rimane uno dei pochi Paesi a detenere il primo posto sia per quanto concerne l’istruzione che la sanità. E ha fatto notevoli progressi rispetto ai risultati del 2006 (71esimo posto). Questa significativa ascesa nella classifica è dovuta a un miglioramento nel rapporto tra i tassi di partecipazione all’attività lavorativa delle donne e degli uomini. Nonché alla disponibilità di nuovi dati riguardanti le professioni qualificate svolte dalle donne. Le stime basate sui nuovi dati mostrano un incremento della percentuale femminile tra la “manodopera qualificata e tecnica” e tra “legislatori, alti funzionari e dirigenti”. I Paesi che più hanno colmato il divario storico tra i sessi sono Germania, Spagna, Corea, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita. Mentre Tunisia, Marocco e Turchia hanno peggiorato la loro situazione.

 

 

 

Giacomo Galeazzi: