Progetto Ri-Housing: una risposta all’emergenza abitativa in pandemia

Sara Capponi, responsabile del progetto RiHousing della Caritas di Perugia, racconta come è nata e quali buoni frutti ha portato l’esperienza sul territorio

La pandemia ha acuito alcuni problemi sociali già esistenti, oltre ad averne generati di nuovi e drammatici. E’ il caso dell’emergenza abitativa, diventata di estrema urgenza soprattutto in alcune città.

Per far fronte al problema, la Caritas Diocesana di Perugia si è mossa con un progetto importante e utile, che per circa un anno e mezzo ha offerto una risposta a quanti si sono trovati senza più una casa e un tetto. Si tratta del progetto Rihousing.

Ne parliamo con Sara Capponi, responsabile dell’iniziativa.

Come si è svolto il progetto?

“Il progetto RiHousing è operativo dal 1 aprile 2021 e il 30 settembre 2021 volgerà al termine. Sono state accolte 70 persone tra singoli e famiglie che sono state accompagnate nella ricerca di un lavoro tramite uno sportelli di orientamento, attività prevista nel progetto e anche nella ricerca di un nuovo alloggio per il futuro. In questo anno sono infatti gli ospitati riusciti a mettere da parte dei risparmi, dato che le spese di casa e utenze erano a carico del progetto. Con questo salvadanaio potranno pagare le caparre iniziali di un nuovo appartamento e tutte le varie spese per le utenze.

Il progetto ha come obiettivo generale quello di dare una risposta al disagio abitativo della cosiddetta fascia grigia della popolazione, sia nel comune di Perugia che in quello di Assisi, proponendo una nuova forma di alleanza tra pubblico e privato, tra profit e no profit.

L’obiettivo è quello di attrarre risorse non utilizzate, ovvero patrimonio immobiliare inutilizzato trasformando questo da problema per i proprietari, in soluzione per le famiglie in situazioni di fragilità abitativa. Ma crea anche delle condizioni fiduciarie, culturali ed operative per utilizzare queste risorse per dei fini sociali”.

 

Oltre all’emergenza abitativa, quali benefici ha apportato questa esperienza alle persone accolte?

“Quello che si sperimenta è un modello di welfare comunitario poiché si è in grado di prendere in carico il problema e proporre una soluzione a 360 gradi: non si affronta solo il problema abitativo della persona o della famiglia, ma anche le cause che lo determinano. Il progetto coinvolge 70 persone del Perugino e dell’Assisano che hanno un momentaneo bisogno abitativo. Sono cittadini italiani o stranieri con permesso di soggiorno, che si trovano nella condizione di essere privi di un alloggio adeguato, o essere sottoposti a sfratto esecutivo incolpevole o a ingiunzione di rilascio di alloggio in caso di separazione coniugale, o in una condizione di bisogno. Le valutazioni fatte da un’apposita cabina di regia del progetto.

E poi in un congruo lasso di tempo le persone possono ricostruire le condizioni per avere accesso a una situazione abitativa autonoma”.

Quanto è urgente il problema abitativo in questo momento nel vostro territorio?

“Il periodo storico che stiamo vivendo è caratterizzato dalla straordinarietà rispetto al passato. Se pensiamo che con la crisi economica l’emergenza abitativa era già presente, a seguito della pandemia è sicuramente diventata impressionante. Molte famiglie nel 2020 hanno avuto difficoltà a pagare il canone di locazione e molte prevedono di non farcela quest’anno. Stessa cosa con il mutuo. Sono in netto aumento le famiglie che si rivolgono alla nostra Caritas diocesana per un contributo affitto o per il pagamento delle bollette. In una recente intervista del SUNIA (Sindacato Unitario Inquilini Assegnatari) dichiara che nel Perugino si registrano 960 procedure di sfratti per morosità. La cui esecuzione era stata poi sospesa fino a Giugno. Così come ci sono 22 pignoramenti, anche questi congelati. Oltre 1000 sono le domande per una casa popolare, più di 900 quelle per il contributo affitto presentate al solo Comune di Perugia. Il quadro è drammatico e in difficoltà non ci sono solo gli inquilini che non riescono a pagare, ma ci sono i proprietari che poi da mesi non ricevono assolutamente un euro”.

Come è cambiata la vita di chi è stato accolto nel progetto Rihousing?

“Possiamo dire con soddisfazione che è migliorata sotto molti punti di vista. Alcuni di loro avevano delle situazioni debitorie che avevano accumulato nel corso degli anni e a cui sono riusciti a far fronte grazie a quella serie di risparmi che hanno messo da parte. Altri non avevano più fiducia nel futuro: quando si rimane senza una dimora, senza una casa da cui ripartire, anche le semplici cose, quelle che per chi ha una casa risultano quotidiane, diventano una montagna insormontabile. Oltre all’abitazione, alcuni hanno anche ritrovato un lavoro grazie alla partecipazione in progetti di skills promossi da Arpal, con cui son riusciti a iniziare dei tirocini retribuiti in vari campi. Ora si guarda al futuro con un altro occhio di speranza e di fiducia”.