Progetto mAmA per le donne ucraine che aspettano un bambino

L'intervista di Interris.it a Giovanna Cacciato, dottoressa referente dell’Ospedale Sant’Anna della Città della Salute di Torino per il progetto mAmA

Mentre il conflitto in Ucraina non accenna a diminuire di intensità, si fa sempre più organizzata la macchina delle solidarietà per chi fugge dalle zone in guerra. Sono tanti i progetti che nascono in tutta Italia. In Piemonte, ad esempio, si lavora per l’accoglienza ed il sostegno per le donne ucraine incinte. Interris.it ha intervistato Giovanna Cacciato, dottoressa referente dell’Ospedale Sant’Anna della Città della Salute di Torino.

Da dove nasce l’idea di questo progetto? Quali sono gli obbiettivi e come si realizzerà concretamente?

“Questo progetto nasce dal servizio di psicologia clinica dell’ospedale Sant’Anna di cui io sono la responsabile e ci occupiamo da tempo di donne immigrate. L’ospedale ha un 40% di donne straniere e quindi ci siamo chieste come continuare a fare ciò che facciamo ma incrementando con questo specifico progetto “mAmA”, che in ucraino significa appunto “mamma”. Torino è una città che ha accolto molte donne profughe ucraine e ci immaginiamo tra la percentuale di queste donne ce ne siano alcune in gravidanza e alcune con bambini molto piccoli. Il progetto è quello di offrire la possibilità di colloqui con psicologi formati nell’ambito ostetrico e ginecologico per permettere a queste donne di superare eventuali traumi legati alla guerra, per prevenire i rischi di sintomatologia ansiosa del post parto ed eventuali ricadute depressive della donna (abbastanza frequenti nell’immediato post parto)”.

Perché è importante sostenere le donne ucraine in gravidanza?

“È importante sostenere tutte le donne in gravidanza perché sappiamo che il periodo della gestazione e un periodo di grande vulnerabilità della donna. Ma soprattutto andiamo a proteggere la vita del nascituro, perché sappiamo quanto le prime esperienza di vita possono modificare il modo in cui addirittura il DNA funziona a livello biochimico, specialmente se stressati. Quindi noi con questo progetto cerchiamo di lavorare sulla prevenzione secondaria della trasmissione inter-generazionale del trauma. Anche lo stress può influire sulla capacità della donna sia a causa di cambiamenti ormonali che, nello specifico, per le donne ucraine che si dono trovate esposte ad un evento inatteso e che devono affrontare l’esperienza della gravidanza in condizioni estreme. Possiamo immaginare quindi come questo rappresenti un disturbo da stress post-traumatico ed un disagio emotivo che poi può sviluppare ripercussioni più importanti nel futuro della donna (come panico, indebolimento del sistema immunitario, ansia). Il nostro compito quindi è quello di cercare di sostenere le nostre donne da un punto di vista psicologico e cercare di preservare il futuro di quella famiglia intera”.

Un consiglio per tutte quelle persone che in questo periodo stanno accogliendo donne ucraine, cosa possono fare o dire in caso di una donna in gravidanza?

“Credo che abbiano tutte bisogno di sentirsi accolte ed ascoltate, noi per esempio utilizzeremo dei mediatori culturali (a causa della barriera linguistica) proprio per farle sentire più a loro agio possibile. Il servizio di mediazione culturale del nostro progetto è stato attivato grazie alla direzione sanitaria di presidio del Sant’Anna, alla direzione generale dell’azienda ospedaliera universitaria “Città della Salute” della scienza di Torino e all’URP. Bisogna cercare di dare loro la possibilità di raccontarsi e che possano in un qualche modo sentire di poter condividere quello che è nelle loro menti e che hanno visto i loro occhi, che abbiamo una possibilità raccontando la loro esperienza di poter ripercorrere quell’esperienza. Al contempo è necessario che mantengano i rapporti con i propri familiari che ancora si trovano in Ucraina, perché l’appartenenza culturale è la radice”.

Quali sono i traumi che matura una donna che scappa dalla guerra portando in grembo un bimbo?

“Il trauma principale è legato alla solitudine, qualsiasi donna immagina, in questi anni, di partorire accanto alla sua famiglia e al proprio marito, con la persona che ha condiviso con lei questo progetto di famiglia. Condizione non possibile a causa della separazione forzata, che prima era una esperienza inimmaginabile. C’è inoltre un tempo di reazione da tenere in conto, chi magari era a fine gravidanza si trova ad aver partorire, o partorire, in condizioni estreme. Questo comporta inevitabilmente a delle conseguenze che possono essere la solitudine, il non sapere la lingua o la paura di non essere adeguatamente ascoltati e sono tutti traumi che possono avere delle ripercussioni sullo stato emotivo e sugli aspetti neo-vegetativi dello sviluppo del bimbo. Ecco perchè è importante che la donna venga seguita sin da subito, ed è proprio quello che cerchiamo e cercheremo di fare noi attraverso questo progetto. D’altronde sappiamo che la guerra è da sempre nemica giurata dell’infanzia”.

Come si può usufruire di questo servizio? In che modo?

“Il servizio è rivolto a tutte le donne ucraine presenti in Piemonte semplicemente telefonandoci per poter prenotare un colloquio con degli specialisti. Il numero di telefono del nostro ambulatorio è 0113134067 oppure tramite una mail al servizio di psicologia clinica che è psicologiaperinatale@cittadellasalute.to.it. Nel momento in cui noi riceviamo una telefonata o una mail con i recapiti telefonici di chi chiama immediatamente fissiamo un appuntamento. Al momento abbiamo previsto due spazi settimanali di ascolto gratuito e accoglienza in presenza che sarà poi necessario potenziare”.