Prof. Ojetti: “I cittadini devono avere lo stesso livello di cura, istruzione e giustizia”

In occasione della Giornata mondiale della Salute, Interris.it ha intervistato il professor Stefano Ojetti, vicepresidente nazionale dell'Associazione Medici Cattolici Italiani (Amci)

Il 7 aprile il mondo celebra la Giornata mondiale della Salute. Dal 1950 la World Health Day si celebra in questo giorno per ricordare la fondazione dell’Organizzazione mondiale della Sanità. Si tratta di un’occasione per promuovere a livello mondiale la sensibilizzazione su argomenti fondamentali per la salute pubblica della comunità internazionale e lanciare programmi a lungo termine. Non è un evento che si riduce alle manifestazioni di un giorno, ma si tratta di un punto di partenza che ha come obiettivo quello di migliorare le condizioni di salute delle persone di tutto il mondo. Mai come in questi giorni abbiamo avuto modo di apprezzare il livello di competenze, spirito di sacrifico e forza di tutti quegli uomini e donne che sono l’essenza del nostro sistema sanitario.

Il tema della giornata

L’Oms, per il 2020, in questa giornata, ha scelto di onorare il contributo di tutti coloro che sono in prima linea nella lotta contro il virus Covid-19. Inoltre, nell’anno internazionale dell’infermiera e dell’ostetrica, si vuole celebrare anche queste due categorie, riconoscendo il loro ruolo vitale.

L’intervista

Per affrontare l’argomento, Interris.it ha intervistato il professor Stefano Ojetti, vicepresidente nazionale dell’Associazione Medici Cattolici Italiani (Amci).

Professore, con il coronavirus la società riscopre il valore della salute?
“Penso che più che il valore della salute insito in qualche maniera in ognuno di noi, riscopre una moltitudine di valori, quali ad esempio quello del medico e di tutto il personale sanitario che si stanno spendendo in questa emergenza con tutta la loro forza fisica e mentale nel cercare di contenere i danni di questa terribile pandemia in termini di vite umane, spesso non protetti da presidi sanitari congrui come dimostrano le ottanta morti dei medici e  le 25 degli infermieri a fronte dei circa dodicimila casi d’infezione di operatori sanitari registrati ad oggi. Si riscopre il valore del sacrificio e delle rinunce come lo stare a casa, sconosciute certamente ai giovani; si riscopre l’amicizia tra le persone magari verso quello del terzo piano che per anni non hai salutato e del quale non ne conosci nemmeno il nome; si riscopre il valore della solidarietà verso il più debole, il più fragile, l’anziano, attraverso piccoli gesti di vicinanza quali una telefonata o il provvedere ad una spesa. Si riscopre il valore della spiritualità, mai infatti come in questo triste periodo a fronte di chiese spesso poco frequentate durante i tempi passati, oggi assistiamo ad un forte ritorno alla preghiera comunitaria anche universale come in occasione della Supplica del Santo Padre in una piazza San Pietro vuota di gente ma piena di spiritualità”.

Nel mondo ci sono ancora tante differenze sulla tutela della salute. La pandemia le amplifica?
“L’emergenza di qualsiasi tipo mette ancor più in evidenza le differenze e maggiormente nel mondo della salute. Basti pensare ai due opposti come il sistema sanitario degli Stati Uniti, la nazione oggi più evoluta in campo mondiale, che però provvede a fornire prestazioni sanitarie di eccellenza solamente in campo privatistico mentre dà scarse risposte a livello delle fasce più deboli, e all’opposto l’Africa, dove milioni di persone sono abbandonate a sé stesse senza poter usufruire di alcun tipo di cura”.

Sarebbe bene che la sanità torni allo Stato? Meglio un modello centralizzato che in mano alle Regioni?
“Personalmente credo che il così detto federalismo sia utile per certi aspetti nel panorama Italia come in questi giorni stanno dimostrando Governatori e Sindaci che lavorano con fatica e senza risparmio nel cercare di affrontare questo difficilissimo momento, ma credo altresì che Sanità, Scuola e Giustizia debbano avere un comune denominatore centrale perché i cittadini devono avere lo stesso livello di cura, d’istruzione e di giustizia”.

Tanti prima dell’epidemia si lamentavano del sistema sanitario italiano. Cosa vuol dire a loro?
“Su questo punto devo fare alcune osservazioni perché questa pandemia ha contribuito a mettere in evidenza purtroppo delle lacune che nell’ultimo decennio si sono verificate nel nostro SSN (Sistema Sanitario Nazionale). Ho definito, in passato e quindi in tempi non sospetti, il nostro SSN come virtuale perché si può definire soltanto così una Sanità che eroga delle prestazioni con appuntamenti oltre i sei mesi costringendo pertanto chi ne ha bisogno  a rivolgersi a strutture private con la conseguenza che chi economicamente non può non ha più accesso alle cure  come dimostrano   i quasi dieci milioni di cittadini che oggi nel nostro Paese si trovano in queste condizioni. E d’altronde questo problema non poteva prima o poi non emergere, basti pensare infatti che nell’ultimo decennio si sono persi 45.000 posti letto unitamente   a 44.000 dipendenti di cui circa 8.000 medici e 13.000 infermieri, tutto ciò frutto di un definanziamento pari a 37 miliardi di euro£.

E’ un sogno irrealizzabile immaginare un’assistenza minima mondiale?
“Faccio fatica a pensare a questa evenienza che attualmente e credo rimarrà solo un sogno. A parte la mancanza di omogeneità  della popolazione bisogna anche considerare le diverse culture, le diversità climatiche, le endemie, il grado d’istruzione, le tecnologie, in una realtà quale anche la nostra dove vi è difficoltà ad assicurare gli stessi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) con diseguaglianze regionali e dove pertanto conseguentemente non può che mancare ovviamente una Medicina Europea, come difatti  hanno anche dimostrato i vari comportamenti clinici degli Stati membri in tale emergenza”