Petra (Telefono Amico): “Ascolto e accoglienza a chi soffre nei giorni di festa”

L’intervista di Interris.it alla presidente di Telefono Amico Italia Monica Petra sulla maratona di ascolto dal 24 al 26 dicembre

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Nei giorni in cui le luminarie vestono le città di festa e le case si riempiono di calore umano, una luce nel buio per chi vive, magari in solitudine, un momento di disagio interiore viene dal supporto dei volontari di Telefono Amico Italia, organizzazione di volontariato che aiuta a superare le tensioni emotive e a far ritrovare benessere nelle relazioni personali attraverso l’ascolto empatico. Dalle 10 del 24 dicembre alla mezzanotte del 26 infatti le linee di ascolto saranno attive nella maratona natalizia, che giunge al nono anno consecutivo, con quasi 300 operatori coinvolti. “Lo scorso anno, per il secondo Natale in pandemia, abbiamo ricevuto moltissime richieste d’aiuto, ma anche il 2022 si sta rivelando un anno molto difficile dal punto di vista emotivo – ha detto il presidente dell’organizzazione Monica Petra – sono, infatti, già più di 90mila le richieste d’aiuto che abbiamo ricevuto dall’inizio dell’anno”.

I dati

Nello stesso periodo dello scorso anno oltre 640 persone sono rivolte all’organizzazione di volontariato chiamando il numero unico nazionale o scrivendo sulla chat di WhatsApp Amico, il 26% in più rispetto al Natale precedente, il 2020, e ben il 78% in più rispetto al Natale 2019. Il 59% sono stati uomini tra i 36 e 45 anni (17,5%), tra i 46 e i 55 (29%) e tra il 56 e 65 (27%), che hanno parlato principalmente del bisogno di compagnia (25%) e della solitudine (12%), seguiti da difficoltà esistenziali e nelle relazioni familiari (entrambe all’11%). Le donne (53%), soprattutto quelle molto giovani (il 24% ha tra i 19 e i 25 anni) ha usato invece la chat per segnalare questioni di tipo esistenziale (24%) e depressione (18%).

L’intervista

In occasione della maratona natalizia, Interris.it ha intervistato la presidente di Telefono Amico Italia Monica Petra.

Come nasce questo servizio?

“Il Telefono Amico Italia è nato dalla volontà delle sedi locali di centri di ascolto e di organizzare una rete nazionale unica per offrire accoglienza, assistenza e supporto a chi sta vivendo un momento di difficoltà e sente il bisogno di confrontarsi con qualcuno, di parlare del proprio stato. La maratona natalizia ha la stessa ratio, da qualche tempo ci siamo resi conto che in alcuni periodi dell’anno chi sta vivendo una situazione di disagio, anche temporaneo, è più sensibile o prova un maggior senso di sofferenza. I nostri volontari rinunceranno a qualche ora del loro Natale per cercare di dare supporto a chi sta vivendo un momento di dolore”.

Perché quello delle feste sembra essere un periodo particolarmente “complesso”?

“Nell’immaginario di tutti, le feste sono un tempo nel quale bisognerebbe essere felici. Quando però si sta attraversando un periodo di difficoltà, non è semplice essere felici né risultare diversi rispetto a quanto tutti pensano ci si debba sentire in quei giorni. Siccome ci si sente fuori dalla cerchia di come si ‘dovrebbe essere’, allora ci si sente isolati e questo acuisce il disagio e il bisogno di comunicare allora diventa urgente”.

Quanto è importante l’ascolto?

“I nostri volontari sono formati con corso di sei-nove mesi, in base alle sedi e ai periodi anno, composta da una parte teorico in cui apprendono i principi base dell’associazione e le tecniche di ascolto, una parte pratica e infine un’esperienza seguiti da un tutor. L’ascolto è indispensabile per imparare chi sono realmente gli altri, è un canale per entrare nella vita di qualcun altro. E’ anche uno strumento di costruzione della pace, si dialoga per comprendersi. In più, è anche un lavoro su sé stessi indispensabile per il raggiungimento di un equilibrio e per provare a capire come stare meglio. L’ascolto, a differenza della lettura, non è una competenza che viene allenata ma viene data per scontata, è invece un esercizio che va appreso negli anni e con la volontà. Chi viene ascoltato prova un senso di sollievo nel potersi raccontare ed essere riconosciuto per come si è, essendo autenticamente sé stesso. In un percorso di aiuto come il nostro, l’obiettivo è aiutare le persone a stare meglio e con il dialogo si cerca di fare ordine nei loro pensieri, nelle loro situazioni, per provare a comprendere quali sono i loro strumenti a disposizione e le loro risorse da attivare per poter stare meglio. Il nostro è uno spazio in cui sentirsi pienamente accolti e fare chiarezza, non facciamo percorso di cura né prendiamo in carico le persone ma cerchiamo di stimolarle a vivere le relazioni nella loro vita, nel loro ambito”.

Come avete visto cambiare il disagio, soprattutto in questi ultimi due anni?

“Prima della pandemia i nostri dati erano abbastanza stabili, col passare del tempo di tematiche difficili ne sono passate tante. Il trend, che prescinde dalla pandemie e lo precede, è quello della sofferenza psicologica vera e propria, cioè capire come definire il non star bene, la tristezza, la difficoltà, e quali sono gli strumenti per affrontarla. Negli ultimi due anni, da quando le persone hanno cominciato a misurarsi con l’isolamento, la richiesta di aiuto ha subito una radicale trasformazione: si ha la sensazione di non vivere relazioni significative. Il picco del disagio di questo periodo dell’anno è legato al fatto che i periodi di festa come Natale e capodanno sono associati un po’ a momenti in cui si fanno dei bilanci personali, e la crescita delle difficoltà esistenziali riguarda il senso dello stare al mondo, quali sono i nostri obiettivi, del perché viviamo. Da quanto emerge nelle nostre chat, gli under25 e i minorenni si interrogano sul modo dello stare al mondo, probabilmente perché queste fasce di età hanno vissuto l’isolamento e l’assenza di relazione che li ha portati a inventarsi dei nuovi modi di stare in relazione. Le nuove generazioni sono in grado di chiedere aiuto con maggior naturalezza rispetto alle precedenti, sono consapevoli che non c’è nulla di debole nell’avere momenti di fragilità. Se sanno quindi dell’esistenza di un canale ci si rivolgono, anche perché sono abituati alla comunicazione in differita”.

Quali sono i bisogni dei giovani che si rivolgono a voi?

“In generale i ragazzi parlano di temi legati alla relazione con sé stessi, che in molti casi è problematica – pensiamo ai disturbi del comportamento alimentare o all’autolesionismo -, alla difficoltà sviluppare e gestire le relazioni con persone che fanno parte del loro mondo di riferimento, come anche si interrogano sul senso dell’esistenza”.