Perullo: “Il cibo nutre il corpo e la mente”

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Foto di Samuele Schirò da Pixabay

Per essere sostenibile la gastronomia deve essere buona, pulita e giusta, parafrasando il motto di Slow Food, l’associazione internazionale fondata da Carlo “Carlìn” Petrini per la promozione di una cultura alimentare rispettosa della diversità biologica e delle tradizioni locali. Poiché è frutto della terra e del lavoro dell’uomo, il cibo – inteso come materia prima e prodotto finito – è un insieme di relazioni durature, tra ambiente, cultura ed economia e riguarda tanti aspetti della nostra vita. La sostenibilità è questo sistema di connessioni tra i modelli di produzione e di consumo, come spiega a Interris.it Nicola Perullo, professore ordinario di estetica e prorettore dell’università di Scienze gastronomiche di Pollenzo, intervistato in occasione della Giornata mondiale della gastronomia sostenibile. Un modello che richiede coerenza alle sue componenti ed è caratterizzato dal durare nel tempo, per cui, sottolinea il docente, “la tradizione deve essere una risorsa per il futuro”.

Cura

Il legame tra gastronomia e sostenibilità è ampio perché per essere “buono e giusto” deve riguardare la tutela sia della biodiversità degli ecosistemi che della filiera produttiva, ovvero il ruolo dell’uomo dalla produzione in avanti. “La sostenibilità o è di tutto o non è”, esordisce il professor Perullo, “perché è un sistema che richiede alle sue parti di funzionare coerentemente e il cibo e la gastronomia, sono una di queste parti”. Componente essenziale della vita di ognuno, continua il prorettore dell’ateneo, ciò che mangiamo chiede di essere avvicinato prendendocene cura: “Significa comprendere e rispettare la sua provenienza, il modo in cui fatto e quello in cui viene consumato”. Una comprensione che non dà una risposta univoca, come dimostra Perullo facendo un esempio: “Se compriamo un pomodoro coltivato a biologico che però fa un percorso di trasporto non sostenibile, a quel punto può esserlo di più un altro, non biologico, ma proveniente da una zona di prossimità”.

Portare avanti la vita

Da quando il tema del cambiamento climatico è entrato nel dibattito pubblico e nelle agende delle istituzioni, portando a individuare con l’Agenda 2030 dell’Onu gli obiettivi di sviluppo sostenibile, il termine “sostenibilità” è diventato un mantra ripetuto ovunque che rischia di prestarsi a strumentalizzazioni, come una comunicazione ingannevole. “Sostenibilità vuol dire qualcosa che continua e dura nel tempo, riguarda il portare avanti la vita”, dichiara il professore, andando a indicare una contraddizione. “Oggi si parla di innovazione sostenibile, ma è un concetto contraddittorio: l’innovazione è sostituire una cosa con qualcos’altro, mentre la sostenibilità è riparare, aggiustare, mettere cose a posto”.

Innovazione e tradizione

Come far convivere allora sviluppo e sostenibilità? Come possono cooperare soluzioni basate sulla natura e sapere locale con la ricerca scientifica e il progresso tecnologico? A queste domande non ci sono risposte univoche, riconosce Perullo uscendo dalla polarizzazione tra chi vede nella tecnologia l’unica soluzione e chi la considera un abbandono della località e dei saperi. “L’uomo è un organismo vivente che ha vissuto con a contatto tutti gli altri per centinaia di anni e il cibo avrà sempre bisogno di luoghi dove essere prodotto, come i campi”, afferma, “la tradizione deve essere una risorsa per il futuro, pur progredendo nello sviluppo non dobbiamo abbandonare ciò che sappiamo fare”.

I due eccessi

A ricordarci che la sostenibilità è ancora un obiettivo da raggiungere è l’ultimo rapporto sullo spreco alimentare del Programma Onu per l’ambiente, secondo cui (al 2022) quasi un quinto del cibo prodotto viene sprecato e un terzo della popolazione mondiale soffre di insicurezza alimentare, con quasi 800 milioni di persone che soffrono la fame. “Oggi per essere sostenibile occorre innovare sia le pratiche di produzione che di consumo del cibo, perché quelli attuali sono alla base dello spreco alimentare” – argomenta il prorettore – “si produce troppo cibo a troppo poco prezzo e chiedere alle persone di non sprecarlo quando è quasi infinito e a basso costo è più difficile che farlo quando quel bene è meno diffuso e ha un prezzo maggiore”. “Lo stile di consumo è indotto dal modo di produrre”, rimarca, “tutto parte dalla produzione che deve essere legata all’attenzione verso terra, l’ambiente, l’inquinamento e la salute in aggiunta, a stili di vita coerenti”.

Educazione alimentare e accessibilità

Un’attenzione che va costruita sui banchi di scuola. “Occorre educare a un modo nuovo di pensare e di vivere il cibo”, aggiunge Perullo. “L’educazione non è solo informazione ma conoscenza. Vuol dire essere consapevoli della storia, della cultura, dell’antropologia di quei prodotti che hanno a che fare con tanti aspetti della nostra vita”, spiega, dicendo che l’ateneo sta lanciando un appello per convincere le istituzioni a inserire l’educazione alimentare nelle scuole elementari, trattando anche la parte culturale, umanistica, economica e politica legata al cibo. All’interno di questo discorso c’è pure quello della giustizia sociale e dell’accessibilità, perché spesso l’accusa rivolta a questa visione della gastronomia è che il cibo buono sia troppo costoso. “La questione attuale è che il cibo di massa super-economico è slegato dalla storia e a volte anche dalla salubrità, mentre il cibo buono anche troppo connesso all’idea di élite, di esclusività, perché ancora non c’è abbastanza domanda. Bisognerebbe lavorare a un’accessibilità che parta sempre dalla consapevolezza frutto dell’educazione”, conclude il prorettore, “perché il cibo non è riempire la pancia, è nutrimento per il corpo e la mente”.

Lorenzo Cipolla: