Perché difendere il lavoro aiuta i più deboli

Mezzo secolo di statuto dei lavoratori e la necessità di aggiornare le regole. Intervista di Interris.it a Tania Scacchetti, segretaria confederale della Cgil, con delega al mercato del lavoro

“Non solo il lavoro ha perso centralità nel dibattito pubblico. Ma di fatto la sua funzione è stata considerata subordinata rispetto al mercato, all’impresa, all’economia”, afferma Tania Scacchetti.

Il valore sociale del lavoro

Su mezzo secolo di statuto dei lavoratori e necessità di aggiornare le regole, Interris.it ha intervistato la segretaria confederale della Cgil, con delega al mercato del lavoro.A 50 anni dallo statuto dei lavoratori, la tutela del lavoro è ancora una priorità sociale o nel tempo è calata l’attenzione sul tema?

“La perdita della centralità del lavoro e la sua tutela, come guida e faro delle scelte politiche, sociali ed economiche, è senza ombra di dubbio uno dei lasciti più pericolosi e negativi delle politiche neoliberiste.  Questo ha avuto due effetti in termini generali. La diminuzione del peso delle rivendicazioni. E il prevalere della logica ‘lavoro basta che sia’”.

Cosa determina questo modo di affrontare la questione?

“Pregiudica la qualità e il ruolo emancipatorio del lavoro. Anche nella costruzione e valorizzazione della personalità di ciascun lavoratore”.Perché?

“Veniamo da anni di deregolamentazione delle norme lavoristiche. Una deregolamentazione supportata da un falso presupposto. E cioè che occorre sottrarre tutele a qualcuno perché potessero averle i soggetti esclusi. E che la maggiore flessibilità, degenerata in precarietà, fosse l’unica leva della competizione. E ciò, insieme alla riduzione dei costi, nel mondo globalizzato”.Con quali conseguenze?”

Oggi questo quadro generale ci consegna un mondo del lavoro più precarizzazione e frammentato. In cui anche la distanza dall’obiettivo della piena occupazione contribuisce a incrementare la ricattabilità e l’assenza di tutele adeguate. Ciò impoverisce i lavoratori e le lavoratrici. Ma è anche causa della debolezza del Paese. Della difficoltà dell’Italia a scegliere la via alta dello sviluppo che può fondarsi solo sul diritto al lavoro, a un lavoro di qualità”.Sono state raccolte le firme per adeguarlo alla realtà odierna. In che modo?

“Per contrastare la logica della disintermediazione, la Cgil ha presentato una proposta di legge di iniziativa popolare: la Carta dei diritti universali del lavoro. Non un mero aggiornamento dello Statuto. O una richiesta di ripristinare quei punti attaccati, negli anni recenti, dalla legislazione. Norme sui licenziamenti, le mansioni, il controllo a distanza. Ma una rivisitazione di tutto quel sistema di tutele. Diritti universali riconosciuti a prescindere dalla natura giuridica del rapporto di lavoro e dalla tipologia di impresa”.In vista di cosa?

“Riscrivere il sistema normativo. Rafforzando tutele e diritti e contrastando le forme di lavoro più precarie. E allargare la partecipazione democratica dei lavoratori alle scelte del Paese.Quanto incide  la predicazione sociale di Papa Francesco?

“Molto. In questi ultimi anni si è tornato a parlare di lavoro grazie alle battaglie condotte da più soggetti, tra cui credo sia giusto citare il Papa. Anche nella politica è stato riproposto il tema di come contrastare diversi fenomeni. Come il lavoro povero e il part time involontario. E far valere nuovi diritti nel lavoro che cambia”.Quali sono i settori che necessitano oggi di maggiore tutela?

“Penso non sia utile fare un elenco, si rischierebbe di favorire la logica della divisione tra chi ‘sta bene’. Financo a considerarli dei privilegiati, da quelli che stanno peggio. L’impoverimento delle tutele colpisce tutti. Più intere categorie sono escluse dai sistemi di tutela e protezione, più il lavoro subisce un impoverimento”.Può farci un esempio?

“È indubbio che è cresciuta per varie ragioni la platea degli esclusi. Esclusi da tutele minime. Dall’applicazione dei contratti di lavoro. Si tratta di lavoratori poveri. Ossia quelle persone per le quali il lavoro non è condizione sufficiente per farle uscire da una condizione di povertà economica o sociale”.

Operaie al lavoro in fabbrica

A chi si riferisce? 

“Citerei in primis le giovani generazioni. Spesso composte sia da giovani formati e istruiti che per trovare un futuro migrano verso l’estero. Sia da giovani che, per inseguire un posto di lavoro più o meno stabile, restano intrappolati nel labirinto dei tirocini e stage”.Poi? 

“Altra categoria le donne che, ancora nel nuovo millennio, devono spesso scegliere fra lavoro e famiglia. Costrette a dimettersi alla nascita dei figli per impossibilità alla conciliazione. O costrette nella trappola dei part involontari, della assenza di prospettiva di carriera, dei divari retributivi”.Quali altre fasce di lavoratori non sono adeguatamente tutelate?

“Le nuove forme di lavoro. Il lavoro di giovani professionisti monocommittenza. Le partite Iva e le collaborazioni. I lavoratori della Gig economy. Tra i quali la difficoltà di determinare con chiarezza il confine tra autonomia e subordinazione spesso è l’alibi dello sfruttamento e dell’azzeramento delle tutele”.E i migranti?

“Legare la possibilità di permanenza nel Paese all’avere un regolare contratto di lavoro espone questi lavoratori a ricatti e soprusi. Difficilmente superabili e contrastabili. Certo queste sono caratteristiche non settoriali, ma di qualità del rapporto di lavoro. Sono più facilmente verificabili in alcuni settori”.Quali settori?

“Quelli con imprese più frammentate e meno capitalizzate. Quelle di minore dimensione. Dove è più complesso l’esercizio collettivo della rivendicazione sindacale e contrattuale. Anche settori a basso valore aggiunto o con alti tassi di evasione ed elusione sono esposti a una concorrenza al ribasso. Tutta giocata sulla riduzione dei diritti e non sulla valorizzazione delle professionalità”.Storicamente l’Italia è un Paese che difende i lavoratori?

“Non è questa una domanda che ha una risposta univoca o semplicistica. L’Italia ha innanzitutto fatto una scelta originale e coraggiosa al momento della scrittura della Costituzione. Sostenere che la Repubblica sia fondata sul lavoro e imprimere la centralità dello stesso nei diritti a fondamento del Patto di cittadinanza è stata una scelta di campo significativa. Allo stesso tempo è indubbio che negli anni, anche a seguito dei forti movimenti operai e civili il nostro Paese, ha costituito un sistema normativo”.Quanto conta lo statuto dei lavoratori?

“Dell’attuale sistema normativo lo Statuto resta il fulcro centrale. Fortemente orientato tanto alla valorizzazione della tutela dei lavoratori quanto al ruolo partecipativo e democratico dell’azione contrattuale. La sfida, oggi, è quella non solo di difendere i lavoratori che restano il soggetto più debole nel confronto con il datore di lavoro. Ma soprattutto quella di promuovere il lavoro come fattore di emancipazione e protagonista nella costruzione della società”.Precarietà e globalizzazione hanno creato molta “cattiva occupazione”?

“Le trasformazioni nel lavoro sono state moltissime e anche molto veloci. Precarietà, globalizzazione. Ma anche frammentazione dei processi produttivi attraverso esternalizzazioni e appalti. E cambiamenti indotti dallo sviluppo tecnologico, redistribuzione ineguale della ricchezza prodotta. Tutto ciò ha reso più complicato governare i cambiamenti e ha reso più debole il lavoro”.Come è potuto accadere?

“Ci sono responsabilità precise se questo ha significato aumento della cattiva occupazione. Perché si è scelto di accompagnare questi processi con un preciso modello di sviluppo. Fondato sulla competizione dei costi e sull’impoverimento e la riduzione delle tutele. Sperando che il mercato in qualche modo si autoregolasse definendo nuovi equilibri e nuove regole”. Cosa è ragionevole attendersi per il futuro?

“La centralità della condizione e della qualità del lavoro devono essere alla base di un nuovo modello di sviluppo. Orientato al lavoro sostenibile. Sostenuto da un nuovo protagonismo dello Stato. E da una redistribuzione differente delle risorse”.