Oltre la droga, si riscopre la vita (AUDIO)

L’esperienza della “Comunità in dialogo” di Padre Matteo Tagliaferri, dove i ragazzi affrontano la loro dipendenza stando insieme

C’è chi vede con occhi diversi questa emergenza: quelle persone che già vivono la propria vita come un dramma da cui esala un necessario sentimento di riscatto. Sono i ragazzi, più o meno giovani, che Padre Matteo Tagliaferri descrive ad Interris.it. Uomini e donne che sono caduti nel baratro delle dipendenze da sostanze psicotrope e che nello stare insieme hanno scoperto un’occasione irrinunciabile di rinascita.

La “Comunità in dialogo”

Padre Matteo Tagliaferri è il fondatore della “Comunità in dialogo” a Fiuggi dove ospita circa ottanta tra tossicodipendenti e ragazze con difficoltà che sono diventate madri. In questi giorni di emergenza per il diffondersi del Coronavirus molte cose sono dovute cambiare ma lo spirito di lottare è rimasto tetragono come sempre. “Abbiamo ospitato nell’ultimo periodo quattro ragazzi con dipendenza che vengono dal carcere –racconta Padre Matteo– li ho messi in quarantena e da poco sono usciti. Ora hanno iniziato il loro programma che prevede lo stare insieme come metodo di sostegno per dimenticare l’incubo delle droghe. In verità, all’inizio, manteniamo le cure perché questi ragazzi sono destabilizzati sia mentalmente sia a livello comportamentale”. In effetti, in maggioranza sono stati seguiti dagli operatori delle Asl e da team di psicologi e psichiatri. Ma la realtà profonda che si cela dietro questa discrasia di atteggiamenti e paure è diversa come spiega Padre Matteo: “Dietro le droghe ci sono problematiche gravi che non sono state affrontate, ci sono storie personali che vanno analizzate e rispettate”.

L’inizio dell’esperienza di Padre Andrea

Padre Matteo Tagliaferri parla con un tono di voce lento di chi ne ha viste tante di queste situazioni. Ma l’emozione nel descrivere questi uomini e donne c’è sempre. Ricorda con una certa allegria la sua prima esperienza di sostegno ad un ragazzo tossicodipendente:  “Circa 30 anni fa quando ero in una piccola parrocchia, un padre disperato mi ha lasciato in macchina suo figlio tossicodipendente sul quale pendeva un procedimento penale. Ma il giudice non voleva mandarlo in galera perché il giovane aveva da poco subito la perdita della cara madre. Così ho accolto la richiesta del padre e l’ho aiutato”. E’ da questo piccolo aneddoto di solidarietà che è incominciata la storia di Padre Matteo. “Subito si sono aggiunti altri due ragazzi, uno dello Spallanzani e l’altro del Gemelli. Erano entrambi siero positivi, le loro condizioni non erano delle migliori”. Così oggi, Padre Matteo affronta questa emergenza Coronavirus con tranquillità anche se “certo, abbiamo dovuto evitare le visite ai familiari, ma abbiamo comunque permesso di svolgere due telefonate a settimana -continua il sacerdote- i ragazzi sono molto impegnati. La comunità prevede un ‘processo educativo’ come mi piace definirlo, che non si arresta con l’emergenza”. Anzi quel che emerge è che il bisogno maggiore non è quello di capire il male della droga ma comprendere la positività della forza di saper rispondere alle proprie paure e problematicità irrisolte. Questo atteggiamento è servito ai ragazzi per affrontare anche l’epidemia.

La profondità dei ragazzi

Il percorso prevede anche la redazione di alcuni scritti settimanali dove ognuno analizza se stesso o gli altri. Brevi analisi che poi vengono lette. In questi giorni, i ragazzi propongono delle riflessioni molto più profonde rispetto a prima. Hanno compreso l’importanza della consapevolezza della propria persona. Alcuni fanno notare come sia questa cultura e questa mentalità consumistiche e mai disinteressate ad essere alcune delle cause della loro dipendenza”.

L’incontro di solidarietà dopo venti anni

Padre Matteo ha visto passare nella sua comunità migliaia di giovani. Due sono tornati a dare il loro aiuto proprio durante la quarantena, dopo venti anni. “Nel mentre si sono fatti una vita, hanno dei figli “ racconta il sacerdote tradendo una certa emozione. E’ chiaro che la fragilità e la debolezza che la dipendenza ha fatto sperimentare loro, si è tramutata in volontà di vivere con entusiasmo e gioia. Ma attenzione, non solo le categorie più deboli sono esposte a questo rischio di dipendenza. Il sacerdote ricorda come “anni fa è venuto a chiedere sostegno anche uno stimato professionista, di una famiglia molto benestante, che aveva perso ogni tipo di relazione e di felicità. Gli ho detto di andare in una comunità ancora in fase di preparazione. A mala pena c’era la luce (risata). Dopo solo qualche giorno gli è tornato il sorriso sulle labbra”.

Cose centrali e cose importanti

E perché? Il motivo è che ci sono “cose centrali e cose importanti nella vita”. Spesso si tende a dare più attenzioni a quest’ultime rispetto che alle prime. Siamo immersi in una cultura che porta a distrarci da noi stessi e in molti ci barcameniamo tra un impegno e l’altro per rimanere lontani da uno specchio che ci metterebbe a tu per tu con la nostra vera persona. Ma l’insegnamento viene da questi ragazzi, che continuano a lottare con se stessi anche durante l’isolamento. Il titolo del primo incontro della comunità di Padre Matteo era “Droga, una risposta sbagliata a una vita che cerca un senso ma non lo trova”. Però alla fine, gli ospiti della comunità un significato lo hanno trovato in un gesto disinteressato, nella solidarietà, insomma nelle cose centrali. E forse, pensando ad un racconto di Edgard Allan Poe “Il sistema del dottor Catrame e del Professor Piuma”, siamo noi che dobbiamo imparare la voglia di riscoprirsi dai ragazzi di Padre Matteo. Oltre la droga, la vita.