La nuova ospitalità nel segno di Sant’Agostino

L'intervista di Interris.it a Cristina Marciatti, operatrice della Caritas di Pavia in merito al progetto di housing sociale Sant'Agostino

Housing sociale Sant'Agostino (© Diocesi di Pavia)

Il disagio abitativo e l’emergenza sociale da esso scaturita sono una questione seria e le ultime statistiche riportano che – in Italia – la stessa riguarda 1 milione e 475mila nuclei familiari, oltre il 5% del totale. L’abitare deve essere considerato un diritto umano in quanto ogni individuo dovrebbe essere in grado di vivere in sicurezza, pace e dignità. Tale è il fondamento dell’azione in tale ambito delle Caritas diocesane che, al fine di lenire gli effetti più gravi di questa emergenza.

L’esperienza di Pavia

Ciò rappresenta il punto di partenza del progetto di housing sociale che ha visto cambiare la destinazione d’uso di ciò che è stato il Collegio Sant’Agostino di Pavia. L’opera è stata fortemente voluta dal vescovo di Pavia, monsignor Corrado Sanguineti e conta 18 posti letto ai quali si aggiungono alcune aree adibite a cucina, disimpegno e momenti di comunità destinate ad accogliere persone in condizione di fragilità abitativa. Interris.it, in merito a questa esperienza di inclusione e sostegno, ha intervistato Cristina Marciatti, operatrice della Caritas diocesana di Pavia da sei anni, nella quale si occupa della grave emarginazione e delle strutture di accoglienza della stessa.

volontari

L’intervista

Come nasce e che obiettivi si pone il progetto di housing sociale Sant’Agostino?

“La struttura è nata grazie alla donazione di una cittadina che ha permesso di ristrutturare il vecchio collegio. L’intento era quello di rispondere ad uno dei bisogni che venivano riscontrati nella nostra città, ossia il poter avere un luogo dove poter accogliere le persone in maniera temporanea, aiutandole attraverso un supporto di tipo educativo, a raggiungere in un tempo stabilito le loro autonomie, al fine di poter in seguito accedere al libero mercato”.

Quali sono i pilastri del percorso di reinserimento sociale che ponete in essere per le persone con fragilità?

“Noi partiamo da una valutazione in ingresso. Diciamo sempre che, la cosa più importante, non soltanto che ci siano i requisiti per entrare, ma quelli per uscire dall’housing nel tempo che abbiamo stabilito. Questo per dire che ci sono delle persone che hanno delle difficoltà importanti, le quali devono essere trattate in altri contesti, come ad esempio la comunità; pertanto, non può essere questa la soluzione. Accogliamo persone che hanno già delle autonomie e devono soltanto essere potenziate nel tempo che passiamo insieme. Quando parlo di autonomie intendo un reddito da lavoro, che deve già esserci, o di un reddito da pensione. Comunque, qualunque forma di reddito che possa sostenerli, ad esempio non accettiamo persone che hanno il reddito di cittadinanza perché, negli anni, ciò ci ha dimostrato che, questa non è una forma che spinge le persone ad essere autonome, ma piuttosto a cullarsi del fatto di avere quella cifra”.

Quali sono i vostri auspici per il futuro? In che modo chi lo desidera può aiutare la vostra azione?

“Nel futuro speriamo di poter continuare in questa direzione. Di anno in anno, rielaboriamo sempre i dati raccolti per capire come individuare meglio il target che possa essere quello stabilito all’interno della struttura affinché, tutte le persone che ci vivono possano non avere problemi di convivenza tra di loro e raggiungere nel miglior modo possibile gli obiettivi stabiliti. Le persone che lo vogliono ci possono aiutare attraverso attività di volontariato perché, la prima cosa di cui necessitano coloro che accogliamo, è il sentirsi accolti e inseriti all’interno della città in cui stanno vivendo. Quindi anche con attività che consentano di sentirsi uniti all’interno della città. Ovviamente poi, la struttura, richiede un costo importante; pertanto, ci si può sostenere anche con delle donazioni”.