La nuova concezione della persona che realizza l’inclusione

L'intervista di Interris.it al dottor Alessandro Mele, ceo di Cometa, sulle opere di inclusione realizzate dalla fondazione

L’inclusione scolastica, lavorativa e sociale delle persone con disabilità assume una grande importanza perché è il metro che permette di attuare veramente quella che sovente viene chiamata vita indipendente ed il relativo Progetto di Vita che, in Italia, è legge dal 2000. Oltre a questo, l’inclusione, in ogni sua sfaccettatura, rappresenta in pieno raggiungimento della dignità della persona.

L’esperienza di Fondazione Cometa

La fondazione Cometa nasce nel 2001 per dare continuità all’esperienza cominciata nel 1986 da due famiglie, Innocente e Marina, Erasmo e Serena, aprono il cuore e la casa a un bambino in difficoltà: ha inizio così la prima esperienza di accoglienza. Da incontro a incontro, di bambino in bambino, nel tempo si sviluppa una rete di accoglienza di famiglie ed amici che si costituiscono poi nel 2000 in Associazione Cometa. Nello stesso luogo si affianca la proposta educativa diurna: ogni giorno, dopo la scuola, un centinaio di bambini e ragazzi trovano in Cometa un’equipe di educatori ed insegnanti. L’aiuto allo studio, le attività ricreative e sportive diventano un’occasione per vivere insieme. Ad oggi si sono aggiunte a queste proposte anche le numerose attività di inclusione lavorativa che hanno visto sorgere in provincia di Como numerose realtà lavorative aventi spiccata valenza sociale. Interris.it, ha intervistato in merito a questa esperienza, il dottor Alessandro Mele, direttore generale di Cometa.

Il direttore generale di Cometa Alessandro Mele (© Vita)

L’intervista

Come nasce e che obiettivi si pone la Fondazione Cometa?

“Nasce direi per caso, nessuno aveva un progetto, dalla gratitudine per la conversione di due fratelli che, tra i 35 e i 40 anni, avevano ritrovato la fede. È stato un gesto di gratuità, l’accoglienza di un bambino sieropositivo e, da questa prima esperienza, con un sì dietro l’altro, da incontro a incontro, in modo imprevisto e imprevedibile, è venuta fuori una cittadella che dall’accoglienza è cresciuta, insieme ai suoi bambini e ragazzi, entrando nel mondo dell’educazione e dell’inserimento lavorativo, soprattutto dei soggetti più fragili e svantaggiati. Oggi abbiamo 1300 ragazzi che seguiamo nelle attività quotidiane, diversificate in questi tre ambiti: l’accoglienza, l’educazione e il lavoro”.

Quali sono le azioni e le esperienze che ponete in essere per incentivare l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità e fragilità?

“Il primo elemento differenziale è proprio la concezione della persona. Noi diciamo a tutti i nostri ragazzi che ognuno è unico e irripetibile perché è fatto a immagine e somiglianza di Dio. Questa unicità, il cuore dell’uomo che diventa sé stesso, è la grande opportunità che abbiamo per concepirci insieme e uguali. La crescita, quindi l’inclusione è un riconoscimento, non uno sforzo, è l’essere insieme sulla stessa strada. Per cui – i ragazzi – abili o con disabilità, più o meno fortunati nei loro percorsi, possono diventare sé stessi, dare il meglio di sé e noi siamo insieme per tale motivo. Questa è l’origine dell’inclusione, una concezione che poi diventa anche operativamente una scuola fortemente inclusiva, delle famiglie che lo sono altrettanto nell’accoglienza dei minori in difficoltà, un centro diurno colorato da tutte le nazionalità che risiedono sul territorio e fortemente inclusivo proprio perché pensato per ciascuna persona con le rispettive caratteristiche e potenzialità. Così siamo cresciuti nell’inserimento lavorativo perché, dopo la scuola, i ragazzi che avevano delle fragilità maggiori, facevano fatica a trovare un lavoro e per questo abbiamo creato noi dei luoghi di lavoro per loro, anche a scopo esemplificativo, cioè per aiutare tutti, anche le imprese sempre molto preoccupate per la performance del risultato, a far vedere che ci possono essere modalità anche nel mondo del lavoro le quali, partendo dall’inclusione, diventano più abitabili, umane, gradevoli, piacevoli anche per le altre persone. Cominciano a percepire non solo il lavoro come una cosa da fare o una performance da raggiungere, ma una modalità per costruire, esprimere sé stessi e partecipare alla formazione del bene comune. Quindi l’inclusione come una leva per creare un clima e una cultura al livello dell’azienda diversa e più efficace. Così abbiamo aperto diverse attività, una falegnameria che fa prodotti di eccellenza, un bar “Infopoint bistrot” a Cernobbio dove lavorano sette ragazzi con disabilità, un negozio in centro a Como che vende tutti i prodotti di un famoso brand nel quale lavorano otto persone con disabilità e infine abbiamo aperto, proprio la settimana scorsa a Como, un punto vendita, panetteria e pasticceria gestito con persone con disabilità e richiedenti asilo con delle storie importanti, i quali ci stupiscono per la loro resilienza e capacità di crescere, imparare e appassionarsi nel lavoro”.

Quali sono i vostri auspici per il futuro? In che modo chi lo desidera può aiutare la vostra azione di inclusione?

“Gli auspici per il futuro sono innanzitutto di mantenere il cuore di questa esperienza, rimanere attaccati all’origine e il desiderio di aiutare ciascuno a diventare sé stesso. Dentro questo avere una sostenibilità che ci permetta di mantenere coinvolti tutti i ragazzi che abbiamo incontrato e magari anche di accoglierne di nuovi. La cosa più semplice e immediata per aiutarci è dare un contributo per queste attività che, avendo una valenza sociale, vivono grazie ai contributi e alla generosità di tante persone. Una borsa lavoro o un pranzo per i ragazzi del centro diurno, le modalità per aiutarci sono diverse e sono tante, riportate sul nostro sito. Oppure si possono creare altre opportunità, ad esempio qualcuno ci ha dato una mano per vendere i nostri prodotti, farli conoscere o dare delle opportunità di formazione per i ragazzi. Accogliamo le proposte dei nostri benefattori cercando di valorizzarle e metterle a frutto”.