Noi, insegnanti nell’era del Coronavirus

La professoressa Fermina Tardiola racconta a Interris la didattica virtuale e la voglia di tornare tra i banchi

Che effetti avrà il Coronavirus? La risposta è molto complicata e di non facile previsione. Una cosa è certa, l’emergenza sanitaria sta obbligando molti settori a rinnovarsi o, comunque, a tentare approcci diversi. Come, per esempio, le lezioni che gli insegnanti svolgono quotidianamente tramite videochiamate con i proprio allievi. L’augurio è quello di tornare presto ad avere le vecchie e care lezioni che permettono di intessere relazioni sociali indispensabili per i ragazzi. Ma è interessante sapere come hanno reagito a questa nuova prova i professori e gli alunni. Perciò, Interris vuole riportare il racconto di Fermina Tardiola, professoressa di lettere, storia e latino presso il Liceo Linguistico James Joyce di Ariccia, vicino Roma.

“Prof, posso andare al bagno?”, scrive una studentessa di primo anno mentre facciamo grammatica durante una videolezione su Meet. Nella chat le rispondo di no, scherzosamente. Succede anche questo in tempi di didattica a distanza (da ora in poi, DAD, come già familiarmente la chiamiamo, in una scuola sempre feconda produttrice di acronimi). C’è, in quel nomignolo paterno, un sapore di familiarità, che è in fondo ciò che si vuole preservare, seppure “da remoto”. Familiarità nella comunità della classe e della scuola, familiarità con la lettura e la scrittura, familiarità con le discipline. Dopo le vacanze si sa come gli studenti e le studentesse tornano in classe, quella reale: banchi verdi, luce da sinistra, cattedra, lavagna. Spaesati ma contenti, gioiosamente non scolastici. Ecco, non torneremo così dopo questa lunga incognita quarantena.

Cosa succede, ora, nelle scuole italiane?

La scuola, scrive il mio collega Palma, per anni docente in un liceo al centro dell’Urbe, ora felicemente suburbano, è il “laboratorio del possibile”. I Dirigenti scolastici e i docenti si sono messi subito al lavoro: inventando una didattica a distanza veramente dal nulla, nelle scuole poco avvezze al digitale, ma anche nelle scuole già pronte, come quella in cui io insegno da 4 anni, il Joyce, ad Ariccia, Castelli. Aria buona, comunità coesa, gran voglia di fare. Ma fare cosa, esattamente? I nodi sono tanti. Il Ministero ha dato prime indicazioni attraverso una serie di note, l’ultima delle quali, del 17 marzo, cerca di fare un po’ di ordine in questo nuovo e poco conosciuto “ambiente di apprendimento”. Ma rimangono alcuni nodi essenziali, che la circolare non scioglie e che le scuole affrontano in ordine sparso, seppure all’interno di un quadro normativo condiviso che non norma però la Didattica a distanza. Come e cosa valutare? Abbiamo capito che a distanza non si danno troppi compiti (“carico cognitivo” è carino ma non rende)? Vi è chiaro che dovete essere inclusivi anche così? Il Ministro dell’Istruzione sta facendo molto, non c’è dubbio: c’è una sezione dedicata sul sito. L’emergenza coinvolge tutta l’amministrazione e non si può pretendere un decreto ad hoc subito; ci vuole tempo. Ma è necessario. Perché la scuola non è solo comunità, voglia di fare, relazione; è anche contenzioso, amministrazione, norme. “Prof, dobbiamo connetterci. C’è?”. Premono i rappresentanti di classe quando arriva l’ora dell’appuntamento su Meet, mostrando non solo diligenza e puntualità ma una autentica voglia di fare. I ragazzi e le ragazze hanno bisogno di mantenere questo legame, essenziale e quotidiano nelle loro vite, costruito ogni giorno in classe: gli adulti non insegnano da tempo autodisciplina, gestione del tempo, coltivazione dell’inutile. Questo tempo libero e liberato allora, al netto della tragedia che stiamo vivendo, può servire a una generazione finora dipinta come demotivata o sdraiata, per lo più da chi poco interagisce con loro, a scoprire quella che Taleb, l’autore di Il cigno nero, chiama l’antifragilità: non la resilienza -parola abusata e oggi francamente irricevibile- a buon mercato, ma la capacità di orientarsi in mondo imprevedibile e dominato dal caos. In cui la scuola, nel suo piccolo, con le sue circolari, note, videolezioni e sforzi a volte incredibili, tenta di portare un po’ di cosmos.