NewHope: per dire “No alla tratta” #Traffichiamolasperanza

L'intervista di Interris.it a Mirella, responsabile della sartoria etnica che oltre al lavoro dà vita a nuove speranze

“Lavoro, non beneficenza; solidarietà non assistenza caritatevole. Il lavoro è l’unico strumento per recuperare pienamente la dignità e la speranza che troppo spesso le donne migranti perdono nei loro difficili cammini”. E’ la frase che accoglie i visitatatori che entrano sul sito della cooperativa sociale NewHope: una sartoria etnica, nata nel 2004 da Casa Rut, fondata a sua volta nel 1995 da tre suore Orsoline del Sacro Cuore di Maria, a Caserta.

Una testimonianza visibile

NewHope nasce dal bisogno di superare le troppe forme assistenziali che si sono sviluppate intorno al fenomeno migratorio, in alcuni casi indispensabili ma che non restituiscono piena dignità a chi ha vissuto sulla sua pelle una terribile forma di schiavitù come è la tratta di essei umani. NewHope divenata così una possibilità concreta di riscatto basata su un’economia solidale. Una testimonianza visibile nata e cresciuta nel cuore della città di Caserta.

Il racconto di Mirella

E’ Mirella, resposnabile della sartoria, intervistata da Interris.it, a raccontare la storia della cooperativa. “Ci siamo accorti che per far rinascere una vita non basta l’accoglienza, dare da mangiare o aiutare a sbrigare le pratiche per i documenti. C’era un anello mancante che è stato individuato nel lavoro, nella formazione – spiega -. Ci sono state ordinate delle borse per un convegno che aveva come tema centrale l’immigrazione. In un primo tempo ci siamo spaventate, non avevamo gli strumenti e le competenze adatti. Ma ci siamo messe in gioco. Quando le abbiamo consegnate è stata una grande soddisfazione. Ora abbiamo una vasta scelta di prodotti che va dalle borse, agli accessori per la cucina, ad alcuni capi di vestiario”. “Nella vita basta veramente poco per aiutare a rinascere una persona – racconta Mirella -. Grazia a questa cooperativa e a coloro che hanno creduto nel nostro progetto, abbiamo visto tanti volti rifiorire, tanti bambini venire al mondo, magari in un’altra situazione le mamme avrebber potuto scegliere di non farli nascere. Dopo un paio di mesi, i volti che erano cupi, sbocciano e abbracciano la vita”.

Tessitrici di nuove speranze

Le speranze sono molte, ma non solo per le donne immigrate, ma per tutte. Ancora oggi, siamo molto sottovalutate nel mondo del lavoro. Tessitrici di nuove speranze perché vogliamo essere speranza per tante altre donne – spiega -. Tessere le vite vuol dire realizzare qualcosa di bello insieme, come per realizzare un capo, non basta un solo filo“. Oltre a una speranza, la sartoria etnica offre una formazione professionale e un’educazione alla responsabilità e all’etica del lavoro; crea opportunità di lavoro nella legalità e nella giustizia per giovani che altrimenti sarebbero escluse dalle attuali logiche del mercato; sperimenta una nuova forma di economia, quella dell’inclusione e non dell’esclusione, della valorizzazione della persona e non del profitto fine a se stesso. Inoltre è un segno del territorio che invita a crescere insieme nei valori della solidarietà, del rispetto della dignità sia della persona sia dell’ambiente. Oltre alle ragazze di Casa Rut, nella cooperativa vengono inserite per dei tirocini, anche giovani segnalate da altre associazioni presenti sul territorio. “Noi, oltre al lavoro di sartoria, ci teniamo a insegnare il rispetto delle regole e dell’orario di lavoro, della lingua italiana, ma anche come vestirsi correttamente per andare a lavoro – spiega Mirella -. Tutti dobbiamo comprendere che siamo nel territorio italiano e per rispetto al Paese che ci accoglie, dobbiamo anche imparare le regole che ci sono, ma anche le tradizioni”.

Una piccola realtà che fa volontariato

Dal racconto appassionato di Mirella, emerge che tutto ciò che la cooperativa guadagna – oltre ad essere utilizzato per i pagamenti degli stipendi e dei costi dell’attività – viene impiegato per sostenere altre attività collegate alla cooperativa. “Se tu acquisti da noi un cestino, non compri solo un prodotto, ma porti a casa anche tutta la storia di chi lo ha cucito – spiega -. Andiamo nelle chiese dopo le messe, ai convegni per raccontare quello che facciamo, chi siamo”.

Una piccola cooperativa dal cuore grande

Mirella racconta che NewHope ha un cuore grande: al momento sostiene 7 contratti a tempo indeterminato, tra cui ci sono due ragazze con disabilità. “Si tratta di un lavoro che punta all’inclusione, non solo per donne immigrate, ma anche con un occhio alle necessità del territorio”.

Trafficanti di speranza

La cooperativa, inoltre, porta avanti il progetto #Traffichiamosperanza: pacchi con prodotti di NewHope e altre realtà cooperative del territorio per dire “No alla tratta”. Una box dal nome intrigante e forse anche un po’ provocatorio che vuole toccare le coscienze delle persone e sostenere la lotta a quello che è un crimine contro l’umanità. Per aiutare la NewHop nel suo scopo puoi visitare il sito coop-newhope.it.

Restituire dignità dando lavoro

Una testimonianza concreta dell’importanza del lavoro per ridare dignità e speranza a una persona. Elemento essenziale nella vita di ogni uomo e donna, come ha voluto con forza ribadire Papa Francesco nell’udienza generale del 12 dicembre. Il lavoro “è una componente essenziale nella vita umana, lavorare non solo serve per procurarsi il giusto sostentamento. Putroppo però, il lavoro è spesso ostaggio dell’ingiustizia sociale e , più che essere un mezzo di umanizzazione, diventa una periferia esistenziale – ha detto il Pontefice -. Quello che ti dà la dignità non è portare il pane a casa, ma guadagnare il pane. E se non dai questa possibilità questa è un’ingiustizia sociale. I governatori – ha ribadito – devono dare a tutti la possibilità di guadagnare il pane perché questo dà dignità”.