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Neofobia: la paura di perdere la zona comfort

La neofobia indica la paura universale per le novità, irrompenti nella routine quotidiana, che ha, come conseguenza, una chiusura mentale, fisica e sociale della persona. Nonostante il mondo sia iperveloce e fagociti esperienze su esperienze, l’essere umano non sempre sembra pronto a nuove situazioni. Se neofobia esprime un concetto di paura, il termine misoneismo, spesso usato come sinonimo, in realtà si caratterizza per l’odio (dal greco “mîsos”) verso il nuovo (“néos”).

Nel corso della vita, l’individuo attraversa condizioni e stati d’animo diversi con i quali si rapporta al futuro. I bambini sperimentano il mondo come una novità continua e, nella scuola, iniziano a bilanciare le esperienze positive e negative. Gli adulti sono alle prese con le numerose sfide e ansie che derivano dal lavoro, dal sociale e dalla genitorialità. Gli anziani tendono a privilegiare le abitudini consolidate da una vita e hanno riserve per un futuro che non considerano più così vasto ed esplorabile.

Nei bambini, questo timore assume una forma particolarmente legata all’alimentazione, nello sperimentare nuovi cibi. In tal caso, come si legge al link https://ilfattoalimentare.it/mense-scolastiche-bambini-allergie-neofobie.html, “I dati nazionali parlano di circa il 30% dei bambini affetti da neofobia nella fascia di età tra 1 e 5 anni”. Tale aspetto della neofobia è poco conosciuto e trattato. La problematica oscilla tra un grado minimale di avversione, fisiologico nella prima infanzia, a uno di tipo serio e duraturo, con il rischio di compromettere una sana nutrizione e di ridurre i rapporti conviviali/sociali.

Nei ragazzi, la fobia si pone come ostacolo nella fase “ponte” tra scuola e lavoro. Può generare scoraggiamento e sfiducia al punto da rientrare in quel 30%, della fascia giovanile, costituito dai cosiddetti “neet” (coloro che né studiano né lavorano). In quest’ottica, è fondamentale il ruolo svolto dalla politica e dai media, capaci di far oscillare il desiderio della novità, di camuffare il vecchio come nuovo che si ricicla, di incidere sull’opinione pubblica. Altra “leva” contemporanea è quella dei social, così determinanti nelle scelte di molti e così autorevoli attraverso santoni e influencer. L’esperienza del Coronavirus e i venti di guerra mondiale hanno alimentato la patologia.

L’aggettivo “nuovo” si associa spesso a un’accezione positiva, nel superamento di ciò che è vecchio, obsoleto, peggiore. “Nuovo” è bello e giovane, almeno finché non scadrà, surclassato da un altro “nuovo”. “Nuovo” è materiale (cibo, oggetti e tecnologia) ma è anche idea (religione, filosofia, sapere, conoscenza).

La storia umana è percorsa da nuove situazioni, rivoluzioni, scoperte, macchinari e strumenti sempre più evoluti che, superata l’iniziale diffidenza, hanno significato sviluppo e modernità. Chi ha espresso idee nuove, lungimiranti e avanti con i tempi, spesso è stato costretto a rimangiarsele.

Il 14 settembre del 2000, San Giovanni Paolo II, nel suo messaggio per la XXXVIII Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, precisò “Considerare la vita come vocazione favorisce la libertà interiore, stimolando nel soggetto la voglia di futuro, insieme con il rifiuto d’una concezione dell’esistenza passiva, noiosa e banale. La vita assume così il valore di ‘dono ricevuto, che tende per natura sua a divenire bene donato’. […] Mi rivolgo adesso a voi, cari genitoricristiani, per esortarvi ad essere vicini ai vostri figli. Non lasciateli soli di fronte alle grandi scelte dell’adolescenza e della gioventù. Aiutateli a non lasciarsi sopraffare dalla ricerca affannosa del benessere e guidateli verso la gioia autentica, quella dello spirito. Fate risuonare nel loro cuore, talora preso da paure per il futuro, la gioia liberante della fede. Educateli, come scriveva il mio venerato predecessore, il Servo di Dio Paolo VI, ‘a gustare semplicemente le molteplici gioie umane che il Creatore mette già sul loro cammino: gioia esaltante dell’esistenza e della vita; gioia dell’amore casto e santificato; gioia pacificante della natura e del silenzio; gioia talvolta austera del lavoro accurato; gioia e soddisfazione del dovere compiuto; gioia trasparente della purezza, del servizio, della partecipazione; gioia esigente del sacrificio’”.

Vittorio Robiati Bendaud, filosofo, è l’autore del volume dal titolo “Giovani senza paura” (sottotitolo “Nuove energie per le sfide di domani”), pubblicato da “San Paolo Edizioni” nel luglio scorso. “Quando oggi si parla di giovani e con i giovani s’impongono queste domande: è rimasto un terreno comune? Come preservarlo? Come farli entrare nella dimensione del patto per dare loro appieno la dignità che meritano e ricucire lo sfilacciato legame tra passato e futuro?”.

Lo scorso 24 maggio, l’Eurispes ha pubblicato il suo “35° Rapporto Italia”, dall’efficace titolo “Il dovere di avere coraggio”. Il presidente dell’Istituto, Gian Maria Fara, ha dichiarato “La straordinarietà del tempo attuale si misura con il fatto che eventi considerati imprevedibili, incredibili stanno diventando un elemento di normalità nelle nostre vite, sono valutati e vissuti come se fossero eventi e processi non destinati a modificare nel profondo gli assetti e le dinamiche delle nostre società e le nostre vite personali”.

Il Rapporto, visibile al link https://eurispes.eu/wp-content/uploads/2023/05/sintesi-rapporto-italia-2023.pdf, indica le maggiori preoccupazioni degli italiani in questa fase storica. Si legge “Il 53,8% dei cittadini indica che l’andamento dell’economia del Paese nel corso dell’ultimo anno è peggiorato. La pandemia ha portato pessimismo: fino al 2020 prevaleva infatti l’opinione secondo cui la situazione fosse sostanzialmente stabile. Poco ottimismo anche se si pensa al futuro economico dell’Italia nei prossimi 12 mesi, pure se molti sperano nella stabilità: secondo il 31,2% degli italiani la situazione resterà stabile, mentre per circa il 30% peggiorerà, solo per l’8,5% ci sarà un miglioramento e ben il 30,2% non sa o non risponde.”. A proposito di lavoratori “Il 27,4% soffre l’insicurezza del posto di lavoro, il 26,2% ritiene che i propri diritti siano scarsamente tutelati e circa il 26% è preoccupato dalla precarietà del contratto; quasi un quarto (23,6%) sperimenta l’irregolarità nei pagamenti”.

L’individuo accumula, nella sua crescita, esperienze e abitudini, tradizioni e processi, dai quali impara a consolidare la propria esistenza e a trarre insegnamenti. Il patrimonio genetico e quello esperienziale (dettato dall’ambiente), rendono alcuni più propensi, quasi attratti dalle novità e altri, invece, chiusi nelle loro presunte sicurezze.

Affrontare il nuovo può esser considerato, erroneamente, dalla persona, come una prova estrema, da “fuori o dentro”, da vincitore o perdente. In una società che non fa sconti, emargina e bolla chi si attarda, il rischio del fallimento tarpa ancor più dell’eventuale vantaggio di una nuova situazione. In tal caso, calcisticamente parlando, meglio accontentarsi di un sicuro pareggio che osare una vittoria. Occorre vedere quanto una società fagocitante sopporti i tentennanti.

Il rischio del fallimento brucia aspettative e relazioni e trasporta la persona insicura verso un’unica certezza: quella di non poter comunque tornare indietro.

Il neofobico fonda la sua paura sull’impossibilità di prevedere e controllare gli eventi. Tale fiducia (o limite) lo conduce a un rapporto alterato con la realtà e a escludere il verificarsi di eventi non programmati; questi ultimi, tuttavia, pur non essendo certi, possono essere assecondati e indirizzati. È lì che la persona cresce, a cavallo dell’onda nuova; l’umano che esce, con iniziale circospezione, dalla sicura caverna per cercare cibo e acqua.

Non tutto si può predire, anzi. Nell’era dei falsi profeti, degli oroscopi sicuri, dei cartomanti e delle prospettive meteorologiche che si pretendono come certezze e non come previsioni, si esige il “nuovo” come sicuro. La novità si accetta solo se sicura, certa, manovrabile, gestibile tecnologicamente, con dispositivi adatti. Gli schemi mentali non sono facili da valicare e da rendere più duttili.

Gli uomini-consumatori della “società liquida” fluttuano nell’insicurezza e nella frustrazione, per cui, rispetto al passato, sono più volti a cercare appigli, ancoraggi psicologici e sociologici.

L’altra grande variabile del mondo contemporaneo, che sottende a qualsiasi forma del nuovo è la “decisione”, la capacità e la forza di scegliere, di assumersi una responsabilità. Quanto, il mondo attuale “coccola” e “accompagna”, conduce, l’essere umano in una condizione sedativa e assicurativa al punto da spegnere ogni velleità ideologica? L’apprendimento è figlio della novità e cresce con questa. La curiosità, l’ignoto, la conoscenza e il sapere si nutrono di innovazione, con filtro critico, con audacia ed equilibrio, con capacità di discernere e di puntare un altro “nuovo” (un “piano B”) in caso di difficoltà.

Il “nuovo” è anche l’altro, il prossimo, il diverso, il compagno di classe, il collega, il vicino di casa. A livello sociale, umano, culturale, lavorativo ed economico, il disturbo può rappresentare un notevole impedimento, con enormi ripercussioni.

È normale la presenza di un istinto di conservazione e di sopravvivenza che, variabile in ogni persona, comporta, comunque, un atteggiamento difensivo dinanzi all’ignoto. L’antidoto alla fobia è considerare il futuro come un’opportunità e non una minaccia; il passaggio dalla “comfort zone” alla “fear zone”, dalla sicurezza alla paura, non è impossibile, bensì da valutare come un apprendimento (learning zone); il tutto per una crescita personale (growth zone), alla base di una collettiva.

Marco Managò

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