Milano come in guerra. Vi racconto cosa stiamo vivendo

Il direttore operativo di un’azienda racconta ad Interris.it una città dove l’unico rumore è quello delle ambulanze

28761 positivi al Coronavirus, 3776 deceduti, 1183 in terapia intensiva è il quadro dipinto dall’emergenza coronavirus, che mette in ginocchio la regione più prospera d’Italia. Milano, cuore dell’economia italiana, porta in seno diverse industrie: alcune sono state chiuse dal nuovo decreto del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, mentre altre sono rimaste aperte e gli operai continuano a lavorare. Come racconta a interris.it Marco Botteri, direttore operativo dello stabilimento milanese di un’azienda produttrice di etichette, che ha deciso di non tornare a Roma dove vive la sua famiglia perché “siamo in guerra e io devo essere presente”.

Marco Botteri di cosa si occupa la sua azienda?
“Noi ci occupiamo di packaging integrato. Lo stabilimento dove mi trovo ora, quello di Milano, produce etichette autoadesive e sleeves per la grande distribuzione, per il mondo farmaceutico, per il mondo food e quello degli alcolici.”

Come è la situazione in questi giorni a Milano?
“Milano adesso sta vivendo un momento di blocco apocalittico. Non c’è nessuno per le strade tranne quei poco avveduti che si sentono spesso nelle cronache che vogliono necessariamente correre eludendo le disposizioni dell’esecutivo. Ma la maggior parte delle persone che escono lo fanno per fare la spesa e per andare a lavorare”.

Negli anni che ha trascorso a Milano, ha mai visto la città in queste condizioni?
“In dieci anni che lavoro a Milano, questa è la prima volta che la vivo in questo modo. È sempre stata una città viva, produttiva ed accogliente. Ora è praticamente ferma, come mai prima. Tutto questo, per me, è fonte di grande dispiacere perché Milano mi ha dato tanto. Spero che finisca tutto presto e che si possa tornare alla vita di tutti i giorni, è veramente frustrante ed in alcuni sensi anche abbastanza angosciante. La mattina, come anche la sera, non si sente mai un rumore”.

Milano è coperta totalmente da un velo silenzioso?
“In realtà se stai in casa o in ufficio si sentono solo le sirene delle ambulanze, ma non solo qui. Ho amici di Brescia e di Bergamo che mi raccontano la stessa cosa. Anche se devo dire che nelle ultime ore questo fenomeno si è un po’ affievolito…spero sia un segnale.”

Gli operai hanno paura?

“Io ho un rapporto costante con i miei operai essendo il direttore operativo dello stabilimento di Milano. Noi già abbiamo predisposto tutti i dispositivi di sicurezza per il personale, questa è la cosa più importante. Chiaramente siamo fortunati perché gli operai, anche in uno status di normalità, lavorano distanziati uno dall’altro almeno di almeno quattro metri. Ma, per esempio, la pratica del doppio operaio indispensabile per il cambio formato è stata per il momento sospesa per ottemperare alle disposizioni del Governo.”

L’azienda ha predisposto particolari criteri di sicurezza?
“In realtà, come azienda che opera anche nel settore dell’alimentare, abbiamo sempre utilizzato guanti, retine e mascherine. Però, in questi difficili giorni, abbiamo disposto la sanificazione invece che una volta al mese, tre volte a settimana. Inoltre, in ogni ingresso dei reparti produttivi abbiamo intensificato l’utilizzo di gel lavamani”.

Per quanto riguarda le misure di sostegno della mano d’opera, avete preso qualche provvedimento?
“Stiamo valutando a fondo tutte le misure di sostegno come la copertura assicurativa, per far sì che l’operaio si senta curato. Per i nostri lavoratori questa emergenza è stata uno shock emotivo, soprattutto due settimane fa. Perciò abbiamo fatto diverse riunioni, qualcuno ha deciso di non venire a lavorare per motivi precauzionali magari proprio perché venuto in contatto con un conoscente risultato positivo. Ci sono stati diversi problemi, ma siamo andati avanti”.

Avete registrato casi di positività interni?
“Non abbiamo nessun caso accertato in fabbrica fortunatamente. Ci sono state tante persone con mal di gola o qualche linea di febbre e li abbiamo in maniera precauzionale tenute una settimana o quindici giorni a casa, coperte da malattia o da ferie”.

La sua azienda è strategica?
“Naturalmente, ma stiamo valutando di sospendere la produzione di quei prodotti non essenziali. Copriamo più filiere produttive come quella farmacologica, in  questo settore non possiamo assolutamente far venir meno la catena produttiva, come anche per il mondo food e dei presidi medici-chirurgici”.

La borsa di Milano dopo le dichiarazioni del vertice della Bce, Lagarde, ha registrato il peggior risultato della sua storia (16,9%). La crisi economica cambierà il volto di Milano?
“Il solco della prossima crisi economica sarà molto profondo, quando si ripartirà ci saranno imprese e strutture commerciali che prima in qualche modo galleggiavano e che quindi riusciranno ad andare avanti, al contrario qualcuno non riaprirà più. Questo va tenuto in conto. Non ci saranno solo morti fisici ma anche commerciali. Non credo che il governo riesca a far fronte a tutto, qualcosa resterà indietro. Ma credo in una cosa: quando terminerà l’emergenza sanitaria ci sarà molto da fare a Milano e ci sarà di nuovo un rilancio”.

Perchè pur avendo la sua famiglia a Roma ha deciso di rimanere a Milano?
“Io credo che ognuno di noi debba combattere la sua battaglia, ognuno con un ruolo. Siamo in guerra e io devo essere presente. È una questione di senso di responsabilità verso la mia azienda dove lavoro e che mi paga: devo darle una mano e non la abbandono. Anche rischiando, perché rimango esposto: devo uscire, andare a lavorare, vedere persone che magari hanno avuto contatti con chi è stato male. Ma non riesco proprio a tirarmi indietro, devo dare il mio: ci sono stati momenti molto difficili ma la prossima settimana a livello aziendale sarà peggio perché avremo carenze di personale e di materie prime. Tutte le giornate sono un’emergenza”.

Come riesce a tranquillizzare i suoi operai?
“Io e il datore di lavoro cerchiamo di spiegare che dobbiamo, superato il primo momento di shock emotivo, imparare a convivere con questa emergenza. Perché se il governo dice che possiamo lavorare, noi dobbiamo farlo. Dobbiamo mandare avanti quel poco che è rimasto della catena produttiva italiana.”

Che ruolo ha in tutto questo l’isolamento?
“Io ho voluto che mia moglie e mia figlia tornassero a Roma Proprio perché loro non possono stare vicino a me: sono un soggetto a rischio per il mio lavoro. Più di tre settimane fa, ho fatto si che la mia famiglia tornasse a Roma, per proteggerli, allontanandoli. Hanno fatto la quarantena e si sono autodenunciate perché capiamo la gravità di questa emergenza. A Roma è arrivata tardi, noi siamo invece sul campo di guerra”.