Marcia Perugia-Assisi 2021: per una nuova cultura della cura

Il foto-racconto di In Terris della manifestazione, a sessant'anni dalla prima edizione ideata e organizzata da Aldo Capitini, il "Gandhi" italiano

Marciare per la pace per dare vita a una nuova cultura della cura. In trentamila hanno risposto all’appello I care, “io mi prendo cura”, dimostrando che la manifestazione sa ogni volta sintonizzarsi in quelli che il francescano del Sacro Convento d’Assisi padre Nicola Giandomenico chiama “impegni concreti nei problemi vivi del momento”.

Giovani famiglie con bambini, nonni e nipoti, ragazzi delle scuole e studenti universitari, persone con disabilità e gruppi di adulti da diverse parti d’Italia hanno camminato sventolando bandiere arcobaleno con la parola “pace”, insieme ai gonfaloni di tante città e alle autorità in fascia tricolore, a sessant’anni dalla prima Marcia per la pace Perugia-Assisi del 1961. Quella progettata e organizzata dal “Gandhi” italiano, il filosofo e pensatore religioso umbro Aldo Capitini.

Una testimonianza, quella del 10 ottobre, che – come ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella – “i valori che la ispirano e la partecipazione che continua a suscitare” sono un “segno di speranza” per la costruzione di una società in cui non ci sia più spazio per l’egoismo, l’indifferenza, la violenza, la rassegnazione all’ingiustizia.

 

Un passo collettivo

“Con il gesto semplice ed essenziale del vostro camminare, voi avete affermato che la cultura della cura è una strada, anzi è la strada maestra che con conduce alla pace”. Un elogio del passo tutti insieme, chi più lento chi più spedito sempre in un grande passo collettivo, un “noi” in movimento.  Così il Santo Padre ha mandato il suo saluto ai partecipanti della Marcia della Pace, nel suo messaggio letto dal vescovo delle diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e di Foligno monsignor Domenico Sorrentino. Una cultura che si prende cura dell’ambiente, dell’altro invece di restare indifferente o di scartarlo.

I colori arcobaleno della pace

 

Le declinazioni della pace

Il passo è leggero nel clima di gioia e di festa che illumina i volti e le voci dei “marciatori” che dalle curve del vialone della stazione Santa Maria degli Angeli di Assisi cominciano a vedere davanti a sé, oltre la salita, lo skyline della Basilica di San Francesco, risalente al XIII secolo.

Piccoli marciatori corrono

La Marcia dei 30mila attraversa Assisi, passando per la Basilica inferiore, perché come ha detto Capitini sessant’anni fa “da Assisi non possiamo non sentire un impulso a riprendere i problemi di una apertura religiosa e sociale che Francesco sentì nel quadro del Medioevo”.

Il corteo

che affiancheranno per andare poi oltre, fino alla Rocca Maggiore, dove ci si ritrova per la parte conclusiva della giornata di cammino, con gli interventi del Comitato promotore e degli ospiti, il sindaco di Assisi Stefania Proietti che ha ricordato come dalla città del Poverello sia partita la mozione, un medico di famiglia piemontese, Cecilia Strada, figlia del fondatore di Emergency recentemente scomparso, il coordinatore del Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla condizione dei disabili Giampiero Griffo, in “telepresenza” da remoto sul palco della manifestazione grazie a un “robot dell’inclusione”, realizzato dall’Istituto Enzo Ferrari di Susa, Mimmo Lucano con il missionario comboniano padre Alex Zanotelli, i ragazzi del Servizio civile che hanno nominato ciò di cui hanno cura: ambiente; patrimonio culturale; diritti umani; rispetto della donna e altro ancora.  Le varie declinazioni della pace, oggi, partono dalle relazioni improntate alla cura delle persone salvando e accogliendo vite umane, dalla sanità intesa come attenzione integrale alle persona, dal rispetto degli equilibri della natura.

Rocca Maggiore

“I care”

Il momento conclusivo della Marcia non rappresenta il termine dell’impegno di una giornata, ricco di gioiosa testimonianza di attenzione per il prossimo, bensì il dispiegarsi nelle strade della vita continuando a “marciare” per costruire, attraverso la cura, nelle proprie relazioni e nei propri rapporti interpersonali una salda rete di pace. I care, come scrisse a grandi lettere don Lorenzo Milani su una parete della scuola di Barbiana.