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Madre Teresa di Calcutta: instancabile operatrice di misericordia

Tutta la vita di Madre Teresa di Calcutta, nata nel 1910 col nome di Gonxha Agnes Bojaxhiu, a Skopje da una benestante famiglia albanese, originaria del Kosovo, fino al giorno della sua salita al cielo il 5 settembre del 1997, è stata dedicata e rivolta ogni giorno, ogni momento e ogni istante ai poveri. Il suo viso sorridente e la sua semplicità, hanno fatto il giro del mondo, tutti la conoscevano e la riconoscevano vestita sempre con il suo sari bianco con quattro strisce blu di diverse dimensioni simboleggiano i quattro voti: obbedienza, povertà, castità e servizio reso ai poveri, la piccola croce a sinistra e i sandali consumati sui piedi nudi.

L’abito così particolare fu indossato la prima volta nel 1948 e dal 1950 fu riconosciuto come simbolo di pace e carità in tutto il mondo. E’ lo stesso abito che le Missionarie della Carità, la cui congregazione femminile fu istituita da Madre Teresa nel lontano 1949 e che ricevette l’approvazione pontificia nel 1965. Ancora oggi le suore sull’esempio della loro fondatrice, continuano ad indossarlo nel loro quotidiano servizio ai più poveri e più bisognosi in ogni luogo e anche negli ospedali.

Diversi e importanti sono stati i riconoscimenti che Madre Teresa ha ricevuto in ogni angolo della Terra. Tra tutti i premi, ricordiamo il Nobel per la pace, assegnatole nel 1979 che aveva come motivazione proprio il suo impegno affinché venga rispettata la dignità di ogni persona e il suo lavoro a favore dei più poveri tra i poveri. E la somma in denaro ricevuta fu convertita da Madre Teresa in pasti caldi, posti letti, per le necessità dei suoi tanti assistiti. Sempre al servizio di Gesù, scriverà in una meditazione del 1983: “Gesù è l’unico di cui sono innamorata, al quale appartengo e dal quale nulla mi separerà. Egli è mio e io sono sua”. Nel curare prima i moribondi e i bambini, poi i poveri e i malati, non ha fatto distinzione tra gli esseri umani, ha accettato tutti dai lebbrosi a chi ha contratto l’Aids.

Nel 1952 Madre Teresa aveva inaugurato ed aperto “Casa Kalighat” per i malati di ogni religione e qualche anno più tardi accoglierà anche i lebbrosi e per loro nel 1961 realizzerà la “Città della Pace”, dove essi potranno lavorare alla presenza di volontari sani. La città sorge su un terreno, offerto dal governatore del Bengala, a trecento chilometri da Calcutta, al confine con il Bihar, nella parte nord orientale dell’India. Tante sono le strutture e le case che Madre Teresa, insieme alle Missionarie della Carità, hanno sparse per il mondo, e sono presenti con il loro servizio continuo ed impegno costante in tutti i Continenti.

Madre Teresa morirà il 5 settembre del 1997 e sarà Giovanni Paolo II a proclamarla beata il 19 ottobre del 2003 e così la presenterà: “Dove ha trovato, Madre Teresa, la forza per porsi completamente al servizio degli altri? L’ha trovata nella preghiera e nella contemplazione silenziosa di Gesù Cristo, del suo Santo Volto, del suo Sacro Cuore. Lo ha detto lei stessa: ‘Il frutto del silenzio è la preghiera; il frutto della preghiera è la fede; il frutto della fede è l’amore; il frutto dell’amore è il servizio, il frutto del servizio è la pace’. La pace, anche al fianco dei morenti, anche nelle nazioni in guerra, anche dinanzi agli attacchi e alle critiche ostili. Era una preghiera che riempiva il suo cuore della pace di Cristo e le consentiva di irradiare tale pace agli altri”.

Sarà poi Papa Francesco il 4 settembre del 2016 ad elevare la piccola suora agli onori degli altari: “Penso che, forse, avremo un po’ di difficoltà nel chiamarla Santa Teresa: la sua santità è tanto vicina a noi, tanto tenera e feconda che spontaneamente continueremo a dirle ‘Madre Teresa’. Questa instancabile operatrice di misericordia ci aiuti a capire sempre più che l’unico nostro criterio di azione è l’amore gratuito, libero da ogni ideologia e da ogni vincolo e riversato verso tutti senza distinzione di lingua, cultura, razza o religione. Madre Teresa amava dire: ‘Forse non parlo la loro lingua, ma posso sorridere’. Portiamo nel cuore il suo sorriso e doniamolo a quanti incontriamo nel nostro cammino, specialmente a quanti soffrono”.

Gualtiero Sabatini

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