Lucia Bolcato (Apg23): “Scuola del Gratuito? Non un metodo, ma un modo di vivere”

Intervista a Lucia Bolcato membro dell'Apg23 animatrice generale del servizio educazione e formazione

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“Il punto di partenza di tutto è la voglia di progettare una società basata su meccanismi alternativi al profitto e al consumismo, una società che abbia al centro le relazioni fra gli uomini: un cambiamento di cui la scuola è un tassello importante“. E’ quanto afferma Lucia Bolcato, membro della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, e animatore generale dell’ambito Scuola. Insieme ad altri membri dell’Apg23, Lucia porta avanti il progetto “Scuola del gratuito“. In Terris l’ha intervistata per approfondire il tema.

Che cos’è la “scuola del gratuito”?
“La Scuola del Gratuito non è un metodo, ma un modo di essere, un modo di vivere la scuola diverso. Si propone di far crescere, sviluppare, per amore, i doni e le risorse contenuti in ogni persona, secondo il progetto originale e prezioso, unico e irripetibile che la persona stessa contiene, al di fuori di ogni logica di profitto individuale o collettivo su essa. Solo la gratuità educa davvero perché fa sentire la persona amata e perciò libera di scoprirsi e di essere sé stessa”.

Su quali principi si basa?
“Su rapporti di relazione vitale tra le persone nella consapevolezza che sono il terreno ideale per coltivare il naturale desiderio di conoscenza che c’è in ogni bambino. In questo rapporto di gratuità, il bambino sente di essere accolto per quello che è ed accompagnato nell’avventura della conoscenza di sé e del mondo. Per questo la gratuità è vero metodo educativo: è la premessa indispensabile per una reale integrazione di ogni individuo nella scuola, una scuola sentita come alleata, un bel posto dove passare del tempo e crescere in modo creativo e fecondo. Le differenze, le difficoltà, le diverse inclinazioni e vocazioni, i svariati talenti: tutto è visto come una ricchezza, anche la disabilità. Perché la scuola non ha il compito di selezionare e giudicare, ma di fare crescere e dare ad ognuno ciò di cui ha bisogno. Una scuola basata su relazioni di gratuità crediamo “insegni meglio e di più”. Perché il motore della conoscenza è la passione, non il profitto: nel profitto lo scopo è il voto, nella gratuità è il desiderio. Riscoprire e coltivare il desiderio innato di scoperta presente in ciascuno, questo è centrale. In quest’ottica acquistano enorme importanza i processi di apprendimento, il gusto di apprendere in modo personale e adeguato ai propri mezzi. Ogni persona è diversa, ha un contesto di vita e una storia diversi, modi di apprendere diversi: è necessaria una scuola ‘artigiana’, che rispetti l’unicità di ciascuno. Progettare una scuola così è difficile, ma è l’unica strada perché essa ritorni centrale nella comunità umana”.

Ci sono realtà scolastiche italiane che hanno attuato la pedagogia della scuola del gratuito?
“Ferdinando Maria Ciani è l’ideatore della SdG e la vive ormai da più di 20 anni nella scuola secondaria di I grado. Io la porto avanti nella scuola Primaria e fino all’anno scorso anche Irma Testa nella scuola secondaria di II grado. Esistono inoltre diverse insegnanti che nella loro quotidianità vivono alcuni aspetti della pedagogia della scuola del gratuito. Molte di loro sono fedeli ai convegni che organizziamo ogni due anni come Comunità Papa Giovanni XXIII insieme al gruppo di ricerca della SdG di Pesaro, gestito da Ferdinando Maria Ciani. Diverse di loro sono in contatto con noi per approfondire alcuni aspetti. La scuola Santa Elisabetta Cerioli di Orzinuovi in provincia di Brescia da ben 5 anni propone il modello pedagogico della SdG con grande successo, bambini contenti, genitori pure. Ho sempre seguito personalmente il loro percorso, sia in presenza, due/tre volte all’anno, sia via mail rispondendo alle domande, ai dubbi e ai vari percorsi a livello di documentazione. La scuola Don Oreste Benzi di Forlì, rilevata dalla comunità Papa Giovanni circa tre anni fa, propone il modello della SdG in alcune classi. Seguo in modo particolare un’insegnante di classe 3a che da tre anni presenta il modello della SdG. Due anni fa abbiamo fatto formazione presso la scuola dell’infanzia della Grotta Rossa a Rimini, appartenente all’Apg23. L’anno scorso è iniziata un’esperienza anche in una scuola materna a Modena anch’essa appartenente all’associazione fondata da don Oreste Benzi”.

Quali sono i vantaggi dell’attuazione di questa pedagogia?
“All’interno di una relazione educativa gratuita, è naturale esigere dalla persona un forte impegno a sviluppare tutte le sue potenzialità. Il coinvolgimento è maggiore perché non è una costrizione: è un’esigenza che viene dall’alunno. Ciò che ne consegue è che l’apprendimento risulta più profondo perché la molla viene dallo studente, non più dalla paura del brutto voto oppure dal desiderio del premio e di primeggiare. Un apprendimento profondo non può scaturire da qualcosa di esterno e imposto, ma solo da un moto interiore. L’apprendimento arriva così ad essere al centro, non più l’insegnamento: la scuola è per gli alunni, non per gli insegnanti. Anche nel mondo economico e produttivo ci si sta rendendo conto che il puntare tutto su competizione e successo personale è controproducente: la competizione funziona solo su compiti semplici e facilmente misurabili. In compiti non banali, come il prendere decisioni difficili, comprendere sistemi complessi, apprendere conoscenze, il paradigma vincente è la cooperazione, il pensiero creativo e critico. Il bastone e la carota semplicemente non funzionano! E il mondo economico si lamenta che la scuola oggi ‘sforna’ persone diligenti che eseguono bene compiti semplici, ma sono spesso incapaci di relazionarsi e di affrontare compiti complessi. Noi crediamo che un approccio rovesciato, che parta dai bambini e dai ragazzi e viva di relazioni di gratuità, sia l’unico capace di ‘sfornare’ ragazzi che abbiano le capacità necessarie per essere persone felici e capaci di orientarsi nella società odierna. Detto diversamente: una valutazione che promuove l’individuo sforna un ‘prodotto’ migliore di una valutazione che misura il prodotto. Un sistema educativo che parte dalla persona, disinnesca gran parte dei conflitti presenti oggi nella scuola: conflitti insegnanti- famiglie, conflitti alunni-insegnanti, conflitti tra alunni. In un sistema che favorisce originalità e cooperazione, le divisioni vengono a cadere e tutti sono spinti a collaborare. Farsi la guerra non ha più senso”.

Il sistema scolastico italiano in cosa dovrebbe migliorare?
“La scuola di oggi – in Italia ma non solo – la potremmo definire come la scuola del profitto, anche se le Indicazioni Nazionali del 2012 hanno introdotto una ventata di novità e un possibile cambiamento di stato. La scuola del profitto ha alla sua base l’idea della catena di montaggio: deve sfornare bambini ‘istruiti’ in un certo modo, con certe tecniche standard. Ad un certo input deve corrispondere un certo output: chi esce dai parametri di qualità è un prodotto che deve essere scartato o messo nel magazzino dei prodotti di seconda, terza scelta. Esiste una coscienza sempre più approfondita di cosa sia davvero l’apprendimento, di come i bambini e i ragazzi apprendano in modo più profondo e duraturo: ed è proprio su questo punto che la scuola italiana sembra più carente. Oggi la scuola ha in testa sostanzialmente l’idea di prodotto e non di processo. Deve sfornare il prodotto ‘ragazzo istruito’: ed essere istruiti richiede che i bambini si presentino in un determinato posto con un certo insegnante, con altri bambini della stessa età per seguire un programma di studi standard, ad un ritmo standard con valutazioni standard delle conoscenze verificata in prove standard e soprattutto nello stesso modo di tutti gli altri nella stanza. Questo è ciò che sembra il modo giusto di fare scuola. Detto in altro modo: oggi la scuola è centrata sull’insegnamento e non sull’apprendimento. In realtà questo modello ha molte prove della sua incapacità di fornire un sistema di istruzione efficace: alti tassi di abbandono, diffuso malessere e disinteresse negli studenti, elevata conflittualità tra tutti i soggetti scolastici, scarsa capacità di analizzare le informazioni che fluiscono dai social media e dai mezzi di informazione (vedi alla voce fake news), scarsa preparazione per il mondo del lavoro nonostante l’aumento della scolarizzazione, solo per citare alcuni aspetti”.

La scuola di oggi riesce a fornire tutto ciò che è necessario agli studenti?
“Oggi la scuola è molto preoccupata (a volte ossessionata) di fare le cose per bene, nel modo migliore possibile, senza chiedersi se quelle siano davvero le cose ‘giuste’. Il grande cambiamento educativo dei nostri tempi è questo: ciò che chiamiamo ‘educazione’ non è più qualcosa che ci è fornito già pronto, dall’alto ma ciò che creiamo noi stessi. Questa è la chiave fondamentale su cui costruire una scuola al passo con i tempi. L’accesso alla conoscenza era scarso ai tempi in cui la scuola moderna fu concepita, ora è sovrabbondante: oggi possiamo imparare quasi tutto ciò che vogliamo, quando vogliamo, dove vogliamo. La scuola rimarrà sempre più in crisi di identità se si pensa come depositaria e dispensatrice del sapere. Dovrebbe essere un luogo dove questa sovrabbondanza di informazioni possa essere affrontata e capita senza esserne travolti: sono le connessioni intelligenti tra le informazioni che sono più che mai necessarie; la capacità critica; la capacità di elaborazione personale spesso richiamata con il mantra ‘imparare ad imparare’. Il cittadino di oggi e di domani, perché non diventi vittima della complessità del mondo moderno, deve avere queste capacità. Ciò che la scuola di oggi, a parte poche eccezioni, sembra non riuscire a dare”.

Pensi ci sia la possibilità che il nostro mondo dell’istruzione inizi un processo di cambiamento?
“Il problema grande è che è più facile costruire una nuova scuola che cambiarne una vecchia. Le resistenze sono enormi: in questo senso la scuola italiana è una delle istituzioni più conservatrici che ci siano. Resistenze culturali ma anche di inerzia: è più semplice il vecchio del nuovo, perché è già tutto pronto, senza sforzi di pensiero, immaginazione e costruzione. Si continua a replicare una tradizione secolare di istruzione e scolarizzazione creata per altri tempi ma ancora profondamente radicata nel nostro tessuto culturale. Poco o nulla è cambiato rispetto a 70/80 anni fa sotto la superficie scintillante delle nuove tecnologie e delle etichette alla moda: mentre le evoluzioni sociali, economiche, scientifiche e tecnologiche sono state enormi”.

Da cosa dovrebbe ripartire la scuola?
“Deve ripartire dal riflettere su un dato di fatto incontrovertibile: la buona riuscita nella vita da adulto dipenderà sempre di più dalla capacità di apprendimento e non dall’accumulo di conoscenze. Come afferma l’autore americano Harold Jarche ‘l’apprendimento è il lavoro’: coloro che non riusciranno ad apprendere costantemente nella vita, avranno difficoltà nel mondo del lavoro e nel capire la società in cui vivono. La scuola deve quindi smettere di premiare la conoscenza rispetto alla capacità di imparare; deve concentrarsi solo sullo sviluppo degli studenti come discenti. La scuola italiana non deve avere paura di riscrivere i ruoli dell’insegnante, i curricoli, le valutazioni, gli spazi e altro: ‘riscriverli’, cioè ripensarli da capo, non solo rivedere qualche aspetto”.