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Lino Guanciale: “Fortunato per le occasioni che il mio mestiere mi dà. La sfida? Non sprecarle”

Fra i caratteristici vicoli della Napoli degli anni ‘30, tornano le indagini e le vicissitudini sentimentali di Luigi Alfredo Ricciardi, commissario della Mobile creato dalla creatività di Maurizio De Giovanni. Una capacità investigativa fuori dal comune, un carattere sfuggente dovuto a un dono che è anche una maledizione: vedere i fantasmi delle vittime di morte violenta e ascoltare il loro ultimo pensiero. Ricciardi ha ereditato dalla madre questo fardello e conosce la sofferenza che comporta: per questo fatica ad abbandonarsi al sentimento d’amore che da tempo lo lega alla dirimpettaia Enrica Colombo. Sa di non poterle concedere la gioia di avere dei figli, teme di condannarli allo stesso destino toccato a lui: fare ogni giorno i conti col dolore e la morte. Con le sue straordinarie doti intuitive e una vera e propria vocazione per il lavoro, Ricciardi risolve i casi di omicidio più difficili, mentre l’aura di mistero che lo circonda ne fa un uomo corteggiato dalle donne: in questa seconda stagione alla sensuale Livia, che da tempo prova a scalfire il cuore dell’uomo e sembra disposta a tutto per conquistarlo, si aggiunge la contessa Bianca Palmieri di Roccaspina, con cui Ricciardi ha molto da condividere. Per il commissario si avvicina il tempo di fare una scelta.

Come si è preparato ad interpretare il ruolo di Ricciardi in questa nuova stagione?

“Sono un uomo estremamente fortunato perché nel mio percorso professionale ho sempre avuto l’opportunità di interpretare personaggi che mi mettessero profondamente in discussione. Nell’interpretazione del Commissario Ricciardi, mi sono sentito come un uomo che si trova a scalare una montagna altissima. L’invenzione di Maurizio De Giovanni su questa figura e sulla rete di relazioni che costruisce su questa narrazione è stata per me una sfida bellissima da affrontare. Per me quanto più è complesso e complicato interpretare un personaggio e quanto più è maggiore il divertimento”.

Come si è sentito a rivestire i panni del Commissario dopo il successo della prima stagione?

“L’ansia per non disattendere le aspettative dei lettori appassionati di questa sagra letteraria così premiata dal pubblico era tanta e per affrontarla ho deciso di immaginarmi come il più privilegiato dei lettori. Ho avuto la fortuna sia di pensare al Commissario Ricciardi nel silenzio delle mie letture sia di metterlo in scena davvero ed ho sempre vissuto tutto come un gioco, molto serio, ma pur sempre un gioco. Dopo il successo della prima stagione mi sono ritrovato al primo ciak con tanta responsabilità addosso e le aspettative alte del pubblico, ma poi ho incrociato lo sguardo di questi meravigliosi attori e questa fantastiche attrici, e mi sono ritenuto molto fortunato”.

Come evolverà dunque il suo personaggio in questa seconda serie?

“Nella prima stagione abbiamo visto aprirsi varie crepe dalla corazza che si è costruito per proteggere gli altri da sé stesso. In questa nuova stagione, le crepe diventano falle nel desiderio di meritarsi un po’ di felicità. Per i cambiamenti, io ho vita facile perché già nei romanzi, dal punto in cui siamo rimasti in poi, c’è una crescita fortissima per il personaggio della sua consapevolezza su che posto dare all’amore nella propria vita”.

Per lei, è più faticoso o più divertente essere Lino Guanciale?

“Come cantava Jovanotti: ‘Sono un ragazzo fortunato’. Con il mestiere che facciamo noi, siamo fortunati per le occasioni che ci vengono date e, dobbiamo cercare di non sprecarne neanche una. Ho sempre cercato di seguire scelte che mi hanno messo molto in discussione, andando sempre a fondo. Dieci anni fa non avrei mai immaginato che avrei avuto poi la fortuna di potermi muovere tra generi e stili diversi, quali: cinema, televisione, teatro e scrittura”.

ll suo personaggio nonostante all’apparenza sia malinconico e triste, è un uomo sensibile ed empatico. Come esprime le sue emozioni?

“La vera difficoltà sta nell’enorme capacità emotiva ed empatia che il personaggio cela dalla sua pelle all’impermeabile che porta. Ricciardi porta le mani in tasca perché non riesce a fermarle nel momento in cui è nervoso. E capita molto di frequente. Gli occhi sono sempre di una forte commozione o di un moto perpetuo alla ricerca di segni per risolvere gli enigmi che si trova davanti. O ancora per fuggire dalle manifestazioni dei fantasmi dei morti che lo perseguitano”.

Ci sono aspetti del suo carattere che ha ritrovato anche nel personaggio del Commissario Ricciardi?

“Magari avessimo punti in comune! Un tratto caratteriale comune è un certo amore per la discrezione, ma lì mi fermo. Sicuramente ho tentato di avvicinarlo al mio vissuto, cercando di costruire dei punti di contatto con il personaggio, come fa qualsiasi attore. Lui è un antieroe e la sua giustizia non sempre coincide con quella della legge. Ci sono occasioni in cui lui si prende la libertà di agire di proprio arbitrio per far coincidere la legge e, la giustizia per quella che ritiene la soluzione umanamente più corretta, nel rispetto delle vittime per cui lui indaga. In questo sta la sua grandezza, nella sua capacità di costruire sempre giustizia”.

Il Commissario Ricciardi vede le anime dei morti di morte violenta, che per il suo lavoro è un dono e per la sua vita privata una maledizione. Quale è la sua caratteristica comportamentale considerata un punto di forza sul lavoro ed un’area di miglioramento sulla sua vita privata?

“La testardaggine è una peculiarità che mi riconosco come uno degli aspetti fondamentali, sia nella mia vita professionale che in quella privata. Se essere testardo rappresenta per me un vantaggio sul lavoro, certamente nei rapporti personali rappresenta una bella ‘rogna’”.

Il Commissario Ricciardi allontana l’amore anche per non trasmettere ad eventuali figli quella che considera essere la sua dannazione. Lei, nel suo ruolo di padre, cosa vorrebbe trasmettere a suo figlio Pietro di quanto porta con sé nella sua valigia dell’attore?

“Vorrei che mio figlio possa continuare ad essere la persona curiosa che è già adesso. Siccome faccio un mestiere in cui la curiosità gioca un ruolo molto importante, mi auguro anch’io di non perderla mai, perché la prima cosa con cui passi qualcosa ai tuoi figli, è proprio l’esempio che dai. Spero che mio figlio Pietro si diverta ad essere curioso per tutta la vita in qualsiasi mestiere deciderà di fare”.

Pubblicato sul settimanale Visto

Daniela Di Genova

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