L’informazione religiosa ai tempi della pandemia: quanto è importante? (AUDIO)

"Le buone notizie sono quelle che generano amicizia sociale" Vania De Luca parla ad Interris.it e ricorda le parole di Papa Francesco durante l'incontro per i 60 anni dell'Ucsi

L’informazione è uno strumento fondamentale, fatto di gioie e dolori ed anche se spesso viene attaccato, rimane il principale baluardo di democrazia in un paese fondato sulla libertà di pensiero. In questo momento, ancora di più, c’è un settore specifico dell’informazione, quello religioso, che sta svolgendo un ruolo fondamentale nel quotidiano di tante famiglie, per non far sentire nessuno solo. Interris.it ne ha parlato con Vania De Luca, vaticanista di Rai News 24 e presidente nazionale dell’Unione Cattolica Stampa Italiana.

 

Qual è il valore dell’informazione religiosa in questo momento?
“Si deve fare distinzione tra l’informazione religiosa fatta da testate di area cattolica, dirette ad un pubblico principalmente cattolico e l’informazione religiosa, veicolata da testate laiche, quindi generaliste, all’interno delle quali si trovano diverse espressioni culturali unite all’elemento religioso. Credo che entrambe stiano facendo un grande servizio rendendo sempre presente la parola del Papa, della Chiesa e di quella speranza che si vorrebbe recuperare in questo periodo in cui tutti viviamo una grande costrizione. Siamo isolati in casa, con tanta difficoltà, ma la voce del Papa, della Chiesa e dei suoi pastori sono un richiamo importante, di natura morale, anche per tanti non credenti”.

L’Ucsi è sempre vicino all’uomo, dando spazio alle voci di tutti. Quanto è importante raccontare le storie delle persone?
“Narrare e dare spazio alle storie del quotidiano è fondamentale, lo è per l’Ucsi, per la sua sensibilità, ma lo è per tutti i giornalisti. In fondo, quando questo periodo, anche così difficile e sofferto che stiamo vivendo, finirà, quello che resisterà sarà proprio la testimonianza di tante persone, eroi silenziosi di questa pandemia. Pensiamo alle tante persone in prima linea, dai medici agli infermieri, al personale sanitario, ai parroci, isolati loro stessi nelle loro parrocchie, ma che fanno suonare sempre le campane quando celebrano la messa per simboleggiare il loro richiamo. Pensiamo a quelli che garantiscono i servizi pubblici essenziali, i giornalisti stessi, tra questi, che non hanno mai interrotto il loro lavoro anche se hanno cercato di inventarlo in forme nuove. Pensiamo anche alle tante famiglie con difficoltà enormi, la fatica di far emergere dall’anonimato tanti volti e storie, senza dimenticare le tante persone che sono scomparse. La testimonianza è un regalo prezioso, quello che vorremmo non venisse smarrito in questo tempo. Alla fine questa è pur sempre la nostra vita, che seppure con fatica, va avanti e le testimonianze rimarranno”.

Perché le buone notizie, non sempre riescono a fare notizia?
“Purtroppo è un meccanismo dell’informazione: l’attenzione viene attirata quando c’è la bomba, quando c’è l’omicidio, la cattiva notizia, o qualcosa che non funziona con la conseguente denuncia. Però, non bisogna dimenticare, le tante potenziali buone notizie che spesso vengono sottovalutate. La notizia o il personaggio, infatti, non sempre sono in sé è positivi, a volte una buona notizia è anche la fatica di trovare un orizzonte di senso rispetto a tutto quello che non funziona. Lo vediamo durante questa pandemia, un momento, purtroppo, ricco di cattive notizie, durante la quale, però, bisogna sempre cercare una chiave di speranza che faccia dell’informazione una faro, perché la gente ha bisogno di recuperare fiducia e speranza. L’ha detto il Papa, durante l’udienza per i 60 anni dell’Ucsi lo scorso settembre “le buone notizie sono quelle che generano amicizia sociale” ma non sono notizie inventate, sono storie vere, devono solo avere la ‘cittadinanza’, qualcuno che le colga e che le racconti. Dopo tutto, penso che il pubblico e i lettori ne siano solo contenti perché non possiamo nutrirci solo di negatività”.

Come fare per accendere sempre di più la luce sugli ultimi?
“Le luci che si accendono sugli ultimi non sono mai sufficienti. Solitamente ad illuminare non sono fari abbaglianti, ma piccole luci che non bastano per mettere in risalto tutte le zone di povertà, marginalità e difficoltà, che tra l’altro sono sempre crescenti. Basta pensare all’ultimo rapporto di Caritas Italiana, il quale ci dice che c’è un aumento del 114 per cento di richieste ai loro sportelli. Di questa percentuale la maggior parte sono famiglie che in questo momento di pandemia si sono trovate con il capofamiglia in cassa integrazione, senza lavoro e con difficoltà economiche forti. Ecco, tutte le luci che su queste aree di marginalità si possono avere non saranno mai sufficienti fin quando la marginalità esisterà. Perché la luce, che con l’informazione si cerca di dare, dev’essere una luce capace di risolvere la marginalità o quantomeno di incamminarla verso cammini di speranza e di giustizia sociale”.