Le suore azioniste che sfidano le multinazionali

Comprano azioni per influire nelle strategia d'impresa e difendere i diritti umani. E le aziende le prendono sul serio

Riconosciamo il vostro grande lavoro nello sviluppo di un vaccino sicuro ed efficace contro il Covid-19. Ma avete anche una grande responsabilità per una distribuzione solidale dei vaccini, soprattutto ai Paesi più poveri. La giustizia e l’equità devono essere fondamentali nelle vostre decisioni”. Parla con voce concitata Cathy Rowan, collegata in diretta all’assemblea degli azionisti del gigante farmaceutico Pfizer negli Stati Uniti, il 22 aprile scorso. Ad ascoltarla c’è Albert Bourla, presidente e amministratore delegato della società. Cathy è una suora domenicana e il suo ordine fa parte di parte di ICCR – Interfaith Center for Corporate Responsibility (Centro Interreligioso per la Responsabilità d’Impresa)-, una coalizione internazionale di 300 investitori religiosi che comprende congregazioni, fondi pensione, fondazioni e diocesi. Messi insieme gestiscono un patrimonio di oltre 4.000 miliardi di dollari. Da 50 anni ICCR, che ha sede a New York, utilizza gli investimenti degli enti religiosi per influenzare le strategie di gestione delle imprese e promuovere la giustizia sociale. Ogni anno fa votare più di 300 mozioni alle assemblee degli azionisti delle grandi imprese americane: colossi come Amazon, Apple, Disney, Facebook, Johnson & Jonhson, McDonald’s o Nike. E spesso le mozioni vengono approvate, perché agli ordini religiosi si accodano anche grandi investitori privati. Come è successo, per esempio, nel 2018, all’assemblea di Sturm Ruger, uno dei più grandi produttori di armi degli Stati Uniti.

Pesante sconfitta per l’industria delle armi

Le sorelle azioniste sono riuscite a far approvare una mozione per obbligare l’azienda a monitorare la violenza collegata alle armi che vende e a sviluppare prodotti più sicuri. Merito anche del voto favorevole della più grande società di investimento al mondo, BlackRock, che ha de- ciso di sostenere la richiesta di ICCR. “Non ci potevo credere. Quando hanno annunciato l’esito della votazione stavo cadendo dalla sedia”, ha raccontato suor Judy Byron, che all’ultima assemblea di Sturm Ruger ha presentato la mozione vincente con le suore domenicane di Adrian.

“In vent’anni di lotte per il cambiamento sociale è la nostra vittoria più grande”. Sturm Ruger aveva chiesto a gran voce ai propri azionisti l’astensione dal voto sulla mozione. E invece il 69% ha votato a favore, anche molti grandi investitori, preoccupati per le conseguenze che le sparatorie di massa in ambito scolastico potrebbero portare ai profitti nel lungo periodo. All’inizio del 2018, dopo il massacro al liceo di Parkland, una delle sparatorie scolastiche con più vittime nella storia degli Stati Uniti, le suore hanno iniziato a comprare azioni dei principali produttori di armi, come Sturm Ruger. Inizialmente hanno cercato il dialogo con l’impresa ma Sturm Ruger ha ignorato le richieste di incontro. E quindi sono passate al piano B. Grazie alle loro azioni (2.000 dollari, il minimo necessario), hanno presentato una mozione formale, chiedendo all’azienda di monitorare gli episodi di violenza in cui erano state usate loro armi, di rendicontare i propri interventi per rendere le armi più sicure e redigere un report sui rischi per la reputazione e le performance finanziarie provocati dall’uso di armi in sparatorie. La mozione, a sorpresa, è passata. Un primato che farà certamente da apripista nella battaglia contro le armi in tutto il settore.

La prima vittoria contro l’apartheid in Sudafrica

I primi interventi di ICCR risalgono all’inizio degli anni settanta, quando gli ordini religiosi iniziano a far sentire la propria voce alle assemblee dei colossi americani dell’industria e della finanza che investivano in Sudafrica, in pieno regime di apartheid. Gli ordini religiosi sono stati storicamente i primi, nel mondo occidentale, a farsi domande sull’impatto sociale degli investimenti. Negli anni venti del novecento, i Padri Quaccheri e Metodisti, in un’ottica puritana e proibizionista, avevano stimolato la nascita dei primi fondi di investimento etici, che escludevano i titoli di imprese che producevano alcolici o gestivano case da gioco. Erano poi seguiti investimenti positivi, che non si limitavano ad escludere le imprese “cattive” ma selezionavano, in base a una serie di criteri, quelle più attente ai diritti umani e all’ambiente. Con ICCR si inaugura, invece, una terza via, «più sfumata e molto più potente, per cercare di rispondere agli abusi sui diritti umani che si stavano perpetrando in Sudafrica». Il primo atto di questa svolta si compie con la presentazione, da parte della Chiesa Episcopale, di una mozione, da far votare a tutti gli azionisti, all’assemblea del gigante automobilistico General Motors, nel marzo del 1971. Si tratta della prima mozione sociale mai presentata a livello globale, con la quale si chiede all’impresa di terminare le proprie attività in Sudafrica fino a quando non sia stato abolito l’apartheid. Negli anni successivi, oltre 200 imprese americane furono messe sotto pressione dagli azionisti per lo stesso motivo. Le mozioni, che non raggiunsero mai più del 20% dei voti a favore, riuscirono comunque a influenzare l’opinione di un numero sempre maggiore di negli anni che precedettero la fine dell’apartheid (1994) gli investimenti diretti degli Stati Uniti in Sudafrica crollarono del 50%.

Insegnanti con la penna rossa

“Io e le sorelle del mio ordine siamo prima di tutto una comunità di insegnanti“, ci spiega suor Judy Byron. “Se la ricorda la maestra delle elementari, quella che segnava con la penna rossa gli errori di ortografia? Ecco, davanti ai consigli di amministrazione delle imprese svolgiamo lo stesso ruolo: ricordiamo ai manager quanto meglio potrebbero fare se fossero abbastanza disciplinati da indirizzare le proprie energie al servizio di un bene più grande”. E le imprese le prendono sul serio. Qualche anno fa un consigliere di amministrazione di una grande società americana l’ha anche detto apertamente: “E’ meglio che ascoltiate le suore quando vi fanno presente un problema perché, nell’arco di dieci o quindici anni, quel problema potrebbe diventare un motivo di crisi per tutta l’impresa”.

Un vescovo sfida Enel

Esempi del genere non mancano nemmeno in Italia, dove l’azionariato critico è promosso da quasi 15 anni dalla Fondazione di Banca Etica e da ONG come Re:Common. Nel 2010, proprio su iniziativa di Fondazione Finanza Etica e con la delega dei Missionari Oblati di Maria Immacolata (soci fondatori di ICCR), intervenne all’assemblea di Enel il vescovo della Patagonia cilena Luis Infanti De La Mora. Chiese di fermare il progetto per la costruzione di cinque grandi dighe nei territori incontaminati della sua regione, l’Aysén. Nel 2014, dopo cinque anni di interventi in assemblea, a Roma, e manifestazioni in Cile, il governo cileno decise di bocciare il progetto e Enel dovette rinunciarvi definitivamente. Un’altra, chiara vittoria per gli azionisti critici.

Articolo pubblicato su Sempre Magazine