Le monache insegnano il valore della clausura agli italiani

Ecco come le suore di clausura vivono la quarantena. La preghiera cardine e colonna portante della loro vita all'interno di un monastero di clausura

Francesco

Hanno scelto per fede e vocazione di vivere la loro vita all’interno di un monastero, senza avere contatti, o limitandoli il più possibile, con il mondo esterno. Il cardine portante della loro scelta è la preghiera che le sostiene e dà loro forza. Sono le monache di clausura. In Terris ha intervistato Madre Stefania, abbadessa del monastero benedettino di Santa Caterina d’Alessandria (in provincia di Fermo) che ha spiegato come vivono questo periodo di emergenza sanitaria causata dal propagarsi del Covid-19.

Come si vive la quarantena all’interno di un monastero di clausura?
“Vivere in clausura è stata una nostra scelta, ma per il resto del mondo è un’imposizione data dalle autorità civili e religiose. Ci pesa un po’ la restrizione a livello della celebrazione eucaristica e la non partecipazione dei fedeli. Noi come monastero, a porte chiuse, celebriamo la liturgia delle ore. Si sente il peso e la sofferenza di tanti fratelli e sorelle, ma tutto trasformiamo in preghiera”.

In due monasteri di Roma, circa quaranta suore hanno contratto il virus Covid-19. Avete paura di potervi ammalare?
“Il timore c’è. Noi viviamo in un piccolo paese che si è organizzato per consegnare a domicilio i generi alimentari e le medicine a chi come noi non può uscire, soprattutto ad anziani ed infermi. Non abbiamo necessità impellenti. Abbiamo una sorella che ha subito un intervento e si trova a Firenze e noi non possiamo assisterla. Fortunatamente nella città c’è un monastero benedettino come il nostro che l’ha accolta. Come lei, tanti altri ammalati che non possono ricevere visite. Gli ospedali sono blindati. La preoccupazione c’è, ma c’è anche tanto affidamento al Signore che ci dà speranza. Oggi abbiamo letto su L’Osservatore Romano una riflessione che ha presentato la spiritualità di santa Giuliana di Norwich. Il suo motto era: ‘Andrà tutto bene’. La maggior parte delle persone non sa perché usa questa espressione, invece è la presenza del Signore che ci rassicura che con la sua presenza anche gli eventi nefasti, con la sua grazia, andranno a finire bene”.

L’emergenza coronavirus ha cambiato le vostre abitudini?
“In realtà abbiamo aumentato la preghiera, stiamo facendo più adorazione e nella preghiera dei fedeli mettiamo sempre un’intenzione per medici, infermieri, per i malati e per le famiglie. C’è un impegno maggiore nella preghiera. Non avendo contatti con nessuno, durante i momenti di preghiera, non stiamo proprio vicine, ma neanche a un metro di distanza. Non ce la sentiamo di allontanarci, anzi, abbiamo bisogno di sostenerci, Un minimo di prudenza sì, ma la regola di un metro non ce la facciamo. Noi ci affidiamo a San Benedetto, nostro patrono d’Europa. Preghiamo anche San Francesco e Santa Caterina da Siena, patroni d’Italia. Stiamo pregando anche San Michele Arcangelo con la preghiera del cardinale di Venezia Moraglia. E recitiamo anche la preghiera fatta dalla Cei”.

Siete connesse con gli altri monasteri?
“Comunichiamo via Whatsapp o per telefono. Ci scambiamo le notizie, anche sulla nostra salute. Però siamo tutte ferme ognuna nel proprio monastero, rispettiamo le disposizioni che ci sono state date. E’ un momento di isolamento e fatica”.

Voi che per fede e vocazione avete scelto la clausura, come insegnare agli italiani a rispettare la quarantena?
“Prima di tutto, bisogna riscoprire la fede, la presenza del Signore che non ci abbandona. Si può leggere un pensiero del Vangelo in famiglia, qualcosa di spirituale che unisca, che cementi l’unione e il dialogo tra i vari componenti della famiglia. E’ necessario dare spazio ad aspetti che uniscano, non che dividano. Tutto. però deve partire da Gesù Cristo: è un’occasione per riscoprire che il Signore ci vuole bene, un’opportunità che ci dà per far sì che lo sentiamo vicino a noi e che con lui ce la faremo. Certo, gli alti e bassi ci sono, è comprensibile, il sacrificio è grande. La teoria è facile, ma chi lo vive concretamente e senza aiuto a volte può trovare difficile rimanere chiuso in casa”.

Il vostro monastero è in parte inagibile a causa del terremoto del 2016. Ora il coronavirus. Come vivete queste prove?
“Posso dire che sono due cose completamente diverse. Questa emergenza è più pesante da vivere, perché riguarda tutti, siamo tutti coinvolti. Il terremoto era circoscritto all’Italia centrale. Il Covid-19, invece, è a livello mondiale. Sicuramente c’è un messaggio del Signore che ancora non riusciamo a decifrare”.