Inclusione lavorativa e parità salariale: prospettive per il futuro

In Terris ha intervistato Liliana Ocmin, responsabile Coordinamento Nazionale Donne della Cisl, sui temi della parità salariale e del Pnrr, fondamentali per una società più equa

La tutela dei lavoratori è un tema di fondamentale ed imprescindibile importanza, soprattutto conseguentemente all’emergenza sanitaria in atto dovuta al Covid – 19, la quale ha avuto notevoli ripercussioni nell’ambito dell’occupazione delle categorie tradizionalmente più fragili. A tal proposito è importante chiedersi – se e in che modalità – il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza potrebbe costituire un valido aiuto al fine di favorire e rilanciare l’occupazione. Rispetto a queste importanti tematiche In Terris ha avuto l’onore di intervistare la Dottoressa Liliana Ocmin, eminente esponente della Cisl nella quale riveste il ruolo di Responsabile del Coordinamento Nazionale Donne CISL e componente del Consiglio di Amministrazione OIL – Organizzazione Internazionale del Lavoro-.

Che misure sarebbe necessario promulgare al fine di favorire la parità salariale?

“Un lavoro dignitoso non può che essere caratterizzato dal superamento del cosiddetto “gender pay gap”. Il primo strumento necessario è la trasparenza effettiva delle retribuzioni orarie e della retribuzione annuale comprensiva dei benefits. Ci viene in aiuto in questo anche l’Europa che ha emanato di recente una proposta di Direttiva per superare la disparità salariale esistente nel mondo del lavoro e che riguarda soprattutto le donne. L’art. 4 della Direttiva stabilisce, infatti, che gli Stati Membri debbano adottare misure necessarie per garantire che i datori di lavoro dispongano di strutture retributive che assicurino a uomini e donne parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore. Si tratta di un primo importante passo in questa direzione e sicuramente si può migliorare. L’obbligo, ad esempio, di pubblicare i rapporti sul divario retributivo per i datori di lavoro, su cui ci siamo spesi molto come sindacato, anche attraverso il CNEL, che ha presentato qualche tempo addietro un apposito disegno di legge a riguardo, va reso concretamente esigibile e va allargata la platea di aziende interessate. Il testo della Direttiva prevede che solo le imprese con più di 250 dipendenti sono tenute ad assolvere tale obbligo, e questo in Italia significa escludere la maggior la maggior parte delle aziende essendo il nostro sistema caratterizzato soprattutto dalla presenza numerosa di PMI. Inoltre, rappresenta una soglia più alta rispetto a quella attualmente prevista dal nostro Codice per le Pari Opportunità che ne stabilisce l’applicazione alle aziende con più di 100 dipendenti (art. 46 d. lgs. 11 aprile 2006 n. 198 – Rapporto sulla situazione del personale). Pertanto, riteniamo necessario allargare la platea di aziende che devono produrre tale rapporto portando la soglia a quelle con 50 dipendenti. Vanno altresì introdotti percorsi per favorire l’effettiva parità salariale anche da un punto di vista culturale al fine di contrastare la segregazione lavorativa femminile e veicolare una più corretta rappresentazione del ruolo professionale della donna, della maternità.”

In che maniera i fondi del PNRR possono incentivare le politiche del lavoro e soprattutto l’inclusione delle persone con fragilità?

“Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), rappresenta una grande opportunità per affrontare a tutto tondo le questioni del lavoro, di genere, dell’eliminazione, o quantomeno riduzione, delle diseguaglianze e del superamento delle fragilità e delineare un percorso concreto di sviluppo e crescita in linea anche con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda ONU per il 2030. Un impegno, quello del PNRR, che dovrà vedere però necessariamente l’attivazione di un confronto con le parti sociali per un nuovo vero Patto per il rilancio del Paese. È vero che il Piano pone finalmente al centro tali questioni, quali obiettivi trasversali a tutte le “missioni” di cui lo stesso si compone, ma ciò non deve essere solo declamato ma rappresentare quell’elemento strategico concreto che il sindacato chiede da tempo per creare vantaggi economici, sociali e culturali per tutti. Ridurre le diseguaglianze e le discriminazioni, così come sottolineato anche dalla Commissione Europea, è un obiettivo di crescita economica oltreché di giustizia sociale. Perciò, le risorse a disposizione vanno spese in maniera oculata, secondo le effettive necessità del Paese. Sprecare questa occasione, giustamente definita “storica” da più parti, significa abbandonare l’Italia alla depressione più totale”.

Il sostegno alla genitorialità sovente procede di pari passo con le politiche di sostegno all’occupazione femminile: quali ulteriori politiche possono essere messe in atto al fine di coniugare in maniera più armoniosa la genitorialità e l’attività lavorativa?

“A pesare sulla scarsa occupazione delle donne è anche l’insufficiente presenza di infrastrutture socio-assistenziali, sia pubbliche che privato-sociali, in grado di assicurare adeguati servizi di welfare per la famiglia, gli anziani disabili e quelli per la prima infanzia, asili nido e scuole materne. Una carenza che si avverte soprattutto nel Sud d’Italia rimarcando anche in questo la presenza di un Paese sempre più diviso. il problema della cura genitoriale e dell’assistenza a familiari malati, disabili o anziani bisognosi di cure rimane a carico delle donne. Secondo l’Istat “nella fascia di età tra i 45 e i 64 anni, in sei casi su dieci, sono le donne (un milione 343 mila) ad avere questo tipo di responsabilità: tra queste una su due è occupata (49,7%). Dal confronto con le donne che non hanno questo tipo di responsabilità emerge un divario tra i tassi di occupazione pari a quasi 4 punti percentuali, confermato anche a livello territoriale. Il possesso di un titolo di studio pari o superiore alla laurea invece riduce la differenza tra le donne con e senza responsabilità a soli 1,9 punti”. Ecco perché riteniamo che gli interventi del Recovery Plan possano essere ulteriormente migliorati con politiche interne di raccordo. In tema di condivisione e conciliazione vita-lavoro, riteniamo, ad esempio, vada potenziato il ruolo della contrattazione collettiva (aziendale e territoriale) che in questi ultimi anni ha contribuito a dare risposte ai fabbisogni di lavoratori e lavoratrici, specie durante la fase sperimentale del 2017 in cui con gli incentivi pubblici diretti sono stati raggiunti risultati più che soddisfacenti. Qui si inserisce anche la questione relativa al potenziamento del congedo obbligatorio di paternità e la sua estensione al settore pubblico, unitamente ad un congruo adeguamento del livello di indennizzo del congedo parentale, che possono costituire ottimi strumenti in tal senso. Tutto questo, insieme all’accrescimento delle competenze e capacità (finanziarie e digitali), può concretamente aprire a più rosee prospettive di partecipazione attiva delle donne alla vita del Paese”.

La pandemia ha provocato una reazione positiva in termini di risorse economiche a disposizione della ripresa sociale dell’intero continente, cosa auspicherebbe per il futuro al fine di tutelare maggiormente le persone con fragilità sotto ogni aspetto?

“La pandemia è stata purtroppo un potente acceleratore delle divaricazioni sociali già in atto, almeno per quanto riguarda il nostro Paese, frutto di anni di tagli degli investimenti pubblici e una contrazione di quelli privati, determinando di fatto un accumulo esponenziale dei ritardi che ha condannato l’Italia per circa un trentennio ad una bassa crescita e ad un aumento delle disuguaglianze. Secondo i dati dell’ultimo Rapporto Oxfam, “per la prima volta in un secolo, si potrebbe registrare un aumento della disuguaglianza economica in quasi tutti i Paesi contemporaneamente, accompagnato dall’ulteriore crescita delle divaricazioni sociali a beneficio di pochi che si sono ulteriormente arricchiti e a danno dei più, che sono diventati ancora più poveri. Le donne sono ancora una volta le più colpite”. La pandemia, per contro, ha determinato anche una solidarietà inaspettata a livello europeo con una risposta in termini economici straordinaria. Di fronte a questo quadro, e al fine di tutelare in futuro tutte le persone con fragilità, occorre che la ripresa post-Covid sia progettata sulla base del principio di pari opportunità che non è un principio valido solo per le donne ma anche per quelle persone portatrici di fragilità e che sono fortemente discriminate. Per quanto riguarda in particolare la condizione delle donne, che non reputiamo affatto una categoria fragile ma in questo senso bisognosa di pari opportunità, per farsi valere e mettersi alla prova, occorre che tutte le scelte di investimento e i singoli interventi, come ad esempio quelli in settori innovativi, digitale e green, passino per una valutazione dell’impatto di genere, in maniera tale da contrastare all’origine i pericoli di segregazione occupazionale e di conseguenza sociale”.