Quando il lavoratore chiede di lavorare in nero

Ci ha scritto una signora, titolare di una bottega, lamentando che una sua amica, assunta dodici anni fa e dimessa l’anno scorso, le ha fatto pervenire una lettera legale richiedendo le spettanze retributive non corrisposte che assommano, compreso il trattamento di fine rapporto, ad oltre settantamila euro. Nella lettera la signora precisa di aver sempre pagato in nero la dipendente e lamenta l’ingiustizia che starebbe subendo poiché proprio la dipendente le avrebbe chiesto di non essere inquadrata per non perdere il nutrito assegno di mantenimento che percepiva dall’ex marito da cui aveva divorziato.

Situazioni di questo tipo sono alquanto ricorrenti, specialmente nell’ambito delle piccole attività commerciali, spesso gestite direttamente in proprio, in cui il titolare si accorda col lavoratore per aggirare la legge e conseguire significativi vantaggi reciproci, eludendo tasse e contributi previdenziali e celando i propri redditi. Dobbiamo però immediatamente insorgere contro il dilagare di siffatte pratiche poiché costituiscono la piaga del fenomeno conosciuto come lavoro nero.

Se la parte cospicua di tale fenomeno riguarda lo sfruttamento della forza lavoro, inerme per le necessità alimentari, che deve accettare di perdere parte dei propri diritti (pensione, assistenza medica, ferie, festività ed orari di lavoro ed anche, spesso, i minimi retributivi) suscitando deprecazione pubblicamente condivisa, accadde sovente che sia anche il lavoratore a trovare la propria convenienza nell’aggirare la legislazione protettiva dei propri diritti per conseguire vantaggi immediati quali l’evasione fiscale ed il mantenimento di una situazione legata a presupposti non più sussistenti, quali, come nel caso richiamato, l’assegno divorzile di mantenimento.

Certamente possiamo esprimere biasimo per la cortomiranza (termine coniato di recente per criticare l’attuale politica emergenziale) di entrambi gli artefici di tale accordo illecito poiché se il lavoratore non solo perde i propri diritti alla pensione ed all’assistenza sanitaria ma dovrà fare anche i conti con l’evasione fiscale e con la percezione di somme indebite da parte di soggetti che ne potranno chiedere la restituzione, il datore di lavoro è esposto sia al pagamento di tutte le differenze retributive a seguito della probabile vertenza sindacale che dovrà subire sia a multe e sanzioni salatissime per i contributi omessi: insomma, per entrambi una sciagura che annulla i momentanei vantaggi conseguiti; non senza contare che un banale incidente sul lavoro determinerebbe per entrambi conseguenze economicamente devastanti.

Le giustificazioni da entrambe le parti opposte hanno veramente un sapore grottesco: “il lavoratore mi costerebbe il doppio se lo dichiarassi!” “rischio di perdere l’assegno di mantenimento se il mio ex marito lo venisse a sapere”. In entrambi i casi il disprezzo etico per le situazioni tutelate dalla legge lascia basiti: ci si lamenta, ingiustamente, dell’arretratezza sociale del nostro paese, che invece è all’avanguardia in tema di diritti protetti, additando esempi stranieri a modello di qualità della vita e si contribuisce spudoratamente ad impedire che vengano esercitati proprio quei diritti che costituiscono il fondamento di una comunità progredita!

Il problema non sono tanto le sanzioni pure onerose che lo Stato infligge ai trasgressori ma la mancanza di senso civico nel perseverare in tali pratiche palesemente contrarie ai propri diritti, ai propri interessi ed allo sviluppo concreto della società cui aspiriamo. Abbiamo bisogno di un maggiore stimolo a difendere la vita comune, le istituzioni a cui ci riferiamo, i diritti che ci garantiscono e proteggono non solo quando ne abbiamo bisogno, il senso dello stato e della comunità, la legalità troppo spesso piegata alle proprie individuali convenienze. Non andiamo avanti così.

E non ci può assolvere da tali violazioni, legali ed etiche, l’accusa, spesso anche fondata, di una legislazione stringente se non soffocante, di un costo insostenibile, di una politica che favorisce gli abusi giacché il rimedio non è quello di violare la legge e le regole ma esercitare i numerosi metodi democratici per cambiare in meglio, tra cui spicca la voce delle associazioni di categoria.

Gentile signora, paghi fino all’ultimo, sanzioni comprese, quello che ha omesso di pagare per questo scellerato accordo e denunzi pure la lavoratrice, che verserà le tasse e restituirà il maltolto. Stavolta la voce degli ultimi è quella di tutti noi che ci sentiamo offesi da queste pratiche.