L’inserimento lavorativo per i ragazzi con autismo rappresenta una delle sfide più complesse nel campo dell’inclusione sociale. Nonostante il progresso nella sensibilizzazione e nelle politiche di supporto, molti di questi giovani affrontano difficoltà significative, tra cui la mancanza di opportunità lavorative adeguate alle loro esigenze e l’esiguità di programmi formativi personalizzati. Questi ostacoli rendono difficile per molti di loro trovare un impiego che non solo rispetti le peculiarità di ciascuni di essi, limiti oggettivi e potenzialità, ma che possa anche offrire una stabilità e una crescita personale duratura.
In questo contesto, abbiamo intervistato Domenico Gava, fondatore e vicepresidente della Fondazione Oltre il Labirinto Onlus, un’organizzazione con sede in Treviso dedicata a migliorare la vita dei ragazzi con autismo. La Fondazione si impegna a colmare le lacune esistenti e a sviluppare percorsi occupazionali su misura. Durante l’intervista, Gava ci ha fornito uno sguardo approfondito sulle iniziative della Fondazione, le sfide quotidiane che affrontano e le strategie adottate per supportare al meglio questi giovani nel loro percorso di inclusione e autonomia a lungo termine.
Vorrei iniziare con una domanda sulla storia della vostra Onlus. Come è nata e per quale motivo?
“L’idea di creare la nostra Onlus è emersa dalla riflessione su una domanda fondamentale: serviva un ulteriore ente per supportare i ragazzi con autismo, considerando che nella nostra zona esistevano già diverse organizzazioni? La risposta fu sì, perché gli enti esistenti non offrivano, a nostro avviso, una visione a lungo termine, una pianificazione per il futuro dei ragazzi. La nostra Fondazione si propone proprio di colmare questa lacuna, mirando a un progetto che guardi a 10, 15 o 20 anni avanti”.
Qual è stato il passo successivo dopo aver deciso di avviare la Fondazione?
“Dopo aver identificato questa necessità, abbiamo coinvolto diversi genitori e costituito ufficialmente la Fondazione. Abbiamo deciso di concentrarci su ragazzi con gravi difficoltà, spesso invisibili nei media e nei programmi televisivi. Questo è il nostro target, e ci dedichiamo a loro con impegno”.
Quanti ragazzi assistete attualmente e quale fascia di età coprite?
“Attualmente gestiamo vari servizi. Al nostro centro diurno ci sono circa 6-7 ragazzi, tutti maggiorenni, fino a 28 anni. Offriamo anche un servizio di formazione e istruzione per famiglie, sia a casa sia a scuola, rivolto a bambini più piccoli. Serviamo circa 25-30 famiglie in totale”.
Offrite anche assistenza domiciliare per i bambini piccoli?
“Sì, offriamo assistenza domiciliare. Per quanto riguarda il centro diurno e la Fondazione in generale, ci concentriamo su ragazzi adulti che hanno completato il percorso scolastico e proseguono la loro vita”.
Quali sono le principali difficoltà che incontrate nell’aiutare questi ragazzi nell’inserimento lavorativo?
“Preferiamo parlare di attività occupazionali piuttosto che di inserimento lavorativo. I nostri ragazzi non hanno le capacità per lavorare o partecipare a corsi di formazione specifici, come quelli sulla sicurezza. La nostra preoccupazione principale è creare percorsi che occupino il loro tempo e li coinvolgano per tutta la giornata”.
Qual è la differenza tra un percorso occupazionale e uno lavorativo?
“Un percorso occupazionale si concentra sul benessere e sull’occupazione del tempo, mentre un percorso lavorativo prevede obiettivi di produzione specifici. Per esempio, noi facciamo etichettatura di prodotti per un’azienda locale. I ragazzi lavorano su vasetti di marmellata e altre preparazioni, ma non sono vincolati a raggiungere un numero preciso di prodotti. Il loro benessere è la priorità, non il profitto; se hanno una giornata difficile, non è un problema se non completano il lavoro programmato. O non lavorano affatto”.
Quindi, l’obiettivo è anche mantenere una routine per migliorare l’autostima dei ragazzi?
“Esattamente. Attività ripetitive come l’etichettatura o la preparazione di cesti natalizi sono ideali per loro. Una volta che acquisiscono una certa abilità, per loro non c’è differenza tra fare una o mille unità. Questo tipo di lavoro è gratificante perché vedono il valore del loro contributo nella società. Qualcosa di concreto e tangibile che è realmente di supporto agli altri”.
Parlando di progetti futuri, quali sono i vostri obiettivi a lungo termine, in particolare riguardo al “dopo di noi”?
“La nostra principale preoccupazione è il ‘dopo di noi’. Stiamo progettando la costruzione di una casa per un gruppo di 5 ragazzi che abbiamo già selezionato. Questa struttura sarà il loro percorso di vita futuro. Tuttavia, gestire i costi e il mantenimento della struttura è una grande sfida. Per questo motivo, cerchiamo di avviare attività che possano sostenere economicamente questi progetti. Come quello della HugBike, la bicicletta dell’abbraccio”.
Può spiegarmi di cosa si tratta?
“Sì. La HugBike è un tandem speciale in cui chi guida è seduto dietro e ha un grande manubrio per controllare la bicicletta. Questo tipo di tandem consente un controllo migliore, ed è importante per noi perché permette di monitorare meglio i passeggeri. Che, stando seduti davanti, possono ammirare il paesaggio circostante e, al contempo, sentirsi sicuri e protetti. Gli utili generati da questa attività vengono reinvestiti nella Fondazione per sostenere il percorso di vita dei ragazzi. Per poter così assicurare loro un futuro sereno”.
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