La missione dei sacerdoti che non hanno paura della morte (AUDIO)

Le stragi dei sacerdoti morti per la loro missione

sacerdotale
fonte: Vatican news
Nuovi e vecchi martiri. La storia più recente è piena di esempi di sacerdoti che si sono sacrificati per la loro missione, che hanno rischiato e perso la vita in nome di Dio. Le guerre, le persecuzioni, il terrorismo, la povertà e ora la pandemia, tutte situazioni in cui i sacerdoti, silenziosamente, non si sono risparmiati per aiutare il prossimo.

Domani, 25 aprile, si festeggia la liberazione del nostro Paese dalla dittatura fascista, la chiusura di una pagina buia del Novecento. Anche qui i sacerdoti hanno pagato il prezzo della loro vocazione, storie quasi mai raccontate perché la libertà è scomoda per chiunque non la desideri veramente. Interris.it ne ha parlato con la Professoressa Carmela Romano, Docente di Teologia presso le Università ‘Anselmo Pecci’ di Matera e ‘San Francesco di Sales di Rende’ a Cosenza.

Qual era la situazione dei sacerdoti durante la dittatura nazifascista? 

“Mi sembra importante, per capire il fenomeno di cui parliamo, aprire una piccola parentesi introduttiva. A capo della Chiesa nel periodo storico che prendo in esame io, troviamo Pio XI. Per le dichiarazioni dei suoi predecessori e la mentalità della maggioranza dei cattolici il suo pontificato è fortemente condizionato. Il XIX secolo vede una sorta di irrigidimento delle posizioni del cattolicesimo che diventa più centralizzato e più autoritario. Si registra in questo periodo il successo dei totalitarismi e questo rende più urgente la necessità di testimoniare la propria fede e di provare che essa ignora le frontiere dei paesi e delle razze. Si tratta, concretamente di rispondere al diritto di salvare la propria vita, dinanzi ad uno spettacolo di violenza indicibile; dover nascondere e mettere in salvo patrioti ricercati dalla polizia nazi-fasciste, di salvare dalla deportazione e dalla condanna a morte, soccorrere anche materialmente carcerati o deportati in Germania, confortare i condannati destinati al plotone d’esecuzione, impedire rappresaglie, salvare paesi interi dall’eccidio e dalla distruzione. E’ questa la motivazione che spinge la Chiesa, attraverso molti suoi sacerdoti, a prendere una decisione forte dinanzi alla violenza e allo spargimento di sangue a cui assistono impotenti”.

Durante gli anni delle contestazioni, delle guerre e del terrorismo politico in Italia, che ruolo ha avuto la Chiesa?
“La Chiesa sembra subire in questo dramma le conseguenze di una politica concordataria che consiste nel difendere la libertà religiosa, dei cattolici, invece di difendere i Diritti dell’uomo e le libertà a beneficio di tutti. Il giudizio sul silenzio della Chiesa maturano un cambiamento di mentalità, ed una evoluzione che porta in modalità naturale al concilio vaticano II, nel riconoscimento dei diritti dell’uomo, di cui la Chiesa incomincia anche ad alimentare la rivendicazione, impregnandola dello spirito del Vangelo. Tutto ciò che appare silenzio ed assenza di una protesta chiara e decisa non deve far dimenticare il numeroso contributo di uomini cattolici entrati nella Resistenza e migliaia di altri cristiani che pagarono con la loro vita il loro impegno. La guerra, in realtà, muta il profilo dei preti. A partire dal 1944, i preti si inseriscono nei quartieri popolosi di quelle città, che saranno un giorno, ancora tanto lontano, annoverate come le maggiori città europee, pensano ad una liturgia che parli alla gente, celebrano la messa nelle case. Inviati nelle missioni vogliono adattarsi all’ambiente da evangelizzare, dividere lo stesso destino per mostrare al popolo il “vero volto” della Chiesa. I preti decidono di vivere le città dell’uomo, di frequentare le fabbriche, per assicurare la presenza della Chiesa negli ambienti più svantaggiati. Per arrivare ai nostri giorni, vorrei ricordare, una delle tante vittime della mafia, Don Pino Puglisi, con il suo eroico sacrificio, ha mostrato che la Chiesa non può rimanere neutrale di fronte alla cultura mafiosa e che laddove essa domina occorre realizzare una pastorale mirata, ricorrendo a tutti gli strumenti disponibili: dalla formazione spirituale, culturale ed umana, alla condanna e alla denuncia, fino alla promozione di una chiara conversione morale all’impegno civile”.

Oggi la minaccia per il cattolicesimo è il terrorismo?
La violenza contro la Chiesa e in modo particolare nei confronti dei sacerdoti esiste da sempre. Per comprendere la motivazione che vi è all’origine di questa efferata, e molto spesso atroce violenza, che si consuma a danno di sacerdoti, bisogna tornare all’esperienza generante il sacerdozio stesso come sacramento. Il modo con cui Cristo Gesù, ancora oggi, ha la pretesa di arrivare agli uomini, è la vita della Chiesa. In essa, il fattore umano è parte integrante ed assume un valore da cui non si può prescindere: è infatti, attraverso uomini concreti che la Chiesa comunica la novità di vita portata da Cristo dentro il mondo. Senza i tratti fisici di questi volti, senza la profondità del loro sguardo, all’uomo non sarebbe possibile stare con Cristo, partecipare della Sua pienezza di vita, appassionarsi come Lui a tutta la realtà. La chiesa non è identificabile con il tentativo di colmare la sproporzione tra il finito e l’infinito, perché essa è la realtà nella quale, attraverso l’umano, si comunica il divino. Il sacerdote comunica una realtà divina. Attraverso l’azione della grazia soprannaturale, è la vita stessa di Cristo che si trasmette al mondo e che opera efficacemente nella sua esistenza. C’è una identificazione chiara ed esplicita fra Cristo ed il sacerdote”.

Qual è il senso del sacerdozio che prosegue negli anni, nel tempo e nella storia, alla luce delle ulteriori numerose morti che si stanno avendo anche durante questo periodo di Covid-19, in Italia?
“L’atteggiamento della Chiesa di fronte al fenomeno dei tantissimi sacerdoti morti per svariate ragioni ha conosciuto fasi diverse. Una prima lunga fase fu caratterizzata dal silenzio, rotto solo negli anni settanta con l’aperta condanna episcopale della criminalità organizzata. Si dovette però attendere gli anni ottanta e il sacrificio di tanti servitori dello Stato, prima che gli stessi vescovi riconoscessero la specificità e la diversità della criminalità organizzata. In questo esempio e testimonianza di vita, possiamo scorgere proprio tutta la testimonianza che la Chiesa, anche al prezzo del proprio sangue, ha reso e rende ogni giorno nel mondo intero. Se non è per mafia, è per Covid 19, o per altre ragioni fortemente legati alla testimonianza della chiesa nel mondo, che i preti muoiono come martiri. Cioè nel dare la testimonianza della loro fedeltà a Cristo e al popolo per il quale essi sono stati consacrati”.