La minaccia del coronavirus nei Paesi dell’economia “informale”

Su Interris.it, il punto con Simone Garroni e Benedetta Lettera di Azione contro la Fame: "Tanti Stati non saranno in grado di creare la giusta distanza sociale"

Anche l’indifferenza può essere un’epidemia. Un male da contrastare, non solo in una forma ideologica ma anche (e soprattutto) culturale. Perché la pietra d’angolo per una presa di coscienza delle problematiche del mondo, il più delle volte sordo alle istanze della sua fascia in maggiore difficoltà, resta il contributo di chi opera in tali contesti, di chi agisce in nome di una vocazione solidale in grado, di per sé, di aprire gli occhi degli altri. Prima la Cina, poi l’Europa e ora gli Stati Uniti, stanno pagando lo scotto più grave dell’emergenza coronavirus, mentre alcune aree del mondo attendono, sperando che lo tsunami passi senza dilagare oltremodo nelle loro quotidianità. Sarebbe un colpo devastante se in Africa, così come in America latina, il virus decidesse di affondare con la stessa violenza, disgregando ulteriormente dei tessuti sociali già indeboliti, per ragioni diverse. In Sud America, in particolare, mesi di scossoni socio-politici hanno lasciato il segno, scavando ulteriormente il fossato tra i diversi strati della popolazione. Rimarcando, per questo, esigenze impellenti di chi, per mangiare, è costretto a sfidare il lockdown. E quindi la sorte. Interris.it ne ha parlato con Simone Garroni e Benedetta Lettera, rispettivamente direttore generale e Responsabile geografico America latina di Azione contro la fame

L’emergenza coronavirus inizia a prendere piede anche in America Latina, all’indomani di un complesso periodo di forti stravolgimenti sociali, specie in Paesi come la Bolivia, l’Ecuador e il Cile. Un’eventuale diffusione del Covid-19 come verrebbe assorbita dal comparto sanitario di Paesi in così grave difficoltà?
“Alcuni Paesi dell’America Latina, come accade in altre aree del mondo, hanno capacità di risposta più limitate rispetto a una emergenza di questa portata. In generale, possiamo sostenere che le sfide che riguardano questi territori sono simili a quelle che vive, oggi, l’Europa. Basti pensare alla capacità di diagnosticare i casi, alla tenuta del sistema sanitario pubblico, allo stato degli ospedali, alla consapevolezza legata alla necessità di attuare misure di contenimento e di proteggere gli operatori sanitari. Certo è che laddove vi sono gravi questioni pregresse – come l’insicurezza alimentare, le epidemie, la povertà diffusa – il rischio di una diffusione diventa ancora più concreto e la pressione su strutture sanitarie, non sempre dotate di attrezzature adeguate, rischia di rendere incontrollabili gli effetti. Le persone che vivono in questi contesti, peraltro, devono far fronte a condizioni socioeconomiche difficili, con un accesso minore alle cure e con difficoltà maggiori nell’adottare misure di contenimento, come l’isolamento. Una problematica, comune a numerose aree nel mondo, consiste appunto nella difficoltà di porre le persone in quarantena, di isolare quelle colpite o a rischio in contesti, talvolta, di densità urbana molto elevata. Stiamo parlando di territori dove circa la metà della popolazione vive grazie a una forma di economia informale, senza sussidi o altri meccanismi ufficiali di protezione o dove le famiglie si procurano il pane di giorno in giorno. Oltre che l’impatto sulla salute, ci preoccupano molto anche le conseguenze socioeconomiche di questa crisi in una regione che aveva fatto passi molto importanti, negli ultimi anni, verso l’eradicazione della fame e la malnutrizione”.  

In alcuni Paesi del Sud America, misure di contenimento come il lockdown significherebbero la fine del sostentamento per la fascia più povera della popolazione, che vive di lavori giornalieri. Questo rende difficile l’applicazione di tali provvedimenti e, di conseguenza, scopre il fianco a un’inosservanza “di necessità” che favorirebbe la diffusione del virus?
“Molte donne, uomini e bambini, qui, ma anche in altri Paesi, non saranno in grado di isolarsi e di creare la necessaria ‘distanza’ sociale utile come misura di contenimento. Molte comunità, del resto, vivono grazie alla cosiddetta economia informale, rappresentata da ‘microimprese di sopravvivenza’ che prendono forma, spesso, lungo le strade. Tutti gli sforzi saranno, così, sempre pochi per limitare il contagio, per prendersi cura dei malati, per iniziare ad alleviare le conseguenze socioeconomiche della pandemia. Per questa ragione, Azione contro la Fame svilupperà, ulteriormente, le attività in tema ‘WASH’ (water, sanitation, hygiene), che continuano a rappresentare una parte fondamentale del lavoro dell’organizzazione: quasi la metà di tutti i progetti (43,6%) include progetti di questo tipo. Lo scorso anno, Azione contro la Fame ha supportato quasi 9 milioni di persone con programmi di acqua e igiene, il 42% in più rispetto all’anno precedente. Ma non solo”.

Quali altre azioni state mettendo in campo?
“In Colombia distribuiamo kit igienici e costruiamo sistemi semplici per il lavaggio delle mani, oltre a prestare servizio medico e fornire aiuti economici alle famiglie in più grave difficoltà. In Perù, siamo occupati nella distribuzione di alimenti e aiuti economici nei quartieri più poveri di Lima, ma anche nelle strutture che danno rifugio. In Guatemala stiamo realizzando campagne di informazione per contenere il contagio e stiamo dando supporto economico e alimentare alle famiglie più colpite dalla malnutrizione, con speciale attenzione alla popolazione rurale e indigena. In generale, in questi Paesi, tenendo conto delle esigenze locali e sempre in sinergia con le autorità locale ed il sistema umanitario, le nostre attività aiutano le comunità a contenere il rischio del contagio, ma anche a mitigare gli effetti economici immediati che le misure di isolamento sociale comportano”. 

È possibile mettere in atto misure di contenimento o semplicemente di monitoraggio (ad esempio) in contesti come le favelas brasiliane o di agglomerati urbani come El Alto in Bolivia? Una propagazione di un virus così aggressivo in tali situazioni potrebbe divenire progressivamente incontrollabile?
“Quasi tutti i paesi di America Latina hanno applicato rapidamente misure di isolamento sociale per contenere la pandemia. Sebbene queste misure sembrino essere le più adeguate ad arrestare il virus, in molti contesti è difficile applicarle strettamente. D’altra parte, con gran parte dell’attività produttiva basata nel commercio informale, la ‘quarantena preventiva’ implica una perdita immediata di potere di acquisto e molte famiglie non riescono più a comprare cibo sufficiente. Tutti i nostri operatori impegnati sul campo stanno lavorando in programmi utili per sostenere queste famiglie e per contenere il virus promuovendo l’accesso all’acqua e all’igiene. Ciò significa garantire infrastrutture idriche e rafforzare la distribuzione di materiali necessari, come maschere e guanti per proteggere il personale sanitario. Una buona igiene è, del resto, essenziale per frenare il contagio ed evitare, così, il crollo del sistema sanitario locale. Oltre a curare milioni di bambini malnutriti, Azione contro la Fame, d’altra parte, continua a promuovere nel mondo programmi sul tema dell’acqua, dei servizi igienico-sanitari e che mirano a favorire la condivisione delle regole di base fondamentali per mantenere le comunità in salute”.