La Cina del dopo Covid: ondata xenofoba contro gli africani

Il Paese accusato di razzismo: una deriva rischiosa, che ha generato episodi di forte discriminazione a Guangzhou. Il governo corre ai ripari ma la rete non aiuta

Cina

E’ un riflesso incondizionato forse, ma capita fin troppo spesso che i momenti di maggiore difficoltà comune si trasformino in un tutti contro tutti. Uno scenario fin troppo ripetuto nella storia dell’uomo, tanto che, ogni epoca, ha affrontato le sue crisi scoprendo il fianco più debole del genere umano, quello più esposto al rischio di scadere nell’accusa reciproca o alla discriminazione. Quella che, non più tardi di qualche giorno fa, molte comunità di cittadini africani residenti in Cina hanno lamentato di aver subito. Non è chiaro se un effetto collaterale della pandemia da Covid-19 o, in qualche modo, un’escandescenza popolare provocata da un periodo di paura: fatto sta che, come mostrato in numerosi filmati, nella città di Guangzhou (o Canton) si sarebbero susseguiti episodi di discriminazione nei confronti degli africani.

Scenari preoccupanti

Un quadro estremamente preoccupante, non solo per il rischio di una (o più di una) crisi diplomatica fra Cina e i Paesi di appartenenza dei cittadini in questione, ma anche in un’ottica sociale: l’escalation xenofoba nei confronti degli africani, infatti, sarebbe stata innescata dalla positività al Covid-19 da parte di alcuni immigrati nigeriani (non più di cinque). Ragione sufficiente, per qualcuno, affinché iniziasse un’indiscriminata caccia allo straniero, un modello sociale fin troppo noto alla storia dell’uomo. Un comportamento da attribuire, probabilmente, alla fobia generata dal timore di una nuova ondata di contagi, proprio ora che la Cina sta avviando la propria ripresa economica. Il tutto in un quadro in cui, al netto di alcuni episodi del passato, la convivenza fra cinesi e immigrati provenienti dall’Africa si era svolta in modo tutto sommato pacifico.

Rischio di crisi

Il nodo è sempre lo stesso: una sorta di psicosi dovuta alla paura di rivivere l’incubo, del coronavirus come di altre malattie, ma comunque orientata nell’ottica di voler trovare a tutti i costi un capro espiatorio. Come avvenne nei mesi dell’epidemia di ebola, nel mirino tornano nuovamente gli africani, indicati sulla base di qualche caso di positività come possibile veicolo del nuovo contagio. Di qui scene surreali, come l’interdizione all’accesso a un McDonald a Canton, o di persone costrette a lasciare la propria abitazione e a dormire in strada, per il timore di una possibile infezione. Filmati che diversi Paesi africani, tra cui la stessa Nigeria, hanno deciso di mostrare ai rispettivi ambasciatori cinesi, chiedendo spiegazioni. Una rischio di frattura non da poco, tanto che la stessa Unione africana ha mosso passi ufficiali, dapprima convocando il rappresentante diplomatico presso l’organizzazione, ad Addis Abeba, per poi intrattenere un colloquio con il ministro degli Esteri Wang Yi. Nel corso del colloquio telefonico, il presidente Moussa Faki avrebbe ricevuto rassicurazioni sull’impegno, da parte delle autorità cinesi, nel migliorare al più presto la situazione”.

Scene già viste

Resta però un sentimento diffuso che, al netto dei provvedimenti, potrebbe rappresentare una macchia indelebile nella pretesa di un virtuoso percorso di ripresa. Il modus operandi della campagna diffamatoria, come riferito anche da alcuni media, avrebbe raggiunto livelli allarmanti, partorendo iniziative deleterie per l’immagine stessa della Cina. Nelle ultime settimane, infatti, sono comparse delle strisce fumettistiche, nelle quali gli stranieri vengono rappresentati come spazzatura da smaltire: “Non è qualcosa di nuovo – ha spiegato a Interris.it Guido Alberto Casanova, research assistant Asia dell’Istituto per gli Studi di Politica internazionale (Ispi) -, già in passato erano comparse pubblicità su questo tema, come quella di un detersivo che ‘sbiancava’ un immigrato… E’ indubbio che nelle ultime settimane la xenofobia in Cina sia cresciuta oltremodo”.

Sentimenti pericolosi

Immagini sconvolgenti per un Paese in forte ascesa come la Cina, specie in un momento storico in cui l’emergenza globale dovrebbe spingerci a far fronte comune. Ora, invece, nella fase più delicata del post-Covid, Pechino rischia di trovarsi alle prese con un sentimento xenofobo ben più radicato di quanto non si pensi. Proprio perché, in un certo senso, sospinto da una goliardia che non solo ferisce chi colpisce ma, soprattutto, alimenta paure. E in un modo forse persino più efficace di un’interdizione a un locale pubblico.